Sul fisco, da sempre il capitolo più sensibile di ogni legge di Bilancio che si rispetti, il governo di Giorgia Meloni dice di avere in canna altre munizioni. Gli interventi inseriti nella manovra ora all’esame del Parlamento, sono solo un assaggio di quello che potrà essere fatto nei mesi prossimi. Quello che conta è che ci siano solide fondamenta e che il seme per un fisco più equo e al servizio della crescita attecchisca.
Gli auspici ci sono tutti, e sul lavoro svolto fino a qui, a cominciare dagli interventi sul lavoro autonomo, Formiche.net ha parlato con il viceministro dell’Economia, Maurizio Leo. Romano, esperto di tributi e Pa, prima di approdare a Via XX Settembre a fianco del ministro Giancarlo Giorgetti, Leo è stato consigliere economico di Fratelli d’Italia e artefice della politica economica e fiscale del partito guidato dalla premier.
La flat tax al 15% sui redditi autonomi è stata accusata di rappresentare un regalo un po’ troppo generoso ai professionisti, a discapito dei redditi dipendenti. Oltre a spingere molte partite Iva a dichiarare redditi sotto gli 85 mila euro, favorendo magari l’evasione. Che cosa risponde?
A mio modo di vedere non può configurarsi una contrapposizione tra lavoratori dipendenti e lavoratori autonomi, dimenticando che si parla di due delle categorie più fragili del nostro Paese, soprattutto se si considerano lavoratori con redditi medi o medio-bassi. Si rischia di creare inutili conflitti ed ulteriori tensioni. Il problema è il sistema tributario nel suo complesso, nel quale abbondano distorsioni e iniquità e che andrà riformato nel rispetto dei principi costituzionali.
Tutto chiaro. Ma dunque?
Venendo però alla sua domanda, ci tengo ad osservare che la flat tax degli autonomi risponde primariamente ad obiettivi di semplificazione del prelievo. Essa implica una tassazione al 15% di un reddito forfettizzato, in diversi casi più alto di quello effettivamente realizzato a causa del mancato riconoscimento in deduzione dei maggiori costi sostenuti per la produzione di quel reddito. Se non si tiene conto di questo aspetto, il confronto rischia di essere tra grandezze disomogenee. Non solo, in questo dibattito, ci si concentra sui profili fiscali e si trascura il profilo contributivo, tipicamente di maggior rilievo per gli autonomi. Sarebbe quindi oltremodo opportuno comprendere che, nelle more di una fondamentale riforma sistematica del carico fiscale e contributivo su tutti i redditi di lavoro, la flat tax delle partite Iva individuali non costituisce un privilegio ma il meccanismo per cercare di riavvicinare i diversi cunei fiscali e contributivi e, quindi, i livelli di reddito netto disponibile dei lavoratori.
Il grande rimpianto delle imprese è quello di un mancato, incisivo, intervento sul cuneo fiscale. I soldi, evidentemente, non c’erano ma è lecito aspettarsi nei prossimi mesi un più deciso taglio del costo del lavoro?
Assolutamente sì. È impegno di questo governo cercare di ridurre il più possibile il cuneo fiscale e già in questa manovra, pure a fronte di risorse limitate abbiamo aggiunto un piccolo tassello per i redditi più bassi. Ma ovviamente siamo consapevoli che si deve fare di più, anche lavorando sulla componente fiscale e non meramente contributiva.
Avete in mente già qualche idea o proposta?
Insieme al ministro Calderone, porteremo in aula una delle battaglie cardine del nostro programma: chi più assume meno paga. Occorre non solo ridurre il carico fiscale in capo alle imprese ma anche alleggerire la pressione fiscale sui lavoratori intervenendo, in sede di riforma, sulle aliquote Irpef.
Sulla soglia al contante si è scatenato un vero polverone nelle settimane scorse. Da dove nasce l’idea originaria e ora forse abbandonata di portare la soglia a 60 euro entro la quale non accettare pagamenti elettronici?
È vero, sul contante si è scatenato un vero polverone, a mio parere totalmente ingiustificato. Prima di tutto, occorre sottolineare che a dispetto di continue oscillazioni del limite al contante fissato dalla legge negli ultimi anni, non si sono verificati significativi mutamenti nell’entità dell’evasione fiscale. Segno che, evidentemente, non esiste una diretta correlazione fra i limiti di utilizzo del contante e la riduzione dell’evasione. D’altro canto, la decisione dell’Ue di fissare il tetto massimo a 10 mila euro dimostra che il percorso intrapreso risulta ampiamente in linea con le indicazioni comunitarie. Per quanto riguarda il pos, ci sono una serie di idee sul tavolo.
Quali?
Nei prossimi giorni il governo troverà una soluzione che tuteli non solo gli esercenti ma anche i consumatori. Il tutto, naturalmente, da condividere in sede comunitaria. Non si possono sottovalutare, in ogni caso, soprattutto in riferimento alle transazioni di importo modesto, le commissioni a carico degli esercenti che rischiano di erodere eccessivamente i margini.
Allarghiamo lo spettro all’Ue. Più volte l’Europa ha ribadito un concetto: il Pnrr si può modificare, ma non stravolgere o, peggio ribaltare. Chiarito questo punto, che spazio di manovra si aspetta il governo sul Pnrr da Bruxelles?
Una corretta programmazione presuppone sempre, in ogni organizzazione, un aggiornamento in funzione dell’evoluzione del contesto di riferimento. Evidentemente, quando fu predisposto il Pnrr il contesto nazionale ed internazionale era totalmente diverso. La volontà del governo è quella di condividere con l’Europa, senza fughe in avanti, un percorso che porti ad un aggiornamento del Pnrr per far fronte alle emergenze dell’attuale contesto politico ed economico. Ci sembra quantomeno doveroso, dopodiché domandare è lecito, rispondere è cortesia.