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Vi spiego la sfida di Meloni nel Ppe e nel futuro Palazzo Chigi. Parla Mauro

L’ex ministro della difesa Mario Mauro e anima italiana del Ppe: “Il paradosso sarà che questa interlocuzione la premier proverà a stabilirla con Macron: questo sul piano dell’intuizione politica. Se vi riesce, farà ciò che Fini non è riuscito a fare…”

Mentre sulle questioni europee imperversa la notizia delle dimissioni di Liz Truss, ecco che il vertice del Ppe di oggi ha messo alcuni punti fissi nel grande imbarazzo europeo a seguito delle parole di Silvio Berlusconi. Secondo quanto si è detto, anche a microfoni spenti, le dichiarazioni di Berlusconi paradossalmente potrebbero rafforzare Giorgia Meloni nei confronti del Ppe.

FdI & Ppe

Il ragionamento va fatto risalire al lavoro preventivo condotto a fari spenti negli ultimi mesi da Raffaele Fitto, al fine di costruire non solo una semplice ma imprescindibile buona relazione con Weber per accreditare la Meloni, ma soprattutto una linea di intenzioni e di politiche. Per cui, mentre fino a ieri era stata Forza Italia a definirsi il garante dell’europeismo dell’atlantismo in quanto partner di governo, adesso il possibile schema che è all’attenzione di Bruxelles è che il Ppe potrebbe dirsi tranquillizzata dal posizionamento della Meloni con l’auspicio che il premier in pectore possa sostenere Antonio Tajani a fare ministro degli Esteri.

Di contro nel meeting di oggi non è passata la vulgata che Berlusconi resta atlantista ed europeista, e che quelle frasi sono state dettate dalla concitazione del momento: questa volta proprio non ha funzionato, dice a Formiche.net chi era presente a quel vertice. Pare che per Weber il capitolo Berlusconi sia quasi completamente chiuso.

Doppio paradosso

“Ho una lettura di quanto sta accadendo piuttosto semplice in realtà, – dice a Formiche.net Mario Mauro, già ministro della Difesa e attentissimo osservatore del Ppe – e cioè il governo Draghi era un governo che nel dibattito politico italiano, già compromesso dalle vicissitudini della 18ma legislatura, aveva isolato due questioni sulle quali si è giocata la credibilità dell’Italia. Queste due questioni sono l’Atlantico e l’europeismo. E Draghi ha immortalato in un’immagine la versione vincente di questa interpretazione, cioè quando l’Italia, con il suo presidente del Consiglio, si fa leader portando in treno a Kiev Macron e Scholz: ora la sfida per il governo Meloni è stare a questo livello”.

Ma il paradosso qual è? È duplice, aggiunge. “Perché Meloni è da un lato l’unica che è stata all’opposizione di Draghi, ma dall’altro è stata probabilmente tra i partiti politici italiani, l’unica ad essere sempre leale con Draghi. Quindi, diciamo, non c’è nessun garante del governo Meloni che non sia Meloni stessa e questo la rende in un modo nuovo, che non è quello tradizionale, idonea a raccogliere le sfide dell’atlantismo e dell’europeismo. Il prima, di fatto, l’ha affrontato prima ancora di diventare presidente del Consiglio ed è stato indirettamente provocato dalle dichiarazioni di Berlusconi – sottolinea –. Ora è chiamata ad affrontarlo subito, considerando le condizioni delle relazioni tra Francia e Germania in questo momento al minimo storico. E Meloni, paradossalmente, è chiamata a un ruolo europeista, cioè a favorire una maggiore integrazione europea sul piano politico, cioè sul piano delle decisioni politiche”.

Fatto nuovo

Si tratta, in pratica, di un fatto nuovo per l’Europa, ovvero che sul piano della dottrina del politicamente corretto lei rimarrà ingombrante e politicamente esposta ai dubbi del Parlamento europeo, mentre invece sul piano della relazione tra le nazioni Meloni in questo momento ha il massimo della credibilità che un leader politico italiano possa aver avuto negli ultimi anni. “Perché intanto i leader della famiglia politica di Meloni sono in posizioni cruciali sia in positivo sia in negativo: Polonia, Ungheria e quello che può succedere in Spagna se Vox dovesse diventare necessario per la formazione del governo”.

Meloni e l’eredità

Inoltre, aggiunge Mauro, ha avuto un passaggio di testimone in cui Draghi le lascia una significativa eredità. Quindi ha un vantaggio da spendere e dipenderà ovviamente molto da lei se troverà un interlocutore valido nel contesto europeo. “Io voglio concludere con un altro paradosso. Secondo me il paradosso sarà che questa interlocuzione proverà a stabilirla con Emmanuel Macron, cioè dunque con quello che ipoteticamente è il più lontano da lei: questo sul piano dell’intuizione politica. Poi che si trovino gli sherpa, che ci siano gli uomini in grado di pilotare queste cose non ho dubbi. Il problema però è l’intuizione politica. Se fa questo, Meloni riesce a fare quello che Fini non è riuscito a fare: legittimare autonomamente la destra italiana senza il ricorso alla mediazione che a quel tempo era di Berlusconi e che, oggi, Berlusconi continua a dire di volersi intestare, ma che non ha più le caratteristiche per poter fare”, conclude Mauro.

@FDepalo



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