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La frattura dell’asse franco-tedesco? Effetto collaterale della strategia russa

Una frattura che si ricomporrà, quella tra Francia e Germania? Difficile fare previsioni. Dovendosi tener conto di quella variabile impazzita, che sarà costituita dalle future decisioni di Vladimir Putin. L’analisi di Gianfranco Polillo

Sarà ancora un’Europa a trazione tedesca, oppure le grandi trasformazioni geopolitiche, che già si intravedono all’orizzonte, ne determineranno una diversa configurazione? Sono questi gli interrogativi del momento, su cui sarà necessario cominciare a riporre l’attenzione. Cogliendo la fase di passaggio che ha caratterizzato la politica tedesca: segnata, com’è stata, dalla fine dell’epoca di Angela Merkel e la consegna del testimone a quel suo ex alleato – competitor, che risponde al nome di Olaf Scholz, che fu vice cancelliere del suo ultimo governo.

Una diversa caratura dei due personaggi? Certo, ma non solo. Soprattutto l’effetto indiretto, determinato dai cambiamenti già intervenuti nei rapporti di forza tra Russia, gli Stati Uniti e la stessa Ue. Che hanno segnato una cesura profonda tra un “prima” ed un “dopo”. Durante gli anni della pace, il “prima”, la Germania si era comportata come un onesto mercante. Aveva fatto affari, approfittando soprattutto della sua forte struttura industriale. Venduto a chiunque beni capitali e prodotti industriali di largo consumo (si pensi alle automobili), esportandoli in tutta l’Europa, la Russia, la Cina ed il continente americano. Soprattutto gli Usa.

La sua forza era stata testimoniata dal forte attivo delle partite correnti della bilancia dei pagamenti. In media pari a diversi punti di Pil, superiore a quello della stessa Cina. In grado di consentirle, insieme all’Olanda ed alla Danimarca, di finanziare tutti gli altri Paesi dell’Unione. Che, invece, soffrivano di squilibri nei relativi conti con l’estero. Il che le assicurava quella posizione di indubbia primazia, ch’era alla base del suo ruolo dominante. Con i tedeschi costretti a vivere al di sotto delle loro possibilità, per consentire ai Paesi in deficit di vivere più comodamente, grazie ai crediti esteri loro concessi. E le istituzioni comunitarie chiamate a fare da cane da guardia per intervenire, come nel caso della Grecia, qualora il debito pubblico e privato di questi ultimi fosse divenuto insostenibile.

Gli ingredienti politici – economici di quel complesso meccanismo erano diversi. La Germania, dovendo soddisfare la fame del proprio complesso industriale, aveva bisogno di poter disporre di energia sicura ed a basso costo. Obiettivo raggiunto grazie ad uno stretto legame con la Russia. Scelta, tuttavia, che aveva fortemente irritato gli americani, sia sul piano economico (eccesso di import Made in Germany), che su quello politico. Al tempo stesso il rapporto con il resto dei Paesi europei non poteva essere gestito in solitaria. Occorreva, quanto meno, coinvolgere almeno uno dei Paesi fondatori. Si spiega così la nascita e lo sviluppo del cosiddetto “condominio franco – tedesco”. Quell’alleanza privilegiata, nata molto prima la nascita dell’euro, per poi trasformarsi in un vero e proprio “asse” negli anni successivi.

Sono stati gli effetti collaterali dell’invasione dell’Ucraina, da parte di Putin, a far saltare quello schema. Se, in precedenza, esisteva una parvenza di unità europea non tanto contrapposta, ma almeno distinta, dagli Usa; la manipolazione dei prezzi del gas, da parte di Gasprom, ha finito per favorire proprio Washington. E introdurre elementi di divaricazione nella realtà europea. Con la conseguenza di rivitalizzare la NATO che, in precedenza sonnecchiava, e far nascere l‘indubbio paradosso di un Putin che strepita contro il predominio yankee, ma poi lo favorisce, costringendo gli europei ad stringersi sotto l’ombrello a stelle e strisce.

Sulla spinta di queste nuove contraddizioni lo stesso vecchio asse franco tedesco non poteva reggere. Troppe le differenze, che la nuova realtà economica e politica era destinata a far risaltare. E far emergere in campi cruciali come quello dell’energia, della difesa o dei rapporti, sia interni che esterni, all’Unione europea.

Sul fronte energetico, la maggiore solidità francese era garantita, da tempo, dallo sviluppo del nucleare. Che consentiva alle relative imprese e famiglie una maggiore autonomia e, quindi, all’Eliseo una minora timidezza nei confronti dell’orso siberiano. Situazione che Macron aveva cercato di sfruttare, ponendosi come grande mediatore nei confronti di Putin, avendo tuttavia l’accuratezza di non indebolire il fronte occidentale. Quel vantaggio di base, tuttavia, non escludeva possibili divergenze sugli sviluppi futuri. Specie per quanto riguardava la costruzione di nuovi gasdotti.

Due, in particolare, i dati del contendere: il Mid-Cat (Midi-Catalonia) e il Bar-Mar (Barcellona-Marsiglia). Il primo (da completare) ben visto e sponsorizzato dalla Germania, con l’idea di ricevere gas dall’Algeria, passando per la Spagna, ma ostacolato dalla Francia, e quindi bloccato. Il secondo invece, di maggiore interesse francese, che ne aveva concordato la costruzione con Spagna e Portogallo, per farne prima un hub per il gas e poi per l’idrogeno. Quindi il vero pomo della discordia, date le scadenze più lontane per la messa in funzione dei nuovi gasdotti. La decisione tedesca di stanziare 200 miliardi di euro a favore delle proprie famiglie ed imprese. Scelta malvista dalla Francia che paventava, giustamente, il maggiore vantaggio competitivo, così concesso alle imprese tedesche.

Ancora più rilevante il tema della difesa comune. Il condominio franco – tedesco si basava su un accordo più o meno tacito. Alla Francia il primato militare, grazie alla sua “force de frappe”, in campo nucleare, alla Germania quello economico – industriale. Per questo motivo le spese militari francesi, erano state pari più o meno al doppio di quelle tedesche. Equilibrio che si era rotto con la decisione di Scholz di adempiere alla richiesta NATO, portando la spesa militare al 2 per cento del Pil. Ma in più aggiungendovi la decisione di una spesa ulteriore di 100 miliardi di euro, destinata all’ammodernamento delle sue forze armate. Decisioni che hanno rovesciato i precedenti rapporti finanziari.

E poi come se non bastasse, altre due decisioni operative, che hanno fatto alzare la tensione: gli acquisti sempre da parte tedesca degli aerei da combattimento F35. Scelta alternativa alla realizzazione di un aereo da combattimento europeo, il Future combat air system (Fcas), frutto della joint venture franco – tedesca (Dassault e Airbus). Nonché la decisione assunta, insieme ad altri 13 Paesi europei (la frontiera orientale) di acquistare dei sistemi di difesa antimissilistica, basati su tecnologia congiunta Stati Uniti – Israele. Accordo concluso all’insaputa di Francia ed Italia, a loro volta titolari di uno specifico brevetto.

L’insieme di questi contrasti non poteva non avere effetto sulle relazioni internazionali. La Francia non ha condiviso la fretta di Scholz di recarsi a Pechino, primo leader straniero a fare visita a Xi Jinping, subito dopo la sua terza investitura, da parte del congresso del partito comunista, alla presidenza della Cina. Né la decisione di Scholz di vendere alla cinese Cosco (azienda finanziata dallo Stato) il 24,9% di un terminale del porto di Amburgo. In tal modo la presenza cinese, che si estende a macchia d’olio dal Pireo a Trieste; da Rotterdam ad Anversa, rischiava di diventare debordante, e rendere evidente il successo della “nuova via della seta”.

Facile, alla fine, tirare le somme: quei motivi del contendere si sono dimostrati talmente seri da lasciar intravedere una vera e propria frattura in quel vecchio condominio. Con una Francia sempre più orientata verso l’area Med ed una Germania, come si è visto nella discussione sul price cap per i prodotti energetici, più sensibile ai richiami del Paesi del Nord: Olanda e Norvegia in testa. Una frattura che si ricomporrà? Difficile fare previsioni. Dovendosi tener conto di quella variabile impazzita, che sarà costituita dalle future decisioni di Vladimir Putin.


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