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Il governo Meloni e il conservatorismo in rosa

Grazie alla crisi epocale della sinistra e l’ideologia di fondo che guida il melonismo, arriva il primo esecutivo guidato da una donna della storia italiana. Anche soltanto per questa buona ragione si può dire che siamo innanzi ad una rivoluzione vera nella politica nazionale. Il commento di Benedetto Ippolito

Stamani a Roma si svolge al cospetto del presidente della Repubblica il giuramento del primo governo di Giorgia Meloni. Ha inizio così, dopo una tempestiva incubazione, il primo esecutivo guidato da una donna della storia italiana. Anche soltanto per questa buona ragione si può dire che siamo innanzi ad una rivoluzione vera nella politica nazionale.

La leader di Fratelli d’Italia in dieci anni ha creato dal nulla un partito e ha lentamente scalato i consensi, arrivando poi nel corso della passata Legislatura ad essere maggioritaria, infine catturando il cuore degli italiani.

Questa impresa impossibile è stata non solo possibile ma si è realizzata grazie a due fattori decisivi: la crisi epocale della sinistra e l’ideologia di fondo che guida il melonismo.

Sul primo tema c’è poco da aggiungere agli accadimenti noti a tutti. Dopo l’idillio veltroniano delle origini e il giorno dopo l’eclissi della breve stella renziana, il Partito democratico ha vissuto una progressiva devitalizzazione, fatta di retorica potente ma sterile, culminata con la debacle elettorale del 25 settembre. Niente più appeal per il progressismo colorato di melenso buonismo pseudo europeista, di auto investitura da ottimati fai da te e di monopolio del moralismo insulso.

Dalla sua parte Meloni ha sfruttato gli errori di Matteo Salvini, sceso sempre più giù dalla fatidica estate 2019, divenendo con la sua intelligente opposizione in esclusiva al Governo Draghi il baricentro politico nazionale, sorretto dalla formidabile fedeltà all’Idea, come avrebbe detto Julius Evola.

D’altronde, a differenza di Silvio Berlusconi, Meloni esprime una versione nazionale del conservatorismo in purezza, aliena dalla logica affaristica degli animal spirits di memoria liberale.

Dal lato dell’etica, con la difesa della vita, della famiglia naturale, della natalità, dal lato della società, con l’interesse interno e la valorizzazione del lavoro, dal lato della politica estera, con il tratto patriottico indiscutibile nel definire le relazioni euro-atlantiche, ecco che il melonismo si prospetta come un modello ideologico nazionalpopolare e rivoluzionario, totalmente in antitesi al progressismo ormai bolso del centro e della sinistra.

Questa cultura di destra vi è sempre stata in Italia, d’altronde, ha una lunga storia repubblicana, sebbene sia stata per tanti decenni divisa tra la lotta al sistema di Pino Rauti e l’alternativa nel sistema di Giorgio Almirante, dando la parvenza, col nuovo millennio, di essere archiviata per sempre nelle biblioteche di storia contemporanea.

Dopo la parentesi liberale di Gianfranco Fini, invece, ecco che nel 2012 Meloni ha saputo credere nel “polo escluso” come lo ha definito Piero Ignazi. Ha scommesso che vi fosse uno spazio ideologico, culturale e politico che nessuno rappresentava più, pensando che fosse sopravvissuto perlomeno nella disillusa memoria degli italiani. E questo sfondo tradizionalista adesso ritorna insieme a lei alle vette dello Stato, insieme alla parte più consistente della vita politica di molti ministri del suo nuovo Gabinetto. Oggi l’Italia si avvia ad affrontare i problemi eccezionali e quelli ordinari che sono sul tavolo di Palazzo Chigi con una guida forte e carismatica, una donna giovane, sorretta da un forte consenso popolare, ed è perciò nelle migliori condizioni politiche per dimostrare cosa possa riuscire a fare con le sue forze e capacità.

Potrà riuscirci oppure no, ovviamente, ma l’augurio è comunque che la nostra nazione possa superare questa situazione drammatica del presente, ritrovando un po’ di orgoglio, una vitalità nascosta, riallacciando un legame con la propria identità comunitaria, liberandosi di dosso quella potente serie di false finalità e di sfruttamento potente delle risorse nazionali, umane ed economiche, ormai costretta all’angolo dalla democrazia sostanziale.

La rivoluzione conservatrice in rosa è iniziata, dunque, in Italia, la sua anima è di destra e la protagonista si chiama Giorgia Meloni.

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