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Un modello altoatesino per sbloccare la crisi tra Serbia e Kosovo. La proposta di Politi

Conversazione con il Direttore della Nato Defense College Foundation: “La Serbia avrebbe tutto da perdere violando dei precisi accordi tecnico-militari con la Nato e si vedrebbe contrastata dalla KFor. D’altra parte, la rigidità da parte kosovara rischia di bloccare la soluzione del riconoscimento del Paese in sede Onu”

L’unica strada per sbloccare l’impasse tra Serbia e Kosovo è quella del modello altoatesino, dice a Formiche.net Alessandro Politi, Direttore della Nato Defense College Foundation, secondo cui difficilmente le tensioni delle ultime settimane si trasformeranno in conflitto. Ma resta il dato di una situazione che deve essere risolta rapidamente, anche per disinnescare possibili altri fronti complicati.

Le truppe di Belgrado in stato di massima allerta: il governo kosovaro è accusato di essere ostile e di discriminare i serbi del Kosovo. Quanto è vicino un conflitto?

Credo che che la cosa più vicina adesso sia la tensione in corso, ma un conflitto inteso come guerra aperta è piuttosto improbabile. La Serbia avrebbe tutto da perdere violando dei precisi accordi tecnico-militari con la Nato e la Serbia si vedrebbe contrastata dalla KFor al cui interno ci sono come è noto italiani al comando, oltre a turchi, greci e americani. Quindi se Vucic si vuole giocare per i prossimi dieci anni l’ingresso nell’Europa, beh quella sarebbe la mossa più sventurata, ma normalmente questi schemi sono già stati visti in altre crisi rientrate. Adesso Vucic ha portato lo schieramento di forze lungo il confine a 5.000 unità ma con una motivazione che francamente difficile da dimostrare.

Ovvero?

Che le autorità di Pristina vogliono attaccare i serbi del nord se non rimuoveranno i blocchi stradali che sono una vecchia tattica di quei comuni. E simultaneamente Vucic chiede di far entrare 1.000 uomini delle forze di sicurezza per proteggerli. Onestamente i serbi del nord non corrono nessun serio rischio, anche perché non dovrebbero esserci strutture parallele – a suo tempo smantellate – che abbiano distribuito armi ai serbofoni del Nord. Certo, la presenza del crimine organizzato nella zona permette un giro di armi tutt’altro che trascurabile.

Chi soffia sulla brace?

Vucic sta aumentando la tensione però non è la prima volta che ricorre a questi mezzi e non è la prima volta che le autorità kosovare chiedono alla KFor di smantellare i posti di blocco. Kurti è fermamente contrario a realizzare la famosa associazione dei Comuni serbofoni in Kosovo: lui ritiene che così si crei una sorta di mini stato ostile. Questa gente continuerà sempre a rivolgersi a Belgrado, sia pure con diffidenza, sapendo di essere pedine sacrificabili nelle mani di Belgrado; così sarà sino a quando Pristina non si prenderà in carico totalmente salari e pensioni.

Quindi?

Quindi il problema non è tanto la costituzione di questa comunità a cui Kurti si è opposto, non dico per principio, ma per una serie di ragioni che forse non sono così solide come pensa. Il problema è la dipendenza dei serbofoni da Belgrado per cose estremamente concrete, cosa che tutti i governi a Pristina hanno tollerato. Inoltre la presenza di un’unica lista serba che rappresenti tutti i serbi ha fatto parte di un gioco di bilanciamenti da fare con mano leggera. E però è un fatto che nelle zone serbe il multipartitismo viene attivamente scoraggiato da Belgrado e i serbofoni votano ancora per le elezioni presidenziali. Finora c’è stato il compromesso di permettere loro di farlo per ovvi motivi. E adesso Kurti ci si oppone: forse questa non è la cosa più importante, è però importante fare in modo che i serbofoni kosovari si sentano a casa loro in Kosovo.

Come uscirne?

L’unico modello sensato, e non importa quanto costerà, è quello altoatesino. È certamente una questione difficile e complessa però non è che ci siano altri modelli di successo da applicare; soprattutto ci sono cose concrete da fare. Contrariamente si rischia di bloccare la soluzione del riconoscimento del Kosovo anziché facilitarla: bisogna provare nuove strade. E poi il riconoscimento del Kosovo, benché sempre ostaggio della Russia in Consiglio di sicurezza, può essere raggiunto finalmente con i 2/3 di Paesi che lo riconoscono nell’Assemblea generale dell’Onu: questo già sarebbe un punto molto importante.

Quale sarà il ruolo dei super players esterni, silenziosi e meno silenziosi, che comunque sui Balcani hanno un ascendente significativo come la Russia?

I russi sono molto realisti e hanno capito che nei Balcani c’è poco spazio per loro. Finché possono dare fastidio alla Nato con minima spesa, è evidente che ci provino: ma in realtà la guerra in Ucraina per ora ha accelerato le intenzioni di molte capitali europee a chiudere il dossier balcanico, finalmente integrando i Balcani. Già i Balcani sono, come dire, idealmente protetti dal fatto che c’è una fascia di Paesi Nato che li isola dal conflitto, ma bisogna arrivare al dunque.


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