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Italia e Africa, a che punto siamo? La versione di Mario Giro

L’ex viceministro degli esteri Mario Giro: “All’Africa serve diventare parte del sistema economico, quindi avere il know how necessario per diventare almeno in parte un continente che si trasforma. Occorre un atteggiamento nuovo nei confronti di una cooperazione 2.0. Qui si mettono insieme interessi nostri ma anche interessi del partner”

Francia, Italia e Turchia possono dare vita ad un triangolo fruttuoso di collaborazione nel continente africano, ragiona con Formiche.net l’ex viceministro degli esteri Mario Giro, che analizza il dossier Africa partendo da un presupposto: non c’è solo la questione migratoria da affrontare e gestire, ma l’intero versante legato al partenariato.

Il ministro degli esteri Antonio Tajani ha detto che l’Africa è centrale, ma l’Italia non ha intenti predatori. Come sviluppare policies italiane in loco?

In Africa l’Italia e l’Europa hanno avuto, in questi ultimi dieci anni almeno, un atteggiamento secondo me incompleto: quello di essere ossessionati esclusivamente dalla questione migratoria. Ciò che ci serve è un vero partenariato: lo diciamo ma quei Paesi che sono molto presenti, come la Francia, Gran Bretagna e anche l’Italia, non l’hanno realizzato. La verità è che noi dovremmo trovare il modo di fare uno scambio di partenariato.

Cosa serve all’Africa?

Diventare essa stessa produttrice e trasformatrice di beni e materiali primari sia agricoli che minerali. Invece noi fino adesso siamo solo andati a riprendere le materie prime e portarle via come hanno fatto tutti, cinesi in testa. All’Africa serve diventare parte del sistema economico, quindi avere il know how necessario per diventare almeno in parte un continente che si trasforma. Questo è l’obiettivo del piano che la presidente del Consiglio Meloni e il ministro Tajani stanno elaborando in questi giorni e in questo sono molto innovativi. Come ho sempre detto, occorre un atteggiamento nuovo nei confronti di una cooperazione 2.0. Qui si mettono insieme interessi nostri ma anche interessi del partner.

Qualche giorno fa in occasione del 31º vertice della lega araba è stata rafforzata anche la Dichiarazione di Algeri che chiede un’azione congiunta per affrontare le sfide regionali sulla crisi libica. I leader arabi hanno annunciato un processo inter libico. E l’Italia?

Si dovrebbe mettere d’accordo assolutamente con la Francia e insieme dovrebbero riuscire finalmente, smettendo di litigare, a trovare una posizione comune sulla Libia che è il minimo che si possa e si debba fare. Direi che a questo punto bisogna farlo anche con la Turchia, che ormai è diventato un attore inaggirabile e necessario in Libia: questo è l’elemento più importante di tutti.

Che Libia abbiamo oggi?

È un territorio in cui non c’è più lo Stato, diviso tra milizie di vario genere che in sostanza sono porzioni. Il problema è ricostruire un’unità: è difficilissimo, sia chiaro, per cui ci vuole una politica unitaria che la Francia e l’Italia possono avere perché su questo hanno un interesse comune e su questo devono anche aggregarsi con la Turchia che ormai è presente sul territorio.

Specialmente dopo gli accordi energetici fra Italia e Algeria, preoccupano le possibili e fitte interlocuzioni tra Algeri e Mosca? Nello specifico, il presidente algerino è stato a Mosca per firmare una fornitura di armi e alcune navi navi russe hanno attraccato in Algeria ultimamente per alcune esercitazioni navali.

La presenza russa, nel Mediterraneo ma anche in Libia, c’è da molto tempo ormai. Da vari anni. Quindi non ci dobbiamo stupire. Siamo stati troppo distratti dalle questioni migratorie e ci siamo adattati a trattare con i trafficanti chiamandoli capi clan e capi milizie, senza l’obiettivo come dicevo principale di ricostruire lo Stato: a questo punto è chiaro altri si sono inseriti nella partita. Occorre prendere iniziative ed assumersene la responsabilità.

Un’iniziativa grossa l’ha presa, come da lei osservato, il Presidente turco Erdogan tramite lo strumento della cosiddetta Africa strategica: quasi 1200 progetti turchi nel 2021 in tutto il continente. Come l’Italia può inserirsi in questo contesto?

La Turchia ha aperto 40 ambasciate in questi ultimi vent’anni in Africa, quindi è diventato un attore importantissimo: certo la Turchia ha i suoi problemi. Innanzitutto è esposta su molti fronti, poi ci sono criticità finanziarie interne come l’enorme inflazione, ma ha anche punti di forza come la sua imprenditoria privata molto intraprendente, che si espone e che rischia come fatto dagli imprenditori italiani negli anni ’60. Su questo aspetto noi dovremmo poter collaborare.

Infine l’Etiopia: lo scorso 3 novembre il sigillo sulla cessazione delle ostilità fra il governo dell’Etiopia e il TPLF, come frutto dei colloqui guidati dall’Unione africana: l’Italia che ruolo può avere?

Mentre in Africa occidentale, in cui abbiamo aperto ambasciate ultimamente, anche noi siamo una presenza storica ma non così prioritaria, in Africa orientale siamo una presenza importante e prioritaria: lo siamo stati anche in questi anni di guerra. Non abbiamo compreso a sufficienza le guerre in Etiopia, due guerre del Corno e quella del 2000: le abbiamo considerate delle tragedie umanitarie e il fatto che finalmente ci sia adesso la tregua ci rende tutti soddisfatti. Noi siamo presenti per ricostruire e soprattutto per instaurare una vera riconciliazione. Ci vorrà del tempo ma è necessaria.

@FDepalo

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