Se è vero che la crisi della sinistra non è solo italiana, è altrettanto vero che il Partito democratico deve scegliere cosa essere e a chi parlare, oppure rischia di scomparire definitivamente. La riflessione di Francesco Sisci
La crisi della “sinistra” non è solo italiana. Sconfitto il sogno del comunismo realizzato in Urss trenta anni fa, anche i suoi parenti vicini e lontani socialdemocratici si sono piegati. Dominava l’idea del mercato liberale nella carenza di una visione politica o geopolitica. Non c’era più la preoccupazione di ridistribuire reddito e opportunità di scalata e ricambio sociale, come non ci si preoccupava più di questioni geopolitiche. L’esportazione globale e all’ingrosso del mercato e della democrazia liberale sarebbe stata la panacea. Del resto, la grande mannaia della diseguaglianza, l’inflazione, pareva sconfitta per sempre.
Il ritorno della geopolitica con la crescita graduale della frizione con la Cina e la sua esplosione con l’invasione russa in Ucraina hanno riportato in vita l’inflazione (si veda questo articolo per un’analisi più approfondita dell’inflazione e populismo). Essa oggi è spinta dai sostegni finanziari per il dopo Covid e l’aumento del prezzo dell’energia.
Con l’inflazione torna il tema della diseguaglianza sociale, da risolvere in due modi, come vuole la tradizione: una maggiore redistribuzione del reddito a favore dei più disagiati, e un acceleratore sulle opportunità di scalata e ricambio sociale.
Cioè torna l’occasione per la sinistra di essere tale. In questo senso però valgono sempre due antichi freni alle richieste di sinistra.
1. La redistribuzione dei redditi non può distorcere troppo le regole di mercato fino a impedirgli di funzionare
2. Né l’attenzione al ricambio sociale può stravolgere completamente la cultura tradizionale dominante da creare nuove cesure social-culturali.
Nella categoria 1 cadono quegli aiuti che non sono sostenibili dal bilancio dello Stato o che inducono gente a non lavorare, quindi sottraggono forza lavoro al mercato. Nella categoria 2 cadono quelle richieste di rivisitazione della storia che invece di riconciliare la società intorno a valori più moderni (i diritti di minoranze etniche o sessuali) la spaccano ulteriormente. Fuori da questi parametri c’è il populismo, la protesta stracciona che vuole il saccheggio e la distruzione della ricchezza per un giorno di festa ingorda. L’ingordigia di un giorno condanna poi tutto e tutti alla miseria.
Questo è brevissimamente il nuovo spazio teorico della sinistra nel mondo, e quindi anche del Pd in Italia. Però forse non c’è nell’attuale dibattito a sinistra una misura precisa delle cose.
Il Partito democratico, Pd
Il Pd appare oggi come un partito identitario, chi si riconosce in una cultura di sinistra (in realtà per lo più datata), anche se non si sa cosa questa “sinistra” sia o possa essere ora in concreto. Le radici identitarie sono culturali, che semplificando sono: “Ci piacciono i poveri e i diseredati”. Questo spesso non si traduce nell’essere ricambiati. Anzi, di solito, il Pd ha smesso di piacere ai poveri che votano a destra. Oppure il Pd liscia il pelo ai populisti della festa ingorda. C’è poi il “ci piacciono i diritti per le minoranze”, anche se non si sta attenti alle preoccupazioni, forse anche ingiuste ma da considerare, delle maggioranze.
In ciò l’identità, proprio perché svuotata di valori pregnanti da decenni di mancanza di analisi approfondite, vale poco dal punto di vista dei voti e dell’opinione pubblica. Anche Fratelli d’Italia (FdI) è un partito identitario, cioè si rifà a valori di una vecchia destra, ma non ha preso voti perché gli italiani sono diventati all’improvviso postfascisti. Ha vinto perché i votanti le hanno provate tutte e ora provano FdI. Se non funziona, e FdI non dà risposte di lungo termine, strategiche, quei voti emigreranno ancora.
Se ciò vale per il partito di governo, tanto più vale per l’opposizione. Oggi il Pd vuole essere una cosa, il partito dei poveri, ma è un’altra, il partito dei ricchi “per bene”. Così il Pd non è partito di opposizione a FdI. È un partito opposizione a sé stesso. È schizofrenico, quindi nevrotico quando va bene, psicotico quando va male. In tal senso è diviso tra chi vede il futuro nella festa ingorda populista e chi invece è governista, cioè favorevole ad appoggiare chiunque sia al comando.
Ma comandare serve per uno scopo, un piano, altrimenti è sterile e quindi autodistruttivo.
Può esserci anche la difesa dello status quo, legittima, ma se tale deve essere esplicitata. Può esserci un coraggioso sforzo interclassista, ma è complicatissimo, da un punto di vista teorico e pratico. La Dc ci riuscì per sue capacità e un insieme di condizioni storiche contingenti.
Altrimenti, se il Pd vuole essere davvero “la sinistra” deve tornare alle questioni poste all’inizio di questo articolo. Oppure decide di essere altro e si spiega di conseguenza. Ma senza analisi profonda la schizofrenia divorerà il Pd e tutto ciò che tocca.