Quanto affermato dal generale Mark Milley non ha fatto altro che suggerire una proposta presente già da tempo, l’opzione negoziale. Ma se nella teoria l’arrivo dell’inverno potrebbe essere favorevole alla soluzione diplomatica, nella pratica gli ostacoli restano numerosi e difficilmente superabili. Ad Airpress l’analisi del generale Cuzzelli
L’arrivo della stagione invernale potrebbe aprire uno spiraglio di possibilità per un negoziato in Ucraina? È quanto si è domandato il capo dello Stato maggiore congiunto degli Stati Uniti, generale Mark Milley, nel corso di una conferenza stampa, durante la quale ha anche sottolineato come “le probabilità che una vittoria militare ucraina – intesa come l’espulsione dei russi da tutta l’Ucraina ivi compresa la Crimea – accada presto non è alta, militarmente”. Parole seguite da quelle di Mykhailo Podolyak, consigliere di Zelensky, sulla guerra che può finire anche prima della riconquista di tutti i territori. Salvo poi precisare: “Trattare dopo Kherson sarebbe un regalo a Putin”. Di questo, Airpress ha parlato con Giorgio Cuzzelli, generale di brigata degli Alpini in congedo e docente di Sicurezza internazionale all’Orientale di Napoli.
Generale, come interpreta le parole del generale Milley, secondo il quale la probabilità di una vittoria militare di Kiev sarebbe molto bassa?
Partiamo da una ricostruzione, Milley in realtà è intervenuto a margine della riunione del Gruppo di contatto per l’Ucraina con il segretario Lloyd Austin su un suo precedente intervento fatto alla Camera di commercio di New York, vera pietra dello scandalo che aveva fatto infuriare gli ucraini e aveva colto di sorpresa la stessa amministrazione Usa. Nell’occasione, Milley aveva detto una cosa molto semplice: ciò che hanno fatto gli ucraini è straordinario, essendo stati in grado di battere e mettere in difficoltà l’esercito russo (al netto degli errori commessi da quest’ultimo), ma se oggi andiamo a vedere le dimensioni fisiche del territorio occupato dall’Ucraina, e la quantità di forze che Mosca è ancora in grado di generare, è molto dubbio che l’Ucraina riesca a liberare tutto il suo territorio. A questo punto il generale americano ha fatto una constatazione molto semplice, perché non approfittare della naturale pausa che l’inverno che incombe imporrà sulle operazioni per cercare una soluzione negoziale?
Una proposta che è stata accolta con diffidenza…
In realtà Milley non ha fatto altro che suggerire una proposta che è sul tavolo già da qualche tempo, cioè avanzare quella che nelle relazioni internazionali si chiama opzione negoziale. Quando parliamo di possibili soluzioni ai conflitti abbiamo due strade, la diplomazia coercitiva, basata sull’uso della forza, o quella negoziale, guidata dalla diplomazia e che consente di mettere al tavolo avversari inconciliabili per arrivare comunque a una soluzione. La diplomazia coercitiva è stata in parte utilizzata, perché il fatto che l’Ucraina sia stata armata e sia riuscita a resistere all’invasione russa è una forma lampante di coercizione con la forza, avendo costretto la Russia a venire a più miti consigli. A questo punto, però, in qualche modo da questa crisi bisognerà uscirne, perché questa guerra non fa bene a nessuno. Sicuramente non fa bene all’Ucraina, né alla comunità internazionale, ma nemmeno alla Russia. È quindi necessario trovare una soluzione
Come?
Appunto, attraverso l’opzione negoziale. In realtà in questo caso parliamo di due possibili scelte. La prima prevede la costruzione di una fiducia tra gli interlocutori, mettendoli al tavolo delle trattative prima separatamente e poi, una volta costruita questa fiducia, uno di fronte all’altro. Questa scelta però al momento non è praticabile, perché ucraini e russi si odiano e diffidano gli uni degli altri, per ovvi motivi. Se non si può costruire una fiducia tra loro, resta solo la seconda opzione possibile
Quale?
Attraverso la costruzione di una soluzione win-win, che offra a entrambe le parti qualcosa che li induca a sedersi al tavolo negoziale. Per questa opzione è, però, necessaria la presenza di una terza parte sufficientemente credibile da offrire a entrambi ciò che cercano. I russi cercano il riconoscimento internazionale di uno status di potenza che ormai non hanno più, e vogliono a tutti i costi poter negoziare con gli americani. Questi ultimi sono assolutamente consapevoli che la Russia non è più l’Unione sovietica, e l’insuccesso di questa guerra lo ha dimostrato, ed è molto difficile che daranno a Mosca questo riconoscimento. L’Ucraina, dal canto suo, vuole dagli Usa precise garanzie di sicurezza. Intendiamoci, non come quelle del 1936 date da Chamberlain alla Cecoslovacchia, ma come quelle del 1939 date alla Polonia: in caso di invasione, gli alleati interverranno direttamente. Il problema è che per lanciare questa opzione negoziale vi è un solo momento favorevole, cioè quando le entrambe le parti, e soprattutto quella più in difficoltà (in questo caso la Russia), riconoscono che ci sarebbe più da perdere che da guadagnare rimandando ulteriormente il negoziato.
Perché secondo Milley il momento giusto è adesso?
Perché gli ucraini sono in vantaggio mentre Vladimir Putin sta probabilmente cercando disperatamente un modo per uscire dal pasticcio in cui lui stesso si è cacciato. Inoltre, gli ucraini hanno vinto, ma non hanno vinto abbastanza da mettere i russi all’angolo facendogli perdere completamente la faccia. Quest’ultimo è un elemento molto importante quando si parla di negoziato. Secondo Milley e altri osservatori internazionali, dunque, il momento adatto è adesso, con gli ucraini che hanno vinto, ma non troppo, e i russi che hanno perso, ma non troppo. Purtroppo però questa riflessione si scontra con la realtà dei fatti.
Quale?
La leadership russa non è disposta ad ammettere di aver perso. Prendere atto di questo fatto andrebbe contro la tenuta del potere di Putin. Riconoscere davanti alla sua opinione pubblica non essere riuscito a raggiungere gli obiettivi prefissati, un dato lampante per chiunque, metterebbe infatti in seria discussione la leadership moscovita. Ma anche per Volodymyr Zelensky la soluzione è inaccettabile, avendo impostato la sua campagna di resistenza nazionale sul principio che ogni centimetro di territorio nazionale deve essere liberato dalla presenza russa. E questo va oltre il solo Donbass, intendendo anche la Crimea. Una previsione che complica le trattative.
Cosa chiedono gli alleati a Zelensky?
Sembrerebbe che, a livello almeno ipotetico, gli Stati Uniti avrebbero chiesto a Zelensky di sedersi al tavolo delle trattative facendo delle proposte accettabili e, ma non è confermato, tra queste rientri la possibilità di rinunciare alla Crimea, dal momento che è impensabile riuscire a togliere la penisola ai russi. Ma questo vorrebbe dire darla vinta al “bullo”. Zelensky e una parte consistente della coalizione occidentale NATO e europea non vogliono in alcun modo darla vinta a Putin, e il loro obiettivo conclamato è quello di umiliare la Russia e chiudere la partita con Mosca una volta per tutte. Il caso del missile in Polonia è in questo senso identificativa di questa posizione.
In che senso?
Tutte queste grida scomposte di guerra, di articolo 5, e così via sono identificative di quella parte che cerca in qualche modo di annichilire la Russia, perché è convinta (a torto o a ragione) che solo mettendo all’angolo la Russia, l’Europa orientale potrà finalmente trovare la pace. Di fronte a una posizione del genere è evidente che qualunque opzione negoziale cade.
E quindi, chi avrebbe interesse a negoziare in questo momento?
Dal punto di vista occidentale, entrambe le parti avrebbero tutto l’interesse a sedersi al tavolo del negoziato. Fermo restando che la Russia, per ciò che ha fatto, un prezzo lo dovrà pagare. Gli americani, e Milley in testa, ripetono costantemente che in questa faccenda c’è un aggredito e c’è un aggressore, e oltre questo non si può andare. La Russia ha violato il diritto internazionale, ha violato le regole con cui è stata costruita la convivenza tra le nazioni, e dovrà essere sottoposta a un regime sanzionatorio. Oltre, naturalmente, a prevedere il pagamento dei danni di guerra. Siamo di fronte al tentativo della Russia, e anche della Cina, ancorché in maniera più prudente, di modificare l’ordine internazionale.
E l’Europa in tutto questo?
L’Europa non compare assolutamente, perché non esiste. Una parte, diciamo “atlantista”, è andata insieme agli Stati Uniti e appoggia l’Ucraina nel suo giusto anelito di indipendenza nazionale. Un’altra parte, meno affidabile, del Vecchio continente ha cominciato con i se, i ma e i distinguo. L’Europa, dunque, si è tagliata fuori da sola, nonostante le rassicurazioni di Ursula von der Leyen. Ricordiamoci delle arrampicate sugli specchi del presidente Macron, o il caso del Nord Stream di Scholz, con anche la sua ultima virata verso la Cina. Quando parliamo di Europa, dunque, resto sempre un po’ perplesso. Se è vero che ha votato le sanzioni, e si è anche attivata per le Forze armate ucraine con la missione di addestramento, rimane però questa mancanza di coesione di fondo.
E per quanto riguarda il nostro Paese?
Io vedo un’Italia molto coesa e allineata alla posizione atlantica. Il nostro Paese ha detto chiaramente, fin dall’inizio, che c’era un aggredito e un aggressore, e ha identificato l’aggressore con assoluta chiarezza. Naturalmente in Parlamento sono stati avanzati dei distinguo, ma io credo che questo faccia parte della normale dialettica di una società democratica. Anche tra il 1936 e il 1939 ci fu in Europa un grande dibattito tra fautori dell’appeasement o di una posizione più intransigente alle richieste di Hitler, quest’ultima tra l’altro, largamente minoritaria in un Paese con il Regno Unito, dove l’inflessibilità di Winston Churchill veniva considerata assolutamente controproducente. Il dissenso fa parte della normale logica democratica, ed è giusto che ci sia anche in una democrazia matura come l’Italia. Tra l’altro, questo dissenso contribuisce a rafforzare la posizione di coloro che ritengono che il diritto internazionale sia stato violato. Si tratta, dunque, di decidere in che mondo vogliamo vivere, se in uno pre-1914, basato sulla prevaricazione, o in uno post-Guerra Fredda, costruito su regole condivise. La scelta mi pare evidente, e credo che lo sappia anche la maggior parte degli Italiani.