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L’inchiesta peserà sulle relazioni Ue-Qatar? I rischi di uno strappo

Quanto rischia di pesare ciò che è successo sulle future — e importantissime — relazioni tra Bruxelles e Doha? Il valore morale della vicenda messo sotto stress dalla necessità di realismo politico per non guastare una partnership che è (era?) destinata a consolidarsi

Uno scandalo di corruzione sta attualmente scuotendo l’Unione Europea, mettendo in dubbio alcuni meccanismi interni, relazioni con l’esterno, regole del blocco e interferenze esterne. La politica greca Eva Kaili, vicepresidente del Parlamento europeo, è stata accusata di corruzione in un caso legato al Qatar e incarcerata domenica scorsa a Bruxelles, insieme ad altre tre persone. I sospetti degli inquirenti riguardano ingenti somme di denaro che sarebbero state pagate dal Paese che ha ospitato i primi, storici Mondiali di calcio del 2022 per influenzare la politica europea.

Per la maggior parte dei cittadini europei, il fatto che un caso di corruzione stia emergendo dall’interno delle istituzioni europee non dovrebbe essere una grande sorpresa. La scorsa primavera, una media del 68% degli intervistati in un sondaggio a livello europeo condotto da Statista ha dichiarato che la corruzione è diffusa nel proprio Paese. “Quindi perché dovrebbe essere diverso a Strasburgo o a Bruxelles” si chiede l’istituzione statunitense dei dati demoscopici, che per l’occasione ha creato un’infografica che mostra la Grecia — nazione di Kaili — in testa a tutti i Paesi dell’Ue nella percezione della corruzione.

La vicenda sulla presunta corruzione al Parlamento europeo non poteva avvenire in momento più complesso, e va a colpire diverse nervature. Innanzitutto quella che riguarda le attività dell’Ue e la percezione — che in certi casi significa fiducia — che i cittadini europei hanno di questa istituzione complessa, avvolgente, spesso fredda e distante. C’è dunque il rischio che passi il fatidico abbrutimento dell’intelletto del “sono tutti uguali”.

Ma a essere colpito pesantemente è (anche) il Qatar. La nazione del Golfo è in pieno sviluppo e mai come in queste settimane sotto i riflettori internazionali, sia dei semplici cittadini sia di politici e investitori. I Mondiali sono arrivati a valle di una serie di attività che hanno visto i funzionari diplomatici qatarini impegnati direttamente per gestire le complicatissime relazioni con i Talebani, sia nei momenti di fuoco del 2021 sia oggi, e anche per conto degli europei rimasti senza voce e con poco appeal in un’area strategica — l’Asia Centrale — importante per l’Europa e dove il Qatar sta crescendo.

Doha ha anche un ruolo, per niente facile, nel cercare vie di soluzione alla guerra russa in Ucraina e nel controllare il fall-out anche attraverso gli aiuti all’Egitto, più popolosa nazione del mondo arabo in difficoltà economiche che si potrebbero esasperare per l’effetto dell’inflazione alimentare prodotta dalle azioni sconsiderate di Mosca.

I Mondiali sono diventati un’occasione per muovere critiche contro Doha a proposito dello sfruttamento (e degli incidenti mortali) dei lavoratori che hanno costruito gli impianti. L’assegnazione — che ha comportato la singolarità di giocare il torneo a dicembre — è stata raccontata come una concessione della Fifa al denaro dell’emiro Tamin bin Hamid Al Thani.

Le critiche hanno toccato addirittura la cerimonia di premiazione, quando l’emiro ha fatto indossare un bisht alla stella del torneo, Leo Messi: per alcuni aver “costretto” il capitano dell’Argentina a mettere il mantello tradizionale simbolo di prestigio è stato un modo per avvolgere il torneo — e il calcio — col potere dei soldi qatarini. 

Eppure questo torneo — con i suoi limiti, simboli e riti — sarà ricordato anche per il valore che ha avuto sulle relazioni internazionali, per aver permesso incontri unici e non calcistici, come quello tra i leader egiziano e turco, che non si erano mai stretto la mano. Per l’aver visto tifare un saudita per il Qatar e un qatarino per l’Arabia Saudita, ossia aver raccontato con due immagini durante una partita quell’intricato processo storico che va sotto il nome di “riconciliazione di Al Ula” (la pace tra Doha e il resto del Golfo dopo anni di isolamento).

Davanti a questo, lo scandalo al Parlamento europeo desta più di un sospetto per le circostanze temporali. Il metro letterario-giornalistico italiano porterebbe a parlare della cosiddetta “giustizia a orologeria”, e in effetti c’è più di un sospetto sul fatto che la notizia dell’inchiesta — e i pesanti dettagli su evoluzioni e coinvolgimenti — siano usciti proprio in concomitanza con i Mondiali (con le fasi conclusive per altro), anche perché le prime mosse pare fossero pronte già in estate, ma poi gli inquirenti si sono convinti ad aspettare altre evoluzioni prima di dare mandato a procedere.

L’inchiesta è in corso, rivelazioni e ricostruzione riempiono già i media, e forse al di là della cronaca giudiziaria vale la pena soffermarsi su implicazioni più ampie, che toccano inevitabilmente tutto ciò di cui si è parlato finora. Perché c’è anche un’altra circostanza temporalmente rilevante. Il rischio che quanto successo porti complicazioni nelle relazioni con il Qatar in un momento in cui il Paese è terribilmente importante — e proprio per l’Unione europea.

Doha è parte fondamentale di quella regione con cui Bruxelles sta costruendo una nuova partnership strategica. Ed è ancora più cruciale come fornitore energetico. Il Gnl qatarino è già aliquota (sebbene di peso relativo) degli approvvigionamenti energetici di Paesi europei come Italia e Germania, per dirne due non certo secondari. Gli stessi che cercano in quel gas naturale prodotto nel North Dome — dove la francese Total e l’italiana Eni possiedono importanti quote — una spinta per differenziarsi dalla dipendenza nefasta russa.

L’importanza del Qatar come fonte affidabile di gas è destinata a crescere grazie a “spot-market deals” più immediati, ma anche secondo un programma di espansione produttiva che traguarda il 2027 e accordi quindicennali come quello tedesco. Ciò chiaramente aggiunge un livello di complessità. L’equazione è complessa, con molte variabili da risolvere. Ma d’altronde nel mondo delle relazioni internazionali quasi mai esistono soluzioni facili. Se le autorità belghe coinvolgeranno formalmente Doha nella loro indagine sulla corruzione europarlamentare, Berlino come Roma saranno chiamate a una scelta politica.

Se è vero quello che diceva Kant — “il diritto non deve mai adeguarsi alla politica, ma è la politica che in ogni tempo deve adeguarsi al diritto” — è altrettanto vero che il moraleggiare su quanto accaduto dovrebbe essere perimetrato da un certo livello di realismo. Alla domanda, dopo una riunione dei ministri dell’energia dell’Ue a Bruxelles, se fosse giusto “comprare gas dal Qatar se il Qatar compra i parlamentari europei”, il ministro dell’Economia tedesco, Robert Habeck, ha risposto che le questioni dovrebbero essere considerate “due cose diverse”.

“La corruzione è un reato penale”, ha dichiarato. “Il commercio con altri Paesi deve sempre essere soppesato con le conseguenze morali che comporta e allo stesso tempo si deve verificare che si possa garantire la sicurezza delle forniture. E in questo caso, in cui si tratta di acquisti di gas, l’Europa o la Germania hanno interesse a compensare la perdita di gas russo. Quindi credo che si debba distinguere tra le due cose”.

L’allargamento del perimetro della vicenda al Marocco — Kaili ha confessato di aver fatto parte di un’organizzazione utilizzata da Doha e Rabat per condizionare gli affari europei — apre a un ulteriore scenario. Se il tema della sicurezza energetica guida le relazioni con Doha — che sono molto più articolate, legate a investimenti incrociati e a un ruolo di bilanciamento in certi dossier che il Qatar svolge, dall’Ucraina all’Afghanistan — con il Marocco è in ballo l’equilibrio delicato del Nordafrica. Una regione costantemente sensibilizzata da chi intende usarla anche contro l’Europa e dove l’Europa deve ritrovare spinta e compattezza. Anche per evitare che la ricerca di attenzioni scarrelli verso pratiche illegali.

Il governo del Qatar ha negato qualsiasi illecito. Domenica 18 dicembre, Doha ha risposto alle accuse e ha avvisato Bruxelles del rischio che vengano intraprese azioni “discriminatorie” contro il Qatar sulla base di informazioni “inaccurate”. In una dichiarazione riportata dai media, un diplomatico del Qatar ha affermato che la risposta del Parlamento europeo allo scandalo potrebbe “influenzare negativamente […] le discussioni in corso sulla povertà e la sicurezza energetica globale”.

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