Il viceministro: “Sul Pnrr abbiamo raggiunto i 55 obiettivi previsti per fine anno, a dimostrazione che l’allarmismo lanciato da certa sinistra era ancora una volta infondato e strumentale”. E sull’Msi: “Una polemica sterile creata nel vano tentativo di mettere in difficoltà questo governo. Se l’opposizione è questa, penso non sia una buona notizia per la nostra democrazia”
Alla prima conferenza di fine anno, il premier Giorgia Meloni ha confermato la linea della coerenza. L’imprinting di un governo politico è netto. Dopo le polemiche sorte a seguito delle prese di posizione di alcuni leader di FdI sul ricordo del Movimento Sociale, Meloni ha preferito il basso profilo. È concentrata a lavorare. Così come lo è il viceministro alle Infrastrutture, Galeazzo Bignami che, tuttavia, non si sottrae al rispondere ad alcune domande sulla sua storia personale e su quella della sua famiglia. Sempre dalla stessa parte: a destra.
Viceministro Bignami, il ministro Crosetto ha espresso i desiderio di fare piazza pulita dei burocrati che dicono sempre no, altrimenti l’Italia non riparte. Questo indirizzo impatterà molto anche sul versante dei trasporti e delle opere pubbliche. È una linea che porterà reale beneficio al Paese?
È necessario farlo. Ci sono tanti dirigenti e funzionari che con dedizione e competenza operano nell’interesse dello Stato. Ma lo Stato è una macchina complicata e sofisticata e come in tutte le macchine di questo tipo basta un ingranaggio che non funziona per bloccare processi fondamentali. Non possiamo permettercelo, ancor più con i fondi Pnrr che ci ancorano a target realizzativi precisi e ben scadenzati.
Sul versante Pnrr, a che punto siamo? Quali, a suo giudizio, i progetti più significativi?
Abbiamo raggiunto i 55 obiettivi previsti per fine anno, a dimostrazione che l’allarmismo lanciato da certa sinistra era ancora una volta infondato e strumentale. Ora si tratta di valutare la capacità di trasformare le riforme in cantieri e opere, vale a dire capacità di spesa. Questo significa avere professionisti che progettino, tecnici che predispongano i bandi, operatori che partecipino, commissioni che aggiudichino e cantieri che costruiscano. Non vorrei che si stesse sottovalutando tutto ciò. Una progettazione articolata e di dettaglio impiega risorse finanziarie e temporali non banali e non è detto che tutte le stazioni appaltanti abbiano le risorse adeguate. Un appalto per essere aggiudicato e realizzato, comporta conoscenze e competenze non banali. E aprire un cantiere significa avere ingegneri sul campo, tecnici specializzati, manodopera qualificata, materiali e approvvigionamenti per costruire e chiudere tutto entro il 2026. Non è una sfida di poco conto.
Capisco che sia poco suggestivo, ma l’opera più importante e fissare le priorità con precisione, individuare cosa è realmente realizzabile e quindi finanziabile e partire. Ho la sensazione, in questi primi 50 giorni, che l’idea fino ad oggi predominante fosse quella di un enorme piano pluriennale degli investimenti, dove dentro si metteva di tutto a prescindere dalla concreta fattibilità degli interventi. Questo significa disperdere le energie in mille rivoli, senza centrare risultati significativi. Ed invece abbiamo bisogno del contrario: puntare su obiettivi certi e centrarli.
Il ponte sullo Stretto, in definitiva, si farà? In che tempi?
Ecco, questo è il punto. Noi dobbiamo concretizzare opere strategiche. Il Ponte lo è. Perché con quella infrastruttura si realizza un investimento per il Meridione vero, concreto, che può anche costare 10, 12 miliardi, forse pure 15. Ma che si traduce benefici diretti e minori costi. Sa quanto costa l’insularità ai siciliani ogni anno? 6 miliardi. Con il Ponte si spinge verso una infrastrutturazione del Meridione fondamentale: dalla Alta Velocità sulla Salerno Reggio Calabria, fino in Sicilia; un rilancio della viabilità ionica, un’attrattività del Meridione anche sul versante produttivistico. Quello che noi vogliamo per il nostro Mezzogiorno. Se l’Italia è la settima potenza manifatturiera con il sud cosi penalizzato, pensiamo cosa potrà diventare la nostra Patria con un territorio omogeneo sul piano della ricchezza e della industria.
Lei è figlio di Marcello Bignami, storico esponente del Movimento Sociale prima e di Alleanza Nazionale dopo. Ha una lunga tradizione di militanza a destra, che parte dal Fuan. In questi giorni, in occasione dell’anniversario della fondazione del Movimento Sociale, hanno fatto parecchio discutere le esternazioni di Isabella Rauti e del presidente La Russa. Lei come la vede?
Non le capisco. Il Msi è nato nel 1946, i suoi rappresentanti hanno seduto in Parlamento dal 1948 fino al 1995, quando con Fiuggi è nata Alleanza Nazionale che ne ha proseguito il percorso democratico. Per mezzo secolo il Msi ha raccolto milioni e milioni di voti e democraticamente li ha rappresentati in Parlamento. Ricordo leader che si rispettavano, Almirante in fila al funerale di Berlinguer e Pajetta alla camera ardente di Almirante. Oggi invece qualcuno si sveglia e lancia anatemi… Un po’ come quando qualcuno si stupisce dell’Atlantismo di Fratelli d’Italia. Ma come? La Destra repubblicana è sempre stata atlantista. Ci sarebbe da strabuzzare gli occhi del contrario. Dai, diciamo la verità: è una polemica sterile creata nel vano tentativo di mettere in difficoltà questo governo. Se l’opposizione è questa, penso non sia una buona notizia per la nostra democrazia.
Non vedo questa distanza. Penso che sia nell’agire quotidiano, compiuto senza i riflettori, in silenzio ma con determinazione, nella sincera condivisione di valori e prospettive, pur nelle differenze, che si costruisce rispetto e lealtà. Non sempre si sarà sulle stesse posizioni, ma questo non significa dover dubitare della reciproca vicinanza. In Israele e nel suo popolo, cosi come nelle comunità ebraica, ho sempre visto una parte imprescindibile della storia e della difesa della cultura occidentale, una realizzazione di quei Valori di identità e di custodia delle proprie tradizioni e radici che sono indispensabili per affrontare con coraggio il futuro. Dire il contrario è negare la realtà, prima ancora che la nostra identità europea e occidentale. E chi lo fa è in malafede, sentimento che mi inquieta sempre.