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Cosa aspettarsi da Lula e dal suo “Brasile sovrano”. L’analisi di Parolari

L’integrazione in America Latina, le riforme sociali, le alleanze internazionali (con un occhio a Washington), la politica ambientale. Il neo-rieletto presidente Lula presenta il suo Brasile nell’analisi di Parolari (Iai)

Quando viaggia per il mondo, il presidente eletto del Brasile Luiz Inácio Lula da Silva sente che alla comunità internazionale un certo Brasile manca. “Al mondo manca quel Brasile sovrano, che parla alla pari con i paesi più ricchi e potenti, e contribuisce allo sviluppo dei paesi più poveri”, ha detto Lula nel discorso di ringraziamento lo scorso 31 ottobre, dopo essere stato eletto per la terza volta alla guida del gigante sudamericano.  

Nello stesso discorso, il leader socialista del Partido dos Trabalhadores (PT) non si è tirato indietro, delineando da subito le battaglie che sogna di portare avanti sia a Brasília sia nel mondo. In patria, riconciliare un paese politicamente squarciato in due, puntando su crescita economica, riforme sociali e protezione dell’ambiente. All’estero, lavorare per l’integrazione regionale dell’America Latina, rafforzare il blocco dei BRICS, e battersi per un commercio internazionale più giusto verso i paesi in via di sviluppo. Insomma, il Lula 77enne di ottobre 2022 non sembra molto diverso dal Lula 58enne per la prima volta a Planalto nel 2003. Come è stato scritto, lo scenario globale non è più quello dei primi anni 2000: l’economia non accenna a ripartire, la crisi climatica sembra avere tempi più serrati e le grandi potenze e i loro alleati sono divisi sulla guerra in Ucraina. Il Brasile di Lula, sarà anche “tornato”, ma il mondo per cui Lula si batteva non esiste più. Inoltre, il Congresso Nacional è trainato dalla coalizione di opposizione, e 17 stati su 27 hanno governatori bolsonaristi. Questo implica che le sfide internazionali di Lula dipenderanno fortemente dalle sfide interne, a cui sono irrimediabilmente interconnesse.

La riconciliazione moderata e l’integrazione in America Latina

Lula ha promesso di essere il presidente di tutti i brasiliani. L’altissima polarizzazione, in un paese il cui ballottaggio elettorale è finito 51% a 49% e in cui i militanti dello sconfitto protestano invocando un colpo di stato, richiede un processo di riconciliazione politico-sociale. Sullo scacchiere internazionale, questo approccio potrebbe avere diverse implicazioni su come il Brasile gestirà i rapporti con il resto dell’America Latina, e, di conseguenza, con gli Stati Uniti.

La situazione politica del continente sorride a Lula: per la prima volta, le cinque principali economie dell’America Latina sono guidate da governi di sinistra. Lula ha promesso di portare avanti l’integrazione regionale, attraverso organismi come il Mercosur (pro libero mercato) e la CELAC (organo contro l’egemonia statunitense). In questo scenario, il Brasile, per natura economica e demografica è candidato a essere leader egemone della regione, come al tempo del primo Lula. Ma se da un lato l’unione ideologica delle diverse forme di “sinistra” in America Latina è storicamente complicata, oggi lo è più che mai. Secondo gli analisti, l’attuale formazione del Congresso Nacional, imporrà a Lula di trattare con il “Centrão” e con la destra moderata, proponendo politiche pragmatiche. In più, l’azione di governo non potrebbe avere una caratura ideologica. Ad esempio, le posizioni che il Brasile assumerà rispetto ai dittatori di sinistra della regione, storici alleati di Lula, avranno un peso enorme sul paese politicamente instabile. Il tema è stato centrale nella campagna elettorale di Bolsonaro, e i suoi sostenitori non vogliono che il Brasile “faccia la fine di Nicaragua e Venezuela”. Lula proverà a guidare il continente con un modello di politica socialdemocratica pragmatica in economia, provando a unire su riforme per lo sviluppo e non sull’ideologia. Non è quindi detto che la marea rosa tornerà a unirsi: presidenti come López Obrador e Alberto Fernández potrebbero non accettare l’approccio di Lula ai temi ambientali e l’egemonia brasiliana nel continente.

Le riforme sociali e le alleanze internazionali

Se il ‘come’ Lula riuscirà a proporre riforme in patria è ancora imprevedibile, il ‘cosa’ è stato chiaro fin dalla campagna elettorale. In Brasile ci sono 30 milioni di persone che vivono in povertà, e sono la priorità del governo Lula. “Se siamo il terzo esportatore mondiale di cibo e il primo di proteine animali, abbiamo il dovere di garantire a brasiliano colazione, pranzo e cena ogni giorno”, ha detto Lula. Il piano del governo è quello di “generare ricchezza senza devastare ambiente e ampliare le disuguaglianze” riportando “il Brasile nei cuori degli investitori internazionali”. Il tutto accompagnato da massicce misure di welfare, dai bonus all’istruzione. Per farlo, servono capitali e investimenti dall’estero in tempi brevi. L’economia globale non sembra favorire Lula e soci: se la crisi in Ucraina alza i prezzi delle materie prime che il Brasile esporta, lo spettro della recessione li deprime. Difficilmente Lula potrà disporre degli introiti che gli permisero nei primi anni 2000 di realizzare la Bolsa Família.

Il Brasile del 2022, si guarda dunque attorno per il supporto dei grandi attori globali. Come già dichiarato, gli alleati preferiti da Lula sono i BRICS, specialmente India e Cina con cui il Brasile riprenderà i rapporti commerciali. Secondo il consigliere di Lula in politica estera Celso Amorim, i BRICS potrebbero anche avere un ruolo di mediazione nel conflitto russo-ucraino. Ma dall’altro lato dello schieramento, l’amministrazione Biden ha subito dimostrato vicinanza a Lula, con cui condivide le politiche per “il clima, la sicurezza alimentare, l’inclusione e la democrazia”. Gli USA di Joe Biden hanno riportato l’America Latina al centro della loro politica estera, tentando un’alleanza con i governi di sinistra della regione che ribalterebbe due secoli di storia interamericana. L’idea di Antony Blinken e colleghi è di contrastare l’influenza cinese in Sudamerica. La Cina ha dalla sua un ventennio di investimenti, prestiti e relazioni diplomatiche con la maggior parte dei paesi del continente, grazie ai quali sta permeando nelle economie locali. In questa partita a due per l’amicizia del Brasile, Lula aspetterà le proposte economiche di entrambi. Da un lato, è difficile che un’intesa Lula-Biden modifichi i rapporti fondamentali tra le economie brasiliana e cinese. Difatti, nemmeno l’ostilità del governo Bolsonaro verso Pechino ha potuto granché. Dall’altro, se gli Stati Uniti non si metteranno in gioco in Brasile con investimenti che portino crescita economica (oltre alla tutela di ambiente e democrazia), la Cina avrà campo libero per finanziare le riforme di cui Lula ha un disperato bisogno.

Il fattore chiave: la politica ambientale

Paradossalmente, nella partita per le relazioni con il governo Lula, gli Stati Uniti potrebbero avere un vantaggio sulla Cina: l’interesse per la salvaguardia dell’ambiente. “Il Brasile è pronto a riprendersi il protagonismo nella lotta contro la crisi climatica, proteggendo tutti gli ecosistemi, specialmente la foresta Amazzonica” ha promesso Lula. L’obiettivo è la riduzione a zero della deforestazione in Brasile, e per farlo, Lula starebbe mettendo in piedi un’“Opec delle foreste pluviali” assieme a Congo e Indonesia.

Sulle questioni ambientali, il principale alleato del Brasile sarà l’Europa. Norvegia e Germania si sono già mosse per ristabilire i fondi miliardari per la tutela dell’Amazzonia, sospesi per le politiche scellerate di Bolsonaro. Inoltre, se il trattato di libero commercio con il Mercosur si sbloccasse sotto la guida di Lula, il Brasile ne trarrebbe un vantaggio economico per la crescita e le riforme a Brasília. Ma oltre agli intralci a livello internazionale, potrebbe essere proprio il Congresso Nacional a bloccare il trattato. Bruxelles sta lavorando per inserire nell’accordo uno “strumento” per impedire che il commercio con il Mercosur incentivi le coltivazioni di soia e l’allevamento di bovini, aumentando la deforestazione. Proprio per questo, i produttori di soia e gli agricoltori brasiliani, in maggioranza bolsonaristi e con una rappresentanza schiacciante al Senato, renderanno ardua la trattativa con l’UE. Se l’opposizione basata sul “calcolo agricolo” diventasse una costante, sarebbero a rischio anche i rapporti con gli Stati Uniti, fondati per ora unicamente sul clima.

Sicuramente, un’occasione per capire quale sarà il futuro della politica climatica e delle relazioni estere brasiliane, sarà la conferenza ONU sui cambiamenti climatici (COP27), che si terrà in Egitto tra il 6 e il 18 novembre. Lula parteciperà, e potrebbe usare l’occasione per creare un ministero speciale per tutte le sfide ambientali. In Egitto i paesi ricchi chiederanno al Brasile un nuovo programma per la riduzione di emissioni, e senza un piano potrebbero non destinare i fondi disperatamente necessari al governo di Lula.

Con il presidente in carica dal prossimo 1 gennaio, sembra che la politica estera del Brasile di Lula farà fatica ad andare nelle direzioni immaginate dal leader del PT. Il mondo in cui i BRICS erano delle forti economie emergenti e le materie prime dominavano i mercati è cambiato. Il Congresso Nacional obbligherà Lula a governare per compromessi e ad assegnare posizioni chiave a chi radicalmente non la pensa come lui. Lula non può permettersi di proporre riforme strutturali né di non proporre nulla, perché sarebbe attaccato elettoralmente in entrambi i casi. La nuova politica estera brasiliana non potrà dunque essere un isolazionismo stagnante (come con Bolsonaro), perché molte sfide essenziali in Brasile si giocheranno tra il Palazzo di Vetro, Bruxelles, Pechino e il resto dell’America Latina. Lula è chiamato a mettersi in affari con Cina, Europa e Stati Uniti. Non sarà una sfida ideologica, ma al miglior offerente.

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