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La priorità? Fermare l’indebitamento

Come nei peggiori film dell’orrore, riappaiono ciclicamente i sostenitori della patrimoniale, incuranti dei guasti che questo tipo di imposizione ha provocato nel passato, della vetustà di quest’idea inadeguata ad una moderna economia, e soprattutto incapaci di comprendere che il rimedio che essi propongono – ricalcando teoremi superati della sinistra “barricadera” – è peggiore del male.In questi ultimi giorni, si sono riaffacciate proposte di una patrimoniale sui risparmi o, ancor peggio, sul patrimonio immobiliare, sulla base della valutazione dell’entità del debito pubblico in rapporto con il Pil. L’ipotesi che viene prospettata è di un contributo “per salvare la patria” di trentamila euro pro-capite o di una farneticante ipotesi di prelievo “una tantum” sull’incremento di valore del patrimonio immobiliare posseduto dagli italiani alla data dell’introducenda norma rispetto all’atto di acquisto del cespite. È prevista anche in questa ultima ipotesi il pagamento rateale poliennale con interessi o al momento della vendita del cespite, con l’ovvia corresponsione del cospicuo interesse maturato. Il tutto, come affermano i presentatori delle proposte, in modo da trasferire il debito pubblico sul patrimonio privato degli italiani.La patrimoniale ha suscitato – come era evidente – un fiorire di commenti, quelli dei feroci avversari dell’imposta e dei favorevoli che, seppure in maniera confusa, hanno difeso l’idea di una patrimoniale, ma da quello che hanno detto si capisce che non hanno le idee chiare sulle conseguenze.L’imposta che prospetta Amato è una riproposizione del prelievo del 6 per mille sui depositi bancari, imposta sostanzialmente incostituzionale – come ebbi vanamente a denunciare allora alla Corte costituzionale – poiché ha colpito in maniera eguale i risparmi dei grandi imprenditori, dei finanzieri, dei ricchi depositanti, e quelli della povera pensionata i cui depositi sono custoditi al Banco Posta.
Ancor più grave è l’ipotesi del prelievo sul preteso incremento di valore dell’immobile. Questo incremento di valore, che dovrebbe soprattutto essere dimostrato, in molti casi è assolutamente virtuale e non corrisponde del valore di mercato, suscettibile nei vari periodi – e quello che viviamo è uno di questi – ad oscillazioni e visioni diverse tra la posizione del venditore e quella del potenziale acquirente. Avrebbe inoltre bisogno di un rigoroso confronto su base di estimi catastali certi e aggiornati e non di supposizioni e valutazioni su quelle che sono le aree cittadine, per evidenziare il concreto valore da attribuire anche a due cespiti che si trovino nella stessa area, nella stessa strada, ma che hanno indici di vetustà o di riqualificazione sostanzialmente diversi.Questa indeterminatezza darebbe origine ad un contenzioso di proporzioni immense, come  è già accaduto.A fronte del valore virtuale dovrebbe corrispondersi un pagamento reale che, in moltissimi casi, non sarebbe assolutamente compatibile con le disponibilità liquide del proprietario dell’immobile. Basterebbe a suffragare questa osservazione la circostanza che moltissimi immobili sono gravati da mutui, a volte onerosi nonostante la loro riconversione, che si tratta di prima casa di giovani che da poco hanno costituito una famiglia con sacrifici notevoli e che prelevano dal loro stipendio la quota parte da corrispondere alla banca e, da ultimo, molto spesso, dall’unico cespite che l’anziano, dopo una vita di lavoro, riesce ad avere conservato della sua modesta capacità di acquisto.Se proprio si volesse procedere in tal senso, essendo l’unico certo il valore che si dichiara al momento della vendita, varrebbe la pena di reintrodurre l’Invim. Questi sono suggerimenti e valutazioni che tengono conto del diritto tributario di cui i propositori non sembrano curarsi.Se si vuole invece affrontare il problema nell’ottica della Contabilità di Stato, dove si parla sempre di tagli delle spese improduttive (ma i tagli non si fanno mai), la domanda sorge spontanea: a che serve tagliare in modo radicale il debito pubblico se non si ferma concretamente prima l’indebitamento corrente che continua a farlo esistere? Già in passato si è ricorso a sistemi drastici ma nulla è accaduto e il debito puntualmente si è riformato. Quindi sacrifici inutili per gli italiani ignorati dalla classe dirigente, che continua come se nulla fosse. Vogliamo concretamente tagliare la spesa pubblica improduttiva, senza continuare a dire di volerlo fare, ma senza in realtà farlo?
Allo scopo di aiutare in questo compito, per me bisognerebbe incominciare a tagliare le spese dei Palazzi del Potere di questa allegra Repubblica, sfoltendo in maniera energica i costi del Parlamento, delle authority, delle attività ad esse collegate, delle provincie e dei comuni, dando un segno vero agli italiani da parte della classe politica di fare i sacrifici che si chiedono di fare agli altri. Diminuiamo il numero dei parlamentari, dei membri dei consigli regionali, comunali e provinciali, la cui propensione al lavoro è minimale, che affollano le stanze del palazzo e un po’ meno dell’aula e che godono di privilegi assolutamente inaccettabili dalla comunità. Riduciamo seriamente le spese della politica, procediamo a smobilitare l’inutile patrimonio immobiliare dello Stato, privatizziamo le aziende di Stato e, perché no, le aziende comunali nel campo dei servizi e vediamo di riequilibrare i conti senza distorcere i principi fondamentali del diritto tributario che nel nostro Paese da sempre è stato mortificato non essendo più un diritto ma soltanto ed esclusivamente un arbitrio tributario.Dopo aver dato il buon esempio, tassiamo le rendite finanziarie partendo dall’attuale aliquota del 12,50 al 18% che è un tasso compatibile con quello delle altre nazioni e, se proprio dobbiamo, riproponiamo l’Invim (che è sempre un’imposta discutibile poichè tassa l’incremento di valore anche per effetto dell’inflazione).


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