In Italia come nel resto d’Europa dove, per dirla con le parole del portavoce del ministro degli Esteri ucraino, oggi tutti i Paesi hanno qualcuno che cerca di piacere a Putin. L’analisi di Adriano Soi, docente di intelligence e sicurezza nazionale presso l’Università di Firenze
Nella storia della nostra Repubblica si è verificato di rado che una campagna elettorale e la successiva procedura per la formazione del nuovo governo siano state segnate in maniera evidente da contrapposizioni relative alla politica estera. La transizione tra la diciottesima e la diciannovesima legislatura è stata invece caratterizzata proprio da forti tensioni tra i partiti. Tensioni legate alla situazione internazionale determinata dall’attacco russo all’Ucraina e che, va detto subito, non corrono lungo linee di faglia coincidenti con il confine tra maggioranza e opposizione.
Al contrario, divisioni evidenti e significative per quanto riguarda l’atteggiamento nei confronti della Russia sono emerse più volte, sia tra i partiti che sostengono il nuovo governo, sia tra quelli che lo contrastano. In molti casi sono fioccate smentite e precisazioni, ma è lecito pensare che sotto la cenere ci sia ancora fuoco, pronto a divampare alla prossima occasione.
Da una parte è incontestabile che FdI – l’unico partito rimasto fuori dal governo di unità nazionale presieduto da Mario Draghi e oggi perno della coalizione uscita vincitrice dalle elezioni – sia decisamente schierato su posizioni di sostegno all’Ucraina, in totale consonanza con l’Unione europea e in chiara continuità con le posizioni assunte da Draghi fin dall’inizio del suo mandato. Questo pur rassicurante dato di stabilità non consente in alcun modo di sottovalutare le potenziali insidie legate alle differenti sensibilità nei con fronti delle posizioni di Putin, che sono presenti in alcune formazioni politiche italiane, schierate su entrambi i lati degli emicicli parlamentari.
Una situazione molto diversa, tanto per intenderci, da quella della Guerra fredda, quando le componenti politiche della maggioranza erano tutte connotate dalla più stretta adesione ai principi del Patto atlantico e dalla netta opposizione al comunismo e all’Unione Sovietica, le cui ragioni venivano invece sostenute dalla principale forza politica di opposizione, il Pci.
A conferma di quanto abbiamo appena detto stanno le notizie che vengono diffuse mentre scriviamo queste righe: alcune di esse riferiscono di vistosi distinguo rispetto alla posizione della presidente del Consiglio sulla pace in Ucraina, espressi da parte di uno dei partiti di maggioranza in sede di dibattito parlamentare sulla fiducia; altre danno invece conto della contrarietà del Movimento 5 Stelle nei confronti del nuovo pacchetto di aiuti militari – per la precisione il sesto – che potrebbe a breve essere deliberato dal governo. Dunque, se le cose stanno così, in Italia come nel resto d’Europa dove, per dirla con le parole di Oleg Nikolenko, portavoce del ministro degli Esteri ucraino, oggi tutti i Paesi hanno qualcuno che cerca di piacere a Putin, è difficile non pensare che questa situazione, ben lungi dall’essersi determinata per caso, rappresenti invece il frutto di un lavoro ormai ventennale svolto dalla Russia per accrescere la propria influenza politica nel nostro continente e, in particolare, nei Paesi che più contano nell’attuale assetto europeo, tra i quali l’Italia si è meritato, a quanto sembra, un posto di prima fila.
È difficile non prendere atto che l’aggressione di oggi all’Ucraina è, in realtà, solo una fase di un più generale attacco all’Europa, un attacco che viene da lontano e, se non adeguatamente contrastato in questo cruciale passaggio, potrebbe conseguire risultati molto gravi (basti pensare, a titolo di non casuale esempio, all’attuale stato delle cose in Libia). L’azione russa si è sviluppata lungo tre direttrici, coordinate tra loro e affidate a strumenti operativi, tecniche e metodologie che affondano tutti, in misura maggiore o minore, le loro origini nell’era sovietica. In primo luogo vi è di certo stato un forte e progressivo ricorso a tutte le più affilate armi dell’Intelligence, per raccogliere le informazioni necessarie a individuare gli obiettivi dell’azione di influenza, le aree critiche o particolarmente sensibili, i punti deboli da sfruttare.
Nello sviluppo di questa azione, alla tradizionale e collaudata componente human Intelligence, humInt, lo spionaggio basato sull’attività di agenti professionisti, reclutati con cura e ben addestrati, si è affiancata, con uno spiegamento crescente di risorse umane e tecnologiche, una attivissima componente di spionaggio cibernetico, che molto verosimilmente poggia in misura significativa sulla collaborazione di gruppi o singoli operatori indipendenti. La seconda linea di intervento è quella costituita dalle tecniche di disinformazione nelle quali i Servizi russi – e quelli del regime sovietico prima di loro – detengono una indiscussa supremazia sin dal secolo scorso e, in particolare, dai tempi della Guerra fredda. Non occorre spendere molte parole per sottolineare quanto i risultati di questa linea d’azione possano essere amplificati attraverso il sapiente uso della Rete e delle infinite possibilità che questa offre per condizionare l’opinione pubblica, anche e soprattutto in occasione di consultazioni elettorali.
Il terzo livello di aggressione si salda con i due appena illustrati e ne utilizza i risultati per influenzare in senso favorevole agli interessi strategici della Russia le scelte dei decisori politici dei Paesi-obiettivo, in questo caso quelli dell’Unione europea. Tra le più eclatanti azioni di influenza realizzate in Europa dai russi vi è certamente – solo per fare un esempio – l’ormai ben nota operazione “Dalla Russia con amore” che il 22 marzo 2020, in piena pandemia, spalancò la pista dell’aeroporto militare di Pratica di mare a una squadra di nove aerei da trasporto russi, zeppi di medici militari e altri “specialisti” con le stellette, di macchinari sanitari e chissà cos’altro.
Oltre cento persone venute a svolgere attività di sanificazione non proprio decisive in quel tragico momento, ma probabilmente molto utili ai russi, sia per cercare di passare quali generosi soccorritori di un occidente sempre meno capace di badare a se stesso, sia per coprire un’azione di spionaggio che parve subito, a chi aveva occhi per vedere e capacità di intendere, tanto probabile quanto pericolosa. Spionaggio, disinformazione, influenza: un tridente che ha minato in profondità la lucidità decisionale delle classi dirigenti di molti Paesi europei, anche di quelle ben più solide della nostra, con esiti di una gravità che forse solo ora, a seguito della guerra in Ucraina, cominciamo a valutare per quella che effettivamente è.
Basti pensare al fallimento collettivo nel campo degli approvvigionamenti energetici e all’incapacità, altrettanto collettiva, di capire che le previsioni del mondo anglosassone sull’imminenza dell’aggressione russa erano esatte. Scarsa visione strategica, poca tempestività nell’individuare l’interesse nazionale e il modo migliore per tutelarlo, carenza di approfondimenti analitici e di consapevolezza delle minacce alla sicurezza nazionale. Insufficienze che chiamano in causa, allo stesso tempo, decisori politici e Servizi di Intelligence. Ma l’invasione dell’Ucraina è servita anche – o almeno così sembra – a risvegliare finalmente nella stragrande maggioranza dei governi europei un’adeguata percezione dei rischi che le attività ostili svolte dalla Russia possono determinare per la sovranità e l’indipendenza dei loro Paesi e per la stessa sopravvivenza della Ue. Rischi per altro resi evidenti dalle dure espressioni più volte usate da Putin contro le democrazie occidentali. La via per mantenere la pace è stretta e forse non breve: i Paesi dell’Unione possono arrivare alla meta solo percorrendola tutti insieme, con fermezza e coerenza. Dobbiamo sperarlo.