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Per un nuovo fisco

L’esigenza di procedere alla rimodulazione del carico impositivo attraverso un suo spostamento dalle imposte sui redditi all’Iva è stata da tempo riconosciuta anche dal governo. Come già rilevavo l’anno scorso, l’Italia mostra un’incidenza delle imposte dirette sul Pil superiore al 35%, rispetto a una media dell’area euro del 32,5%, mentre l’incidenza delle imposte indirette è pari al 34,6%, contro una media dell’area euro del 37,1%. Questi confronti già indicano tendenzialmente la misura del riequilibrio desiderabile dalle imposte dirette a quelle indirette: intorno a 2,5 punti percentuali del Pil. Molti Paesi europei stanno puntando sull’aumento dell’Iva per reperire risorse per il riequilibrio dei conti pubblici: da ultimo il Regno Unito, che ha portato l’aliquota ordinaria al 20%.
 
Irap da ricalibrare
Quanto all’Irap, tale imposta, nonostante le critiche che le vengono da più parti rivolte, dovrebbe essere mantenuta e confermata nella sua struttura fondamentale, pur se con qualche aggiustamento che ne renda l’assetto più coerente con il sistema. La principale criticità dell’Irap, sulla quale il legislatore è già intervenuto in modo ancora insufficiente, riguarda la discriminazione delle imprese labour intensive rispetto a quelle capital intensive. La soluzione più semplice consiste nell’ampliamento della base imponibile Irap agli ammortamenti. La maggior base imponibile può consentire di attenuare l’aliquota d’imposta, con una riduzione stimabile intorno allo 0,6%.
Non meno urgente appare una rimodulazione dell’Irpef, che ha perso, nel corso degli ultimi decenni, la sua iniziale connotazione di imposta progressiva sul reddito complessivo, finendo per concentrare la progressività sui soli redditi da lavoro e da pensione. L’Irpef è forse il punto di maggiore sofferenza dell’intero sistema fiscale: da essa deriva quasi il 40% del gettito totale e la parte preponderante del prelievo dell’imposta – l’80% – proviene dai redditi da lavoro dipendente e da pensione, con una concentrazione dell’incidenza su fasce di reddito medio basso.
Queste tendenze si collocano in un contesto nel quale i redditi mediani da lavoro ristagnano da due decenni, per la bassa crescita della produttività, ma il rapporto tra il patrimonio degli italiani e il reddito disponibile si colloca sui livelli più elevati al mondo (circa 8 volte). È difficile evitare la conclusione che molti dei redditi che sfuggono all’Irpef trovano impiego nell’investimento immobiliare o finanziario: l’eliminazione delle aliquote ridotte dell’Iva e l’introduzione di una tassazione dei patrimoni con aliquota moderata offrirebbero un riequilibrio equo e insieme efficiente.
Un primo intervento sull’Irpef immediatamente attuabile grazie all’aumento delle aliquote Iva è la riduzione al 20% dell’aliquota sul primo scaglione di reddito, oggi fissata al 23% – il livello più elevato tra i Paesi europei. Inoltre, l’attuale sistema di deduzione delle spese per i bisogni essenziali del contribuente (spese mediche, interessi passivi sui mutui per l’acquisto della prima casa, polizze vita, spese di istruzione, ecc.) attraverso il meccanismo delle detrazioni d’imposta appare, come già detto, poco efficace.
 
Un ritorno al regime delle deduzioni dall’imponibile per queste spese – sia pure opportunamente calibrate dalla previsione di un limite sul totale – non solo renderebbe il sistema più equo, ma, come già detto, potrebbe ripristinare una utile contrapposizione di interessi tra il consumatore e il prestatore del servizio.
Infine, è tempo di muovere tutte le aliquote sulle cosiddette rendite finanziarie verso l’aliquota al 20%, eliminando inoltre il meccanismo perverso di tassazione dei fondi d’investimento basato sul maturato.
Allo stesso tempo, esigenze di neutralità richiedono di assoggettare al medesimo regime d’imposta sostitutiva, e con uguale aliquota, anche i canoni da locazione immobiliare: ciò non solo per sottrarli all’attuale regime di aspra progressività, che disincentiva le locazioni e l’emersione dei redditi, ma anche riconoscendo che è fin troppo facile, con le moderne tecniche finanziarie, convertire un reddito da locazione in reddito finanziario. Alla rimodulazione dell’aliquota impositiva sulle rendite finanziarie dovrebbe probabilmente accompagnarsi anche una revisione del regime fiscale della previdenza complementare: alleggerendo ulteriormente la fase dell’accumulazione e riportando in linea con la tassazione delle pensioni pubbliche quella delle pensioni da capitalizzazione.
 
Il riassetto del sistema
Dopo una adeguata transizione, in equilibrio il sistema delineato avrebbe, rispetto a quello attuale, caratteristiche di maggiore semplicità, neutralità e certezza. Le maggiori risorse reperite attraverso l’Iva consentirebbero di attuare una serie di interventi a favore delle famiglie, dei disoccupati, dei meno abbienti e di portare al 20% la tassazione degli affitti. La riduzione dell’aliquota Ires (dall’attuale 27,5 al 20%) sarebbe finanziata principalmente con le risorse provenienti da una moderata tassazione patrimoniale e dalla tassazione uniforme dei redditi finanziari.
A regime, il Fondo monetario internazionale ha stimato che l’uniformazione delle aliquote Iva al 20% (inclusa la riduzione delle operazioni esenti) e varie misure di miglioramento della compliance possono generare un maggior gettito pari a circa il 2,5% del Pil – che è appunto quanto servirebbe per riportare la ripartizione del carico fiscale tra imposte indirette e dirette in linea con i valori dell’eurozona. Altri 9 miliardi circa di maggior gettito potrebbero venire da una moderata tassazione del patrimonio, pari allo 0,1%. Una quota consistente delle maggiori risorse sarebbe utilizzata per ridurre l’imposizione sui redditi personali e societari.
La riduzione dell’aliquota minima Irpef costerebbe circa 13 miliardi di euro, la riduzione dell’aliquota Ires circa 12 miliardi.
La concentrazione dell’intervento sull’Ires premierebbe le imprese che fanno utili, senza cercare di influenzare l’impiego delle risorse così liberate. Gli interventi sulle aliquote delle imposte sui frutti delle attività patrimoniali avrebbero effetti relativamente minori sul gettito. Ipotizziamo che gli interventi sull’Irap vengano realizzati a parità di gettito. Questo è quanto sulle possibili direzioni di un riassetto del sistema dei tributi capace di innalzare rapidamente l’investimento, la produttività e l’occupazione.


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