Gonzalo Villagrán Medina dedica al tema del pluralismo nelle società un articolo che apparirà domani nel nuovo fascicolo della rivista diretta da padre Antonio Spadaro, La Civiltà Cattolica. Riccardo Cristiano lo ha letto per Formiche.net
Le società odierne sono pluraliste. Il termine va capito bene e partiremo da qui illustrando l’articolo che la Civiltà Cattolica, a firma di Gonzalo Villagrán Medina dedica al tema “La parola della Chiesa nelle società pluraliste” e che apparirà domani nel nuovo fascicolo della rivista diretta da padre Antonio Spadaro.
L’articolista parte da un’affermazione a dir poco sorprendente: “In qualsiasi istituzione apostolica attuale della Chiesa che sia pur minimamente aperta al contesto sociale troviamo persone di origini, situazioni personali ed esistenziali sempre più diverse e lontane da quello che si potrebbe definire come il modello ecclesiale tradizionale. Per quanto qualcuna di queste persone possa forse conservare un’ombra di pregiudizio o di rifiuto verso ciò che è religioso-ecclesiale, sempre più spesso, nella percezione generale, prevalgono semplicemente una lontananza e un’estraneità nei suoi confronti”.
Questo approccio spiega perché presto si arrivi a porre il problema: “È chiaro che una situazione come questa comporta una grande sfida rispetto alla trasmissione della fede”. Questa sfida è stata sovente respinta, accogliendo soltanto chi è già convinto. Da tempo però si cerca di evitare questa soluzione di un problema fondamentale. L’autore affronta subito la questione di cosa sia il pluralismo: “Non c’è dubbio che la secolarizzazione esista e che sia necessario prenderla in considerazione, ma crediamo che, come ci ha mostrato il sociologo Peter Berger (1929-2017), a cui faremo riferimento, il problema sia più ampio. Secondo questo autore, il problema andrebbe maggiormente posto in relazione con l’esperienza del pluralismo, una situazione sociale nuova in cui esistono diverse possibilità di dottrine inglobanti o di strutture di plausibilità”.
Accettare il pluralismo sociale comporta per l’articolista la necessità di una “teologia pubblica”. Di cosa si tratta? È il frutto del pensiero di Peter Berger: “Berger definisce il pluralismo come la coesistenza di diverse visioni del mondo e scale di valori nella stessa società”. Il pluralismo a suo avviso ha contribuito alla secolarizzazione, ne è condizione chiave: “Nel mondo globalizzato, le società sono plurali, perché contengono differenti visioni del mondo. La via per gestire tale realtà plurale non può passare dal fondamentalismo, né dal relativismo: il primo, infatti, genera conflitti nella società, e il secondo rende impossibile la condivisione a partire da una base morale comune. Pertanto il pluralismo richiede dalle religioni proposte più profonde e capaci di comprendere le società umane contemporanee, per imparare a convivere nel suo contesto”.
Dunque tutti devono dialogare con tutti, e per le religioni entra in ballo non soltanto il “che cosa”, ma anche il “come”. Il moralista Marciano Vidal, sebbene onestato, ha indicato la necessità di superare lo schematismo della legge naturale, come permanere in una società pluralista proponendo che esistano princìpi morali universali e basta? Ecco la sua proposta, importantissima: “Vidal afferma che la morale cristiana nella società pluralista dev’essere una morale del senso, non della norma”.
Siamo all’ architrave di un ragionamento che comporta il famoso discorso dell’ermeneutica. La proposta da cui si parte, quella di Tracy, è affascinante: “La «strategia» – come lui la denomina – che Tracy adotta per sviluppare una teologia adattata al pluralismo è sostanzialmente ermeneutica. Per lui la verità e il senso della teologia hanno uno statuto analogico rispetto a quello dell’arte. Seguendo Hans-Georg Gadamer, che nel «classico» scorgeva il modo in cui la verità si rivela nell’arte, Tracy parla a sua volta di classici religiosi. Se i classici, come dice Gadamer, costituiscono quelle opere dello spirito umano che ci offrono una verità sull’essere umano, anche i testi e le opere religiose possono essere classici. Essi infatti possono essere intesi come «classici» che offrono una verità sull’essere umano a tutti coloro che vogliano coglierla, anche nel caso in cui non condividano quella fede. Attraverso il concetto di «classico» Tracy mostra in che modo la religione sia capace di rivolgere a una società pluralista un messaggio di verità: lo si può rinvenire secondo il modo proposto da Gadamer per le scienze dello spirito, e non come una verità scientifica. Le religioni possono contribuire a tale ricerca, senza obbligare nessuno ad adottare la loro fede, perché le loro fonti contengono un messaggio di verità sull’essere umano”.
Se ne desume che questi “classici” potranno avere una correlazione critica. Ma il cammino non è finito qui, si prosegue: nuovi teologi mettono in evidenza la necessità di formulare una parola sociale di denuncia più forte di quanto Tracy avesse ritenuto. Al tempo stesso, in altri luoghi degli Stati Uniti l’idea di una teologia pubblica come risposta al pluralismo è stata ben recepita, e oggi vengono sviluppate teologie pubbliche in vari Paesi del mondo.
Una frase delle conclusioni, dove si dice che è necessario che si trovino modi per entrare in dialogo con gli altri nella società, al fine di cercare insieme anche i progetti etici adeguati, fa pensare che il nuovo pluralismo parta da Casa Santa Marta.