Dal MED2022 valutazioni e analisi sull’Iran. Porte aperte al negoziato, ma Teheran è in una fase complicata: l’arricchimento nucleare, le relazioni rotte con l’Iaea, la deriva del Jcpoa, le repressioni interne, l’appoggio alla Russia. Spazi strettissimi per evitare una destabilizzazione potenzialmente profonda
“Dobbiamo rimettere in carreggiata le nostre relazioni”, ha detto Rafael Grossi, capo dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Iaea), durante il suo intervento al Med, la conferenza internazionale annuale organizzata da Ispi e Farnesina a Roma.
“Sembra che non ci sia una visione d’insieme con l’Iran per quanto riguarda i suoi obblighi nei confronti dell’Agenzia”, ha aggiunto, dicendosi preoccupato per il recente annuncio di Teheran di aumentare la sua capacità di arricchimento. L’Iran sembra essere in disaccordo con l’organo di controllo nucleare delle Nazioni Unite sulle informazioni che dovrebbe fornire in merito al suo programma atomico.
Grossi ha detto di essere “ancora fiducioso” che Teheran fornirà una spiegazione per l’inaspettata scoperta, qualche anno fa, di tracce di uranio in tre siti non dichiarati. Secondo un recente rapporto della IAEA, l’Iran avrebbe accettato una visita dell’organo di controllo delle Nazioni Unite a novembre per iniziare a dare le risposte attese da tempo. Tuttavia, l’incontro non è ancora avvenuto.
La fiducia che Grossi dichiara pubblicamente è anche parte del ruolo che occupa. Secondo le informazioni ottenute da Formiche.net anche all’interno dell’agenzia ormai circola un po’ di scetticismo sulla possibilità di recuperare un accordo più ampio, sebbene c’è più ottimismo sulla possibilità di ritrovare una relazione funzionale con Teheran. Uno scetticismo più generale invece pervade diversi altri attori interessati finora alla ricomposizione dell’accordo Jcpoa — quello che nel 2015 aveva permesso il congelamento del programma nucleare iraniano e che è stato messo in crisi quando Donald Trump ha unilateralmente ritirato gli Stati Uniti.
L’inviato speciale americano per l’Iran, Robert Malley, che ha sempre lavorato per la ricomposizione dell’intesa, è una di quelle voci pro-Jcpoa che ultimamente hanno preso una linea più scettica. Recentemente ha spiegato che il cuore della discussione che deve adesso aver luogo “non è tanto tra l’Iran e gli Stati Uniti, ma all’interno dello stesso regime iraniano”, ossia è il regime che deve prendere una decisone.
Queste parole danno il senso della complessità della situazione. La teocrazia iraniana — che ormai viene pubblicamente definita “regime” anche da funzionari non falchi con Teheran — sta vivendo una delle fasi più complicate della propria esistenza. Le proteste che vanno avanti da mesi non si fermano; le repressioni organizzate dalle autorità non intimidiscono; le collettività (di diverse estrazione sociale, demografica, etnica) ormai scendono in strada per sfidare apertamente la leadership.
La questione delle misteriose particelle di uranio è diventata un ostacolo nei colloqui più ampi per rilanciare l’accordo nucleare del 2015 che l’Iran aveva raggiunto con le potenze mondiali, poiché Teheran sta facendo molte pressioni sull’agenzia di Grossi. Ma è solo uno dei problemi. La situazione l’ha fotografata Hillary Clinton, che un’intervista alla CNN ha detto: “Non negozierei con l’Iran su nulla in questo momento, compreso l’accordo nucleare”.
“Questo non significa che rovesceremo il regime”, ha aggiunto l’ex segretario di Stato democratica parlando dell’appoggio che gli Stati Uniti secondo lei dovrebbero dare alle proteste, ma “spero che ci sia una sorta di discussione interna che possa portare a una maggiore libertà, ma anche a una minore oppressione”. E il quadro delle relazioni, come più volte detto, si complica per l’assistenza offerta da Teheran all’invasione russa dell’Ucraina — che ha fornito qualità e qualità a Mosca in difficoltà tecniche, oltre che politicamente semi-isolata.
“La consegna di armi alla Russia è stato un momento decisivo per cambiare la politica europea nei confronti dell’Iran. Da marzo l’Ue ha messo in guardia Teheran sulle conseguenze di schierarsi con Mosca”, ha detto Bruno Schols, che è il capo della divisione Iran dell’External Actions Service dell’Ue, presente anche lui al MED. “Tuttavia, l’Ue sostiene ancora il Jcpoa come principale percorso in avanti”.
Grossi ha precisato che i colloqui sembrano essersi arenati: “Al momento non sembrano avere lo slancio necessario per riprendere vita”. Ha aggiunto di essere preoccupato per l’annuncio dell’Iran, il mese scorso, di aver iniziato ad arricchire l’uranio al 60% di purezza nell’impianto nucleare sotterraneo di Fordow. “L’Iran ci ha informato che stava triplicando, non raddoppiando, ma triplicando la sua capacità di arricchire l’uranio al 60%, che è molto vicino al livello militare, che è del 90%”, ha detto.
“Non è una cosa banale. È qualcosa che ha delle conseguenze. Dà loro un inventario di materiale nucleare per il quale non si può escludere […] che ci possa essere un altro uso. Dobbiamo andare. Dobbiamo verificare”, ha spiegato il direttore dell’agenzia. L’Iran nega di essere alla ricerca di armi nucleari, affermando che la sua tecnologia nucleare è esclusivamente per scopi civili.
“La diplomazia è ancora la strada per affrontare le questioni iraniane. L’Iran si è allontanato dalla proposta di rilanciare l’accordo in agosto con richieste al di fuori dell’accordo. L’attuale politica statunitense sull’Iran è da qualche parte tra la diplomazia e il piano B. Non esiste una politica in bianco e nero”, ha spiegato Malley intervenendo egli stesso all’evento di Ispi.
Quel “piano B” che intende è probabilmente l’opzione militare. Recentemente Stati Uniti e Israele si sono esercitati per un potenziale attacco contro l’Iran se la questione dell’accordo, e soprattutto del programma nucleare, dovesse finire fuori controllo del tutto. Malley, che ha ammesso egli stesso che il presidente Joe Biden non vuole sottovalutare nessuna delle opzioni, continua a sostenere la necessità della “porta aperta”.
Il rischio di aumentare l’assertività e le pressioni è che il regime, già chiuso per rispondere alle vulnerabilità interne, si chiuda ulteriormente. Il dialogo — concetto alto su cui si basava la costruzione del Jcpoa stesso — è considerato l’unico metodo perché Teheran non avvii ulteriori azioni di destabilizzazione che potrebbero avere conseguenze molto vaste.
Secondo Ellie Geranmayeh, esperta di Iran dell’Ecfr, il ripristino del Jcpoa sembra irraggiungibile, e per questo c’è necessità di mettere a punto misure graduali che almeno congelino il programma nucleare iraniano. “È vero che il rapporto tra Iran e Occidente ha toccato il fondo — spiega — ma la triste realtà rimane: l’Iran è ormai a pochi giorni dall’avere abbastanza materiale per armi per una bomba nucleare”, ergo servono delle valvole di sfogo.
Per l’analista, “l’attuale traiettoria di escalation lascerà sicuramente Iaea , Usa, E3 in un blackout quasi totale mentre l’Iran marcia verso lo stato di soglia nucleare. Le censure e le pressioni ora devono essere accompagnate da una strategia diplomatica prima che sia troppo tardi”, e per questo propone la negoziazione di un “accordo graduale” in cui Stati Uniti ed E3 (che sono i Paesi europei che hanno negoziato il Jcpoa, Germania, Francia, Regno Unito) dovrebbero lavorare diplomaticamente per permettere alla Iaea di entrare più facilmente in Iran e magari pensare — anche come forma di contraccambio — ad aiuti economici umanitari. Inoltre, per Geranmayeh dovrebbe essere facilitata l’applicazione delle sanzioni contro i Paesi terzi che commerciano con l’Iran.
La questione con l’Iran è notevolmente complicata. Le condanne alla repressione interna sono una reazione ovvia da parte di un Occidente che — su spinta dell’amministrazione Biden — ha elevato il rispetto dei valori democratici a teorico vettore di politica internazionale. Tuttavia, spiega in forma riservata un diplomatico mediorientale, c’è anche la necessità di evitare che l’Iran porti a termine il proprio programma atomico, perché a quel punto la minaccia che arriva da Teheran sarebbe enorme e comporterebbe una revisione totale di tutto il quadro di sicurezza regionale.