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Midterm, la guerra psicologica cinese svela gli obiettivi di Xi

La Cina ha messo in piedi una campagna di infowar contro gli Stati Uniti, proprio in occasione del MidTerm, con l’obiettivo di disarticolare le democrazie come gli Usa e promuovere il modello autocratico cinese come “nuova scelta per l’umanità”

“La minaccia di interferenze cinesi nelle elezioni democratiche richiede un’azione immediata da parte dei politici di Washington e delle altre capitali occidentali”, scrive Craig Singleton, senior China fellow alla Foundation for Defense of Democracies. FDD è un think tank washingtonians che segue con costante attenzione i temi connessi alla protezione dei valori democratici e dunque dei pilastri su cui si basano le democrazie, il mondo delle alleanze Tier-1 secondo la visione di Joe Biden.

Singleton parla su Foreign Policy — media non certo distante a quel tipo di visione — delle attività che la Cina sta svolgendo all’interno dell’ecosistema elettorale statunitense in vista del voto di Metà Mandato che ci sarà domani, 8 novembre. Un voto molto importante per la stabilità dell’amministrazione Biden, la quale potrebbe perdere la maggioranza al Congresso e vedersi complicata l’azione di governo. Per Pechino non è importante cercare di promuovere un lato piuttosto che un altro, perché i pianificatori cinesi hanno piena consapevolezza che l’attività anti-cinese è probabilmente uno degli unici fattori che trova condivisione bipartisan e impegno congiunto.

E sta proprio qui il punto. Per il Partito Comunista Cinese è importante seminare caos, favorite l’approfondimento di quelle faglie lungo cui scorre la polarizzazione interna statunitense, sfruttando operazioni di infowar che hanno sostanzialmente come obiettivo la spinta a un pensiero anti-sistema con cui porre i cittadini (in questo caso statunitensi, ma come fa notare Singleton nessuno è da considerarsi al sicuro) in un terreno di sfiducia verso le istituzioni, con cui infuocare dibattiti e tensioni sociali e con cui introdurre storytelling sociali contrastanti e persino cercare di radicalizzare gruppi specifici all’interno di una popolazione. Qualcosa che vada a destabilizzare l’essenza stessa della democrazia — un’operazione che sfrutta la creazione di forze anti-sistema all’interno dei Paesi democratici (creazione resa possibile proprio grazie alle libertà delle democrazie).

Gli ultimi sforzi della Cina per seminare dubbi sull’integrità delle elezioni statunitensi — di cui l’intelligence community di Washington parla da tempo — sono coerenti con tale obiettivo. Questo impegno è parte di un progetto dichiarato dal leader cinese Xi Jinping e pensato per promuovere il modello autocratico cinese come “nuova scelta per l’umanità”. Dopo aver consolidato il suo potere al 20° Congresso nazionale del Partito Comunista Cinese, conclusosi di recente, parte dell’interesse dell’era Xi ruota attorno al tentativo di destabilizzare le democrazie e disarticolare il fronte visto in azione per esempio con la risposta alla guerra russa in Ucraina.

Se il consolidamento del potere interno (totale) passerà soprattutto da una spinta alla crescita e alla strutturazione di un nazionalismo economico quanto culturale, mostrare l’indebolimento del raggruppamento rivale — incubo del regime cinese — è parte di tale narrazione. Mostrare o inventare le debolezze del rivale serve a pubblicizzare il proprio modello. Per questo è ritenuto conveniente dalla Cina lavorare su quell’indebolimento — in modo alterato e non veritiero — e cercare di favorirlo. Per certi versi questa leva è stata usata anche con il corteggiamento del cancelliere tedesco Olaf Scholz durante la recente visita del leader europeo a Pechino.

Con l’inizio delle votazioni anticipate in tutti gli Stati Uniti, quest’autunno si sono intensificate anche le attività dei cyberattori affiliati al governo cinese, lo schieramento con cui Pechino cerca di scoraggiare gli americani dal votare, screditare il processo elettorale e seminare ulteriori divisioni tra gli elettori. Molte attività sono state tracciate e smascherate. Per esempio, in una campagna sui social media scoperta dalla società di cybersicurezza statunitense Mandiant, un gruppo di hacker cinesi con il nome in codice “Dragonbridge” ha pubblicato video in lingua inglese su social media, blog e altre piattaforme mettendo in dubbio l’efficacia del voto e sottolineando la “guerra civile” come possibile modo per “sradicare” il sistema “inefficace e incapace” degli Stati Uniti.

Questo è il clima contro cui le agenzie di intelligence (cyber, ma anche fisiche) combattono da mesi e denunciano di non aver mai visto niente di simile — anche perché attività del genere vengono anche da attori collegabili a Iran e Russia. Certi post della campagna individuata da Mandiant suggerivano anche attacchi contro le forze dell’ordine e altre forme di violenza politica. Separatamente, a fine ottobre Twitter ha annunciato di aver interrotto diverse operazioni basate sulla sua piattaforma. Tali campagne coinvolgevano 2mila account individuali e più di 250mila tweet contenenti false affermazioni di brogli elettorali sulle elezioni presidenziali statunitensi del 2020 e discorsi di odio contro la comunità transgender. Erano tutte mosse da uno steso motore: la Cina.

Allo stesso modo, la società di cybersicurezza Recorded Future ha individuato un’altra campagna sui social media, anche questa collegabile a sponsorizzazione cinese, finalizzata a dividere gli elettori statunitensi, questa volta manipolando i loro sentimenti su temi divisivi come l’ingiustizia razziale, la brutalità della polizia e l’assistenza militare degli Stati Uniti all’Ucraina. A settembre, Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha scoperto diversi account falsi provenienti dalla Cina che prendevano di mira gli elettori di entrambi gli schieramenti politici. Alcuni di questi account falsi ritraevano il presidente Biden come corrotto, mentre altri criticavano il Partito Repubblicano e, in particolare, il senatore Marco Rubio — un Reps della Florida sempre molto duro con la Cina — per le posizioni sull’accesso all’aborto e sui diritti delle armi.

Queste campagne, come detto, mirano ad aumentare le polarizzazioni e si insidiano tra i temi più divisivi del dibattito pubblico statunitense. Per questo la diffusione di contenuti alterati attecchisce facilmente tra i cittadini americani, e monta. La spinta delle interferenze esterne si costruisce sulle divisioni sociali (e politiche, sulle disuguaglianze economiche e sofferenze culturali).

L’FBI — l’agenzia federale che segue le attività di controspionaggio — ha anche avvertito che gli hacker del governo cinese stavano attivamente analizzando i vari domini Internet dei due partiti statunitensi, alla ricerca di sistemi vulnerabili anche per operazioni di hacking. Questo tipo di attività è ampiamente coerente con la valutazione della comunità di intelligence del 2020 sull’interesse della Cina ad acquisire informazioni su “elettori e opinione pubblica degli Stati Uniti, partiti politici, candidati e relativi staff e alti funzionari governativi”.

“Queste e altre operazioni di condizionamento delle elezioni non si stanno verificando nel vuoto, né si tratta di episodi singoli e amatoriali che possono essere ignorati. Anzi, riflettono la crescente enfasi di Xi su quello che i cinesi chiamano potere discorsivo”, suggerisce Singleton. L’analista si riferisce così a quell’impegno di Pechino nell’alterare le narrazioni globali sull’autocrazia cinese e la democrazia occidentale, confrontando, contrapponendo e travisando costantemente le due visioni in competizione in modo vantaggioso per la Cina. Fin dall’epoca pre-imperiale, con la diffusione delle prime scuole filosofiche, il potere discorsivo (“huayuquan” 话语权) ha rivestito un ruolo centrale nella cultura politica cinese, e con Xi ha raggiunto la sua massima operatività.

Nella sua forma più estrema — che l’Esercito Popolare di Liberazione cinese chiama “operazioni di dominio cognitivo” e che sono portate avanti anche dalle strategie occidentali — quel potere discorsivo cerca di influenzare i comportamenti individuali e di gruppo per favorire gli obiettivi tattici o strategici della Cina. In fase bellica o pre-bellica, l’obiettivo finale della Cina è quello di minare la volontà collettiva di una nazione avversaria nel resistere alle interessi di Pechino. È ciò che per esempio la Cina cerca di fare con Taiwan: la “riunificazione pacifica”, come la chiama Xi, non è altro che una gigantesca operazione psicologica che si basa su una narrazione alterata, ossia che Taipei appartiene alla Cina.

In fase di pace, quando i toni sono più gestibili, queste attività sono comunque martellanti e costanti. Per esempio, domenica 6 novembre dal ministero degli Esteri cinese veniva diffuso un sondaggio che raccontava come tra il mondo non occidentale il 70 per cento della popolazione aveva un parere molto positivo della Cina. L’obiettivo era far passare l’idea che le visioni negative nei confronti di Pechino fossero parte di una postura aggressiva e sino-fobica occidentale. Un messaggio diretto sia a Ovest (per disarticolare il pensiero tra le democrazie) che a Est e Sud del mondo (dove la Cina cerca di porsi come modello alternativo sfruttando falle di consapevolezza e vulnus storici occidentali), e a Pechino (dove ai cittadini che iniziano a soffrire le strette autoritarie, come quelle sulle normative pandemiche, va inculcato il racconto positivo sul Partito e sullo Stato).

Per ottenere una vittoria discorsiva, la Cina ha ristrutturato il suo Partito/Stato per sostenere l’impiego integrato, in pace e in guerra, dell’opinione pubblica, della guerra legale e psicologica. Oltre a favorire la formulazione e l’esecuzione della strategia di guerra politica, la decisione di centralizzare il command & control di certe attività consente al partito di indirizzare in modo più efficace i circa 10 miliardi di dollari che spende annualmente per le interferenze straniere. Secondo Lu Wei, ex capo dell’Amministrazione cinese per il cyberspazio, il fulcro della strategia è “occupare gli spazi emergenti dell’opinione pubblica”, in particolare i social media e le altre piattaforme Internet, per diffondere messaggi sui fallimenti della democrazia e sugli apparenti vantaggi dell’autocrazia.

L’obiettivo principale di queste operazioni di guerra politica sono gli Stati Uniti, è il caso delle MidTerm diventa paradigmatico. Ma Washington non è certo sola. Alcune ore dopo l’annuncio delle dimissioni a sorpresa dell’ex primo ministro britannico Liz Truss, il Global Times — organo con cui il Partito Comunista Cinese lancia la propria narrazione worldwide sfruttando la lingua inglese — ha affermato che lo sconvolgimento politico della Gran Bretagna ha dimostrato che la democrazia occidentale “non è in grado di risolvere i nuovi problemi”.

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