La fine dell’irriformabile regime teocratico di Teheran, un obiettivo che l’Europa dovrebbe abbracciare mediante l’affermazione dei diritti umani e una rivalutazione degli accordi sugli scambi commerciali. Scrive Giulio Terzi di Sant’Agata, senatore di Fratelli d’Italia, presidente della commissione Politiche dell’Unione europea di Palazzo Madama
Si tiene domani, presso la Sala Nassirya del Senato, un evento su iniziativa del senatore Marco Scurria (Fratelli d’Italia) sull’incandescente situazione in Iran e la dura repressione messa in atto dal regime degli ayatollah. Con un prudente, ma ragionevole ottimismo, si potrebbe affermare che i mullah iraniani sembrano ormai con le spalle al muro e senza più alcun controllo sulla società. Lo scenario in tutto il Paese è quello di una mobilitazione nazionale generalizzata che coinvolge pressoché l’intera popolazione di ogni estrazione, etnia e regione.
Il regime ha ormai calato la maschera sulla propria natura tirannica e assassina contro il proprio popolo. Stiamo infatti assistendo a una durissima repressione di oltre 80 giorni che non ha risparmiato i metodi più brutali nel tentativo arginare le proteste, soprattutto nei confronti delle donne.
Sono proprio le donne che stanno assicurando la linfa vitale di questo movimento “rivoluzionario”. Esauste di una esistenza in condizioni di assoluta sottomissione e mortificazione, sono loro in prima linea nelle manifestazioni dilagate in tutto il Paese.
La ribellione in corso è un appello che sta incontrando un sempre maggiore accoglimento, in tutte le democrazie occidentali. Ne è testimonianza, la partecipazione prevista di numerosi parlamentari italiani all’evento di domani per ribadire il sostegno alla rivoluzione pacifica in atto.
Una rivoluzione che nemmeno la goffa mossa delle autorità iraniane di inscenare la cancellazione della famigerata “polizia morale” ha depotenziato. Il tentativo di Teheran di confondere e dividere l’opposizione e inviare al contempo una specie di segnale di distensione alla comunità internazionale è miseramente fallito.
Del resto, non più tardi di domenica scorsa, il procuratore generale iraniano Mohammad Jafar Montazeri ha dichiarato che il governo non ha mai pensato di abolire la polizia “morale”. Se abolizione sarà, lo si deve alla forza nonviolenta delle donne che hanno tolto il velo e continuano a rinunciarvi. La misura, quindi, appare colma e in tutto il Paese si rafforza il grido di speranza per una piena e assoluta libertà. Va da sé che i manifestanti non si accontentano della riforma dell’hijab: l’obiettivo è il cambio di regime, è la fine dell’irriformabile regime teocratico di Teheran.
Un obiettivo che l’Europa in primis dovrebbe abbracciare con convinzione mediante l’affermazione dei diritti umani e una rivalutazione degli accordi sugli scambi commerciali tra Unione europea e Iran – basati sulla Dichiarazione congiunta del 16 aprile 2016 – che stabiliscono numerosissime aree di cooperazione e prevedono, ancora oggi, il sostegno dell’Unione alla piena membership dell’Iran all’Organizzazione mondiale del commercio.
Ricordo che nel 2020, l’Iran è stato il 56° maggiore partner commerciale dell’Unione europea. Il 17,5% delle importazioni dell’Iran proveniva dall’Europa e il 5,1% delle esportazioni del Paese è andato verso l’Unione europea.
L’Unione, per la sua parte, è il secondo partner commerciale dell’Iran, rappresentando il 12,3% del totale degli scambi di merci. Prima dell’attuale regime di sanzioni, l’Unione europea era il partner più importante dell’Iran per un totale di scambio merci di 4,5 miliardi di euro. Nel 2021, secondo l’Indice di percezione della corruzione di Transparency International, l’Iran occupa il 150° posto su 180 Paesi.
In questa congiuntura, è molto importante la decisione dello scorso 14 novembre del Consiglio europeo di aggiungere 29 persone e tre entità all’elenco Ue di individui soggetti a misure restrittive. A oggi, l’elenco di responsabili del regime iraniano soggetti a misure restrittive e sanzionatorie in materia di diritti umani comprende un totale di 126 persone e 11 entità.
Proprio su queste basi deve poggiare, d’ora in poi, ogni approccio con questo regime che perdura irrimediabilmente nel venir meno ai propri obblighi internazionali, soprattutto in tre circostanze: l’uso di droni iraniani nell’aggressione russa, le attività di proliferazione nucleare, le gravi violazioni dei diritti umani.
L’auspicio è che questa nuova ondata di rivendicazioni popolari sfoci, infine, nella conquista di diritti universalmente riconosciuti e garantiti. Nella contrapposizione sempre più globale tra democrazie e autoritarismi, le donne iraniane possono senz’altro fungere da esempio per tutti gli altri movimenti in lotta per più libertà e più diritto, a cominciare dalle vicine afgane.