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L’ombra delle riforme

L’arcipelago delle associazioni e delle fondazioni politiche annovera da qualche tempo una nuova, felice, isola. Parliamo di Italia Decide: un’iniziativa promossa da Luciano Violante, che la presiede, che vede Carlo Azeglio Ciampi come presidente onorario e personalità come Gianni Letta, Giuliano Amato e Giulio Tremonti fra i primi aderenti. Il calibro, e l’estrazione assolutamente bipartisan, delle figure istituzionali coinvolte ha scatenato la fantasia dei media che hanno dipinto la neo-associazione come prova tecnica di governissimo. Italia Decide è ovviamente qualcosa di molto diverso e, oseremmo dire, di molto più importante. È una risposta politica alla crisi della politica e all’avanzata dell’antipolitica. Non è un gioco di parole e neppure uno slogan: è il tentativo di rappresentare plasticamente un esempio di quello che Luciano Violante ha con efficacia definito “patriottismo repubblicano”.

È lo stesso ex presidente della Camera a spiegare il senso della sua “creatura”. “Siamo persone chi rivestono o hanno rivestito rilevanti ruoli nella politica, nelle istituzioni, nell’impresa e sentono il dovere di svolgere un servizio civile per la Repubblica, al di là del perimetro delle singole appartenenze ideologiche o di partito o delle diverse esperienze professionali”. Italia Decide, perché chiamare così un’associazione? “La decisione – spiega – è un handicap per noi: quando si decide, come si decide, chi decide e soprattutto come si eseguono le decisioni. Siamo pieni di autocrati impotenti, di persone o di istituzioni autorevoli che pensano alla decisione come puro atto di volontà seguito dalla comunicazione all’opinione pubblica. Ma non si occupano della qualità della decisione né della sua realizzazione. Eppure, paradossalmente, la cosa più semplice è decidere, la cosa più difficile è attuare le decisioni”.
Italia Decide ha presentato, davanti al Capo dello Stato, un primo corposo dossier dedicato al tema delle infrastrutture d’interesse nazionale. Le risorse private bloccate in opere decise ma non realizzate sono pari a sedici miliardi di euro. “Nel nostro rapporto evidenziamo innanzitutto il paradosso del groviglio normativo: i soggetti privati contestano l’appesantimento normativo, ma chiedono a loro volta norme per risolvere problemi specifici. Abbiamo denunciato un meccanismo che genera una crescita bulimica e sregolata dell’ordinamento. Quindi – prosegue Luciano Violante – anche grazie al contributo di geografi abbiamo messo in luce la questione del ‘territorio’, che non è una realtà passiva ma un luogo dove ci sono campi di forze, persone che lavorano e si muovono, bambini che crescono e imparano; dove ci sono ambiente, panorama, paesaggi. Tutti gli interessi che agiscono sul territorio interessato dall’opera vanno sentiti il prima possibile, devono sentirsi protagonisti non vittime dell’opera. L’interesse nazionale non può essere considerato come un’imposizione al territorio: dev’essere una chance per quello stesso territorio, che coopera sin dall’inizio alla sua definizione. In questo modo si eviterebbero i costi elevatissimi sia finanziari che temporali, e le rendite parassitarie che si annidano attorno al meccanismo delle varianti”.
Difficile non essere d’accordo ma dimenticare gli effetti negativi della riforma del Titolo V della Costituzione sarebbe come nascondere la testa sotto la sabbia. “Certamente ci sono dei difetti; però dal 2001 le Regioni riescono a governare grazie a quella riforma. Vanno apportate correzioni e integrazioni, ma senza farsi grandi illusioni. È giusto riportare alla competenza esclusiva dello Stato alcune materie, le grandi reti ad esempio, come fece la riforma del centrodestra, poi bocciata dal referendum popolare. Ma – avverte l’ex presidente della Camera – la politica del territorio resta di competenza delle Regioni e degli Enti locali e non la si può sottrarre. Perciò bisogna comunque coinvolgere Regioni e enti locali sin dalle prime fasi”.
La partecipazione alla decisione è un principio sacrosanto ma la mia sensazione è che, anche grazie ad una diffusa ed erronea declinazione delle riforme Bassanini, a sciogliere i nodi di ormai qualunque appalto, piccolo o grande che sia, non vi sia la politica ma il Tar piuttosto che il Consiglio di Stato. “Concordo, e anzi devo dire che ci sono numerose imprese che hanno uffici legali più grandi degli uffici tecnici. Perché oggi una gara si può vincere non per merito degli uffici tecnici, ma per merito degli uffici legali”.
Il tema di una eccessiva giurisdizionalizzazione dell’amministrazione preoccupa molto Luciamo Violante che su questo tema aggiunge: “L’abuso in atti di ufficio è una norma sacrosanta; ma alcune interpretazioni giurisprudenziali ne hanno fatto una sorta di strumento per il controllo penale generale sugli atti della Pubblica amministrazione. La scomparsa della categoria dell’atto politico ha ricondotto alla giustizia amministrativa il controllo di qualsiasi tipo di atto, dalla elezione del presidente di un Consiglio comunale alla nomina del comandante generale della Guardia di finanza. Recentemente sono state varate norme che riguardano la Corte dei Conti, in base alle quali quei magistrati possono effettuare il controllo in corso di gestione nei confronti delle amministrazioni statali, regionali, provinciali e comunali. Insomma, mi permetta l’esagerazione: l’amministrazione sta diventano un’articolazione della giurisdizione”.
È come se la politica, dopo le degenerazioni degli Anni ‘80 e ‘90, abbia preferito “auto-commissariarsi” ed affidare le responsabilità finali ai vari tribunali. Non sarebbe il caso di tornare al primato della politica? ”Io – dice Violante – al concetto di primato della politica preferisco il concetto di responsabilità della politica. In effetti, in questi anni, la politica ha vissuto una sorta di fuga da se stessa. Una politica che vuole guadagnare consenso dicendo ‘guardate, questa cosa non la faccio io, la faccio fare ad un altro’, riduce la propria autorevolezza e quindi la propria capacità di persuasione dei cittadini. La responsabilità politica va invece esercitata fino in fondo, non delegando ad altri quello che si è tenuti a fare con le proprie forze. Se invece dice ai cittadini: ‘Io voglio raggiungere questo risultato e lo raggiungo in questo modo’”, e dimostra di saperlo raggiungere, acquista consenso e credibilità. Meglio la responsabilità che la viltà”.
Forse dovremmo partire dalla Grande Riforma, quella chimera che la politica insegue invano da troppi lustri. Mentre facciamo per esporre la nostra tesi, l’inventore di Italia Decide, che di esperienza nella politica e nelle istituzioni ne ha non poca, ci blocca e ci dice la sua. “Una riforma di fatto è già in corso da tempo e blocca la revisione formale della Costituzione. Si sta affermando una nuova forma di governo, il governo semiparlamentare e parapresidenziale. Il ricorso costante e continuativo ai decreti legge, ai maxi-emendamenti, alla fiducia da un lato e alle ordinanze emergenziali della Protezione civile, persino per i problemi del traffico a Roma e a Napoli, ha prodotto una modifica sostanziale alla Carta costituzionale. Non si fanno le riforme costituzionali perché si preferisce andare avanti con questo sistema. Quindi non siamo più nella fase in cui eravamo cinque anni fa, tre anni fa. Siamo in un’altra fase, caratterizzata da alcuni paradossi. Non è il presidente del Consiglio (prima Prodi poi Berlusconi) che ha la fiducia della maggioranza, ma grazie ad una disastrosa legge elettorale, è la maggioranza che gode della fiducia del presidente del Consiglio, che ha scelto uno per uno i suoi parlamentari. Aggiunga l’introduzione de facto del premierato (perciò parlavo di governo parapresidenziale) con l’indicazione sulla scheda attraverso il simbolo elettorale del nome del candidato alla presidenza del Consiglio. Il risultato finale è l’idea che la rappresentanza sia legata non al Parlamento ma alla figura del capo dell’esecutivo da cui tutto e tutti dipendono. Tutto questo crea uno sconvolgimento istituzionale per responsabilità assolutamente condivise dagli uni e dagli altri, tant’è che nessuno si batte per un cambiamento della legge elettorale. Se la società è senza rappresentanza politica e la politica è senza rappresentanza dei cittadini, la politica diventa puro esercizio del potere e la società si frantuma. Una nuova legge elettorale e una riforma costituzionale seria dovrebbero avere l’effetto di ricondurre dentro l’alveo della correttezza democratica questo processo”.
Eppure una maggioranza così larga non sembra capace di intervenire in modo profondo neppure sul capitolo giustizia. Violante dissente: “Anche su questo versante si stanno prendendo decisioni non meno delicate e importanti. Sono dilatate le competenze dei tribunali amministrativi, del Consiglio di Stato e della Corte dei Conti. Addirittura una recente riforma prevede la possibilità che il Consiglio di Stato sia delegato dal governo a scrivere direttamente le norme sulla giustizia amministrativa. Se una legge avesse previsto che la Corte di Cassazione potesse essere delegata a redigere il nuovo codice di procedura penale, gli avvocati sarebbero insorti. In pratica sta cambiando la governance del Paese perché sono entrate a farne parte, grazie soprattutto alla indiscussa competenza professionale, i magistrati amministrativi e i magistrati contabili. Dall’altra parte la giustizia penale sta diventando marginale (è un contrappasso?) perché è oberata da carichi di lavoro enormi per questioni bagatellari, si vede minacciare la riduzione dei mezzi investigativi (mi riferisco al pdl sulle intercettazioni) e vede attribuire di fatto, con un’altra proposta di legge, l’azione penale alla polizia giudiziaria, che dipenderebbe dal governo. Se questo disegno va avanti, si formalizzerà di fatto un nuovo sistema costituzionale, senza modifiche formali della Carta. Le riforme – conclude amaro Violante – si stanno facendo, altro che!, ma passano per vie di fatto. Perciò bisogna affrettarsi a fare quelle vere, a partire dalla legge elettorale, che è la madre di tutte le riforme”. Secondo l’ex presidente della Camera, nelle ultime legislature si è avviato un cambiamento profondo del nostro sistema politico. Il punto non sono le veline, ma le istituzioni. Quanti hanno davvero consapevolezza di quel che sta accadendo sotto la polvere delle polemiche aride e banali della quotidianità? Italia Decide è una grande ambizione. Se anche fosse semplicemente Italia Consapevole, ci potremmo accontentare.


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