Facendo i calcoli sui numeri della Nadef, ci sono più punti di forza di quanti il governo ne abbia annunciati. Rimanendo parsimoniosi e vigili, l’Italia, o meglio la Nazione e quindi questa maggioranza, ha una speranza di futuro. Il commento di Gianfranco Polillo
Nei conti appena presentati dal ministro dell’Economia c’è qualcosa che non quadra. Naturalmente siamo noi che possiamo sbagliare. Ma i calcoli effettuati, per fortuna, sembrano escludere questa possibilità. Diciamo per fortuna perché, se fosse così, le cose dovrebbero andare meglio di come sono state prospettate. Il che porta ad un’ulteriore considerazione. In ogni caso la politica, non avrebbe colpa. La disattenzione sarebbe stata tutta tecnica. Cosa che, a volte, può capitare. Precisazione rivolta ad evitare inutili anatemi, come quelli che riempiono le cronache politiche degli ultimi giorni
Fatte tutte queste precisazioni, si può procedere nel merito. Sempre che questa parola non turbi ancora gli spiriti più sensibili. Il dato del contendere è racchiuso in una singola cifra: 3,7 per cento, che altro non è che il tasso di crescita stimato per l’anno in corso. Stima che è migliorata rispetto al lascito del precedente governo, ma non nella giusta misura. Lo scorso settembre, quando fu varata la Nadef, la previsione di crescita del Pil italiano, per l’anno in corso, era più bassa: pari al 3,3 per cento ed una differenza di 0,4 punti in meno.
Sennonché – ecco dove il discorso non torna – le stime Istat per il terzo trimestre indicano una “variazione acquisita”, per l’anno in corso, del 3,9 per cento. Dovrebbe essere questo l’ambito traguardo, anche qualora i risultati del quarto trimestre mostrassero un encefalogramma piatto. Un tasso di crescita pari a zero. Ne deriva pertanto che per avere, a fine anno, un tasso di crescita pari al 3,7, secondo le ultime stime del Tesoro, la caduta dell’ultimo trimestre dell’anno dovrebbe esse pari allo 0,6 per cento. Ovviamente non auspicabile, ma soprattutto scarsamente probabile. Non si dimentichi, come ha ricordato Ignazio Visco, nel suo recente intervento all’Omfif, che solo due mesi fa il prezzo del gas aveva raggiunto i 340 euro per megawatt ora, quando negli ultimi giorni il prezzo si è stabilizzato sui 100 euro.
C’è poi un secondo elemento che lascia perplessi. Le previsioni di crescita, rispetto a quelle dello scorso settembre, migliorano per l’anno in corso, ma peggiorano per il 2023 di 0,3 punti. In questo caso sembrerebbe che i tecnici del Tesoro non se la siano sentita di divergere da quanto indicato dall’ultimo Bollettino economico della banca d’Italia. In cui, appunto, la crescita prevista, nello scenario di base, era indicata nello 0,3 per cento, come nel testo varato dal governo. A meno che, sempre rispetto allo scorso settembre, non si preveda un drastico peggioramento del quadro generale. Cosa che lo stesso Visco, tuttavia, sembrerebbe escludere. Sempre nel corso dell’intervento, precedentemente citato, le sue parole, infatti, sono state: i nuovi dati indicati dall’Istat (successivi all’andata in stampa del Bollettino) “suggeriscono che la crescita dovrebbe, ceteris paribus, essere un po’ più alta quest’anno e questo effetto si trascinerebbe meccanicamente al prossimo anno.”
Questi quindi gli elementi della contesa. Sembrerebbe lana caprina, ma così non è. Che la situazione sia difficile, soprattutto a causa dell’imprevedibilità della politica russa nelle sue azioni di guerra dirette contro l’Ucraina ed indirette nei confronti di tutto l’Occidente, è fin troppo evidente. Resta, tuttavia, da vedere come i singoli Paesi si stanno comportando di fronte allo shock esogeno alimentato dai venti siberiani. Le fragilità italiane, specie in tema d’energia, sono ben note. Colpa anche dei capricci di tanti ambientalisti di rito luddista. Ma vi sono anche alcuni punti di forza che non vanno trascurati. E che spiegano perché il terzo trimestre sia andato meglio del previsto: da un meno 0,2, come ipotizzato, ad un più 0,5 per cento di Pil come realizzato.
Alcune cose sono state dette. Il marcato apporto dei servizi, ad esempio. Soprattutto il boom del turismo, grazie anche all’eccezionalità del clima. Sul commercio internazionale, invece, il comunicato Istat è stato alquanto laconico: le importazioni – è detto – crescono più delle esportazioni. Il che è innegabile, dato il forte aumento dei prezzi dell’energia. Che, da sola, contribuisce per circa l’80 per cento a portare in alto il tasso di inflazione. Ma com’è mutata la posizione relativa dell’Italia rispetto agli altri Paesi? È migliorata o peggiorata? Questo è l’interrogativo che rimane senza risposta. Anche se tutto fa pensare che, almeno fino a questo momento, non si siano prodotte falle minacciose nel pur fragile scafo dell’economia italiana.
Secondo il Bollettino della Banca d’Italia, infatti, “l’avanzo mercantile valutato al netto dei beni energetici” continua “a rimanere su un livello storicamente elevato”. Segno evidente della forza di tante imprese italiane che, nonostante la burrasca, riescono a tenere il mare. Ma c’è di più. “Alla fine di giugno – annota diligentemente sempre la Banca d’Italia – la posizione netta sull’estero dell’Italia era creditoria per 104,6 miliardi di euro, pari al 5,7 per cento del Pil”. Rispetto alla fine di marzo era diminuita di 21 miliardi: è vero. Ma nulla a che vedere con quanto avvenne nel 2011, quando allora i debiti con l’estero erano pari ad oltre il 25 per cento del Pil. Che dicono queste cifre? Che si può andare avanti. Certo, rimanendo parsimoniosi e vigili. Ma soprattutto che l’Italia, o meglio la Nazione e quindi questa maggioranza, ha una speranza di futuro.