La Tunisia può ridefinire un equilibrio più solido tra il rispetto delle proprie tradizioni religioso-culturali e i valori di laicità propri delle società aperte. Il 17 andrà al voto, dopo la modifica assai discutibile della legge elettorale. Essere vicini alla Tunisia non è solo giusto, ma è condizione vitale della nostra sicurezza nazionale, scrive Marco Mayer, docente al corso di perfezionamento in Intelligence e Sicurezza Nazionale (Lumsa)
Dodici anni dopo l’inizio della rivoluzione democratica che ha rovesciato il regime di Ben Alì, sabato 17 dicembre i cittadini della Tunisia saranno chiamati alle urne per eleggere il Parlamento, le cui attività sono state sospese dal Presidente Kaid Saied (un celebre docente di diritto costituzionale in pensione).
Le elezioni si tengono dopo una modifica assai discutibile della normativa elettorale attuata con decreto presidenziale. I candidati possono, infatti, partecipare e competere nelle elezioni parlamentari a livello individuale, ma non come espressione di un partito politico.
Di fronte a questa scelta i partiti di opposizione hanno scelto ufficialmente l’“Aventino”, ma esaminando con attenzione la lista dei candidati si può osservare che alcuni dei loro esponenti hanno deciso di partecipare ugualmente.
È difficile prevedere come si muoverà il nuovo parlamento e soprattutto quali saranno gli equilibri politici del paese dopo le prossime elezioni, ma il Presidente dovrebbe poter contare su un consenso piuttosto ampio.
Sabato 10 dicembre a Tunisi si svolgerà una manifestazione di protesta nell’avenue Burghiba (luogo simbolo della primavera araba), ma l’opposizione appare sempre divisa e schierata su posizioni antagoniste. Lo schieramento che cerca di contrastare la politica accentratrice del Presidente appare, infatti, fortemente polarizzato.
Da una parte si teme una involuzione democratica e la mobilitazione in particolare si concentra in una combattiva difesa dei diritti delle donne (il cui ruolo politico è indebolito dalla nuova legge elettorale).
Sul versante opposto, si colloca una visione della Tunisia contraria ai principi dello stato di diritto, ispirata all’integralismo islamista della Fratellanza Musulmana (che proprio in questi giorni ha guadagnato numerosi punti a suo favore con i mondiali di calcio in Qatar).
Ma è bene essere chiari. Nonostante le attuali difficoltà la Tunisia non è né un’autocrazia né uno stato di polizia. Tuttavia è necessario prevenire i rischi di un collasso della democrazia che non può essere escluso a priori nell’orizzonte futuro. La saldatura tra crescente incertezza politica, profondità della crisi economica e aumento della povertà alimenta la sfiducia dei cittadini.
Basta passeggiare qualche giorno per le strade di Tunisi e parlare con la gente, per respirare la difficoltà del momento. La delusione riguarda soprattutto la mediocrità dimostrata dai partiti politici e il miope clientelismo che ha dominato i loro comportamenti nell’ultimo decennio.
Anche se vi sono stati significativi progressi in materia di sicurezza nazionale e difesa, a dieci anni dalla rivoluzione democratica la delusione popolare è palpabile e i valori della libertà sono percepiti come una dimensione d’élite di cui solo una parte (colta e benestante) della popolazione può veramente godere.
Gli altissimi livelli di indebitamento dello stato da un lato e la carenza di beni primari (pane, latte e generi alimentari di prima necessità), possono diventare una miscela esplosiva.
In questo contesto c’è chi vorrebbe favorire l’influenza di autocrazie straniere potenzialmente interessate a favorire la nascita in Tunisia di un regime autoritario a loro favorevole (vengono subito in mente il ruolo della Russia in Siria e/o le molteplici interferenze cinesi che alimentano le crisi in Etiopia e Sudan).
L’Europa, e l’Italia in primis, non può assistere impotente ad una eventuale collasso dell’economia e della democrazia tunisina, una nazione che peraltro riveste un ruolo geopolitico di rilevanza primaria nel Mediterraneo e nel mondo arabo. Né ci si può affidare esclusivamente ai fondi sovrani del Golfo.
Per l’Europa non si tratta di esportare valori politici o regole istituzionali, ma molto più semplicemente di agire con supporti concreti e duraturi che non facciano sentire solo il popolo tunisino.
Servono aiuti finanziari di emergenza e cooperazione industriale di breve e medio periodo nonché interventi urgenti per far fronte alla crisi dell’agricoltura. Quando manca il latte per i bambini, il pane per molte famiglie ed i posti di lavoro per i giovani la mera retorica dei diritti umani non porta da nessuna parte.
La Tunisia (anche per il grande impegno dei medici militari durante le campagne vaccinali nei villaggi più sperduti) ha saputo reagire molto bene alla pandemia. Il popolo tunisino ha dimostrato nella crisi sanitaria di avere tutte le energie per reagire alle emergenze. Questa esperienza positiva dimostra che in un clima di stabilità politica la Tunisia può ridefinire un equilibrio più solido tra il rispetto delle proprie tradizioni religioso-culturali e i valori di laicità propri delle società aperte.
Certo, per uscire dalla crisi economica la Tunisia non può restare a lungo in bilico. L’Italia ha fatto molto in sede bilaterale e multilaterale in favore della Tunisia, ma in questo momento particolare un salto di qualità è imperativo. Antonio Tajani e Giorgia Meloni devono mettere in agenda la Tunisia come una delle principali priorità della politica estera italiana del 2023.
Occorre agire subito in molteplici campi soprattutto per favorire l’occupazione e la qualificazione professionale dei giovani tunisini nonché per favorire la formazione di una nuova generazione di politici e amministratori. Essere vicini alla Tunisia non è solo giusto, ma è condizione vitale della nostra sicurezza nazionale. La Tunisia è uno snodo cruciale tra Libia e Algeria e forse la recente distensione delle relazioni con Tripoli potrebbe rappresentare un primo passo incoraggiante per aprire una fase di dialogo.
Intervenendo in modo tempestivo a favore della crescita economica e della stabilità politica della Tunisia, l’Italia può offrire un contributo fondamentale alla stabilità complessiva del Mediterraneo e dell’Europa intera. Se non ora quando? Altrimenti sarà inutile piangere sul latte versato.