Skip to main content

Il peso delle cose

Guardare alle origini a volte aiuta. Prendiamo il termine “responsabilità”: lo usiamo assai di sovente e talvolta a sproposito, ma quasi sempre ne scordiamo l’etimo. Res pondus significa infatti “il peso delle cose”. Per poter essere responsabili (non ci riferiamo al gruppo parlamentare, sia chiaro!), occorre riuscire a pesare, letteralmente, le cose, comprese le parole che si pronunciano. Se questa è la premessa, è facile dedurre come siamo alla parabola di un’era contraddistinta dalla irresponsabilità. Quante leggerezze abbiamo sentito pronunciare o quanti provvedimenti abbiamo visto promuovere con superficialità? Tutto, troppo spesso, senza il minimo calcolo delle conseguenze. Se questo vale per le classi dirigenti in genere tanto più vale per chi esercita ruoli politici ed istituzionali. Con la indiscutibile e lodevole eccezione del presidente della Repubblica, in questi lunghi – e almeno apparentemente interminabili – mesi, piromani professionisti e di fortuna si sono cimentati nell’appiccare piccoli e grandi fuochi e poi, non soddisfatti, hanno continuato soffiando sulle fiamme.
 
L’immagine di Nerone che fa bruciare Roma mentre lui suona la cetra probabilmente non appartiene neppure alla verità storica, ma è questa la metafora che spontaneamente viene in mente nella constatazione di quanto sta accadendo in Italia.
Le cose da fare, da amministrare, da cambiare sono innumerevoli. Tutte e ciascuna di infinito peso. Può essere che questo fardello insista sulle spalle di una persona sola? Abbiamo sì bisogno di personalità autorevoli che ci aiutino e guidino nelle sfide che dobbiamo affrontare, ma non possiamo illuderci che tale responsabilità (il peso delle cose) possa essere tutta concentrata nella figura del leader. La fatica del governo – perché quando è serio, di fatica si tratta – è sostenibile quando è articolata, suddivisa e condivisa da più persone. Queste si possono tenere insieme solo da un progetto comune, da una visione, da una pluralità omogenea di valori.
Il miraggio del potere divide, non unisce, e quindi non solo non è sufficiente ma è persino una insidia alle migliori intenzioni. L’idea di un novello homo novus che possa ribaltare le sorti di un Paese in declino fa sorridere ed è, quando si è in buona fede, banalmente effimera. Nessuno può più scrollarsi di dosso il proprio peso delle cose. Assumersi una responsabilità non significa incamminarsi lungo un prestigioso red carpet. Al contrario vuol dire avere la consapevolezza di affrontare un percorso tortuoso e difficile, eppure doveroso. Non si ha la certezza del risultato ma la contezza del rischio. È la tensione, ideale e concreta, verso il bene comune e quello dei propri cari a muovere nella direzione giusta. In una società in cui la tv e Internet ti educano al sogno di avere tutto subito e facilmente, l’etica dell’impegno può apparire un’utopia. Invece, è ormai una necessità.


×

Iscriviti alla newsletter