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Meloni e quelle (prime) avvisaglie da destra. Scrive Cangini

Veneziani critica l’approccio prudente della premier. Se Meloni vuole che la destra cambi pelle e continui a riconoscere la sua leadership nella buona come nella cattiva sorte, dovrà trovare il modo e la forza di avviare una massiccia opera di pedagogia politica rivolta sia agli elettori sia agli eletti di Fratelli d’Italia. Il commento di Andrea Cangini

Non sono passati neanche tre mesi dalla nascita del governo e a destra già si avverte un senso di delusione nei confronti di Giorgia Meloni. “Quando farà qualcosa di destra?”, si domanda con retorica morettiana Marcello Veneziani sull’ultimo numero di Panorama. Segue l’affondo: “Per ora, in verità, Giorgia – grandi occhi e piccole mani – non ha fatto nulla di significativo o di clamoroso… Nessuna sterzata importante, nessun avvio o annuncio d’intervento strutturale, solo piccoli passi e piccoli aggiustamenti. Piedi di piombo e mani di fata”.

È un segnale isolato, ma non è un segnale trascurabile.

Marcello Veneziani è forse il più autorevole e popolare tra gli intellettuali di destra, ma la sua è una destra intrisa di antiamericanismo, a dir poco diffidente nei confronti dell’Europa e sostanzialmente ostile al modello liberalcapitalistico. È quella destra che, per realismo, Giorgia Meloni, sembra aver abbandonato. “Con lei – scrive, dunque, Veneziani – la politica è tornata a governare l’Italia, ma al tempo stesso si è eclissata”. È un atto di accusa, un’accusa di tradimento ideale rivolta alla leader che più di altri ha fatto della “coerenza” la propria retorica pubblica. Ebbene, Veneziani la vede così: “Dopo la scalata a Palazzo Chigi, è cominciata la virtuosa discesa della Meloni sugli sci presidenziali: con abili slalom ha cambiato la traiettoria lineare da cui era partita quando era all’opposizione e ha inanellato una serie di slalom che l’hanno condotta alla meta: paletti atlantici e militari made in Nato, paletti europei da osservare, paletti economici ereditati da Draghi”. L’accusa è insidiosa.

Chi scrive è convinto che la scelta atlantista e quella sostanzialmente europeista di Meloni siano segni importanti di maturità politica al pari del tentativo di migrare dagli orizzonti culturali della destra sociale a quelli di una destra pienamente liberale. Ma una parte non trascurabile del mondo da cui la Meloni proviene la pensa diversamente. Se non vorrà che la voce oggi isolata di Marcello Veneziani si faccia coro, Giorgia Meloni dovrà dunque preoccuparsi di spiegare le ragioni profonde di tali metamorfosi, e dovrà essere convincente. Se vuole che la destra cambi pelle e continui a riconoscere la sua leadership nella buona come nella cattiva sorte, dovrà trovare il modo e la forza di avviare una massiccia opera di pedagogia politica rivolta sia agli elettori sia agli eletti di Fratelli d’Italia.



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