Quali rischi correrebbe la Cina se attaccasse Taiwan? Secondo il CSIS, il rischio boomerang sarebbe più che realistico per Xi Jinping. E per Grossman (Rand Corp.) il problema è anche legato all’attuale incapacità militare per l’azione
Molti commentatori e funzionari speculano sui piani di Pechino per imporre l’annessione di Taiwan. Gran parte dei commenti esistenti si concentrano su come o quando potrebbe verificarsi un attacco cinese a Taiwan, ma le conseguenze non militari di un tale scenario per la Cina e per il mondo sono poco discusse. Il CSIS, un think tank americano tra i più attenti alla regione dell’Indo Pacifico, ha analizzato questo genere di implicazioni di un attacco cinese a Taiwan sulla base di ipotesi speculative.
In modo più olistico, attaccare Taiwan sarebbero piuttosto problematico per Pechino, anche se le forze cinesi riuscissero a conquistare l’isola. La Cina sarebbe probabilmente isolata diplomaticamente ed economicamente dalle principali economie avanzate e il leader cinese, Xi Jinping, dovrebbe percorrere un sentiero stretto per evitare conseguenze disastrose per la Cina e per il Partito Comunista Cinese (CCP) nel suo complesso. Le valutazioni del CSIS aiutano a chiarire quale potrebbe essere la posta in gioco per il mondo e “ribadisce l’importanza di dissuadere Pechino dal contemplare un simile attacco a Taiwan”.
Le conseguenze politiche, economiche, diplomatiche e strategiche che Pechino dovrebbe affrontare portano a una considerazione netta: la Cina rischierebbe il disastro se lanciasse un’invasione attraverso lo Stretto di Taiwan. Anche in base a ipotesi ottimistiche sulle prestazioni in combattimento delle sue forze armate e sulle risposte militari relativamente tenui o limitate da parte di Taiwan (e degli Stati Uniti), per Xi Jinping sarebbe davvero complicato uscire indenne dal gioco d’azzardo.
Una volta che si cominciano a formulare ipotesi più realistiche, il quadro diventa disastroso per il Ccp per la Cina nel suo complesso, analizza il CSIS. Altrettanto significativo è il fatto che un eventuale attacco cinese a Taiwan avrebbe un impatto straordinario sull’economia globale, colpendo soprattutto i partner e gli alleati statunitensi nella regione. Alleati che però sono anche in varie forme partner, soprattutto commerciali, della Cina.
La sfida strategica principale per gli Stati Uniti rimane dunque proprio quella di garantire che Pechino non prenda mai in considerazione attivamente un attacco a Taiwan. Questo perché, sebbene sia probabile che la Cina comprenda ampiamente i costi associati a un’azione del genere, l’arroccamento sul trono del leader cinese, che ha dato profondo valore al tema Taiwan (anche a seguito della propria esperisce personale), e il concomitante aumento di questo genere di pensiero in alcuni circoli politici di Pechino che circondano la leadership, significa che non si può presumere che i leader cinesi continueranno a condurre una solida analisi costi-benefici.
Tuttavia, dopo l’incontro di lunedì con Xi in vista del vertice del Gruppo dei 20 a Bali, il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, è sembrato persuaso su un maggiore controllo della situazione: “Non credo che ci sia alcun tentativo imminente da parte della Cina di invadere Taiwan”. Questo significa che la data un tempo fissata per l’aggressione cinese da vari analisti americani — il 2027, centenario della fondazione dell’Esercito di Liberazione popolare (PLA) — non è realistica? E ancora, che le nuove previsioni di “worst-scenario” del Pentagono — dov’è quella data è stata anticipata al 2023 o 2024 — lo sono ancora meno?
“La realtà è che il 2027, per non parlare del 2024 o del 2023, è probabilmente troppo presto per un attacco cinese a Taiwan”, ha scritto in un’analisi per la Asia Nikkei Review Derek Grossman, analista esperto di Difesa della Rand Corporation. “Contrariamente a quanto riportato da molti media internazionali, il discorso di Xi al congresso del partito il mese scorso è stato piuttosto riservato sul tema di Taiwan, non infuocato. Xi ha sottolineato che la ‘riunificazione’ pacifica rimane il mezzo preferito da Pechino per gestire l’isola”, ha spiegato.
Il problema, al di là delle questioni più politiche e i contraccolpi economici, è anche tecnico. Grossman fa notare che secondo la letteratura del PLA, le forze armate soffrono di “cinque incapacità”: i suoi ufficiali non sono in grado di giudicare le situazioni, di comprendere le intenzioni delle autorità superiori, di prendere decisioni operative, di dispiegare le truppe o di affrontare circostanze inaspettate. Per impressionare Xi, è possibile che i comandanti esagerino la loro preparazione alla guerra, ma così facendo potrebbero correre un rischio potenzialmente enorme.
È più probabile che la Cina sia particolarmente cauta, anche data la sua valutazione degli inciampi della Russia contro la resistenza dell’Ucraina, rafforzata e sostenuta dall’estero. A differenza di quella guerra, un’invasione di Taiwan richiederebbe uno sbarco anfibio, che la storia ha dimostrato essere notoriamente difficile da realizzare. Inoltre, Pechino è dolorosamente consapevole della sua mancanza di esperienza di combattimento recente, in particolare in aria e in mare.
Non c’è da stupirsi, quindi, che Xi abbia nominato il generale Zhang Youxia, che ha partecipato alla guerra di confine della Cina con il Vietnam nel 1979, suo vice nella nuova Commissione militare centrale al congresso del partito. La promozione da parte di Xi del generale He Weidong, che in precedenza comandava la regione militare responsabile di Taiwan, fa notare sempre Grossman, dimostra analogamente il riconoscimento della necessità di migliorare la competenza bellica nei confronti dell’isola.