Un possibile collasso della Russia potrebbe far scivolare l’Italia impreparata. Dopo troppe sviste estere è momento di riflessione sul quadro internazionale e suoi riflessi interni. L’analisi di Francesco Sisci
L’Italia si trova a un bivio rischioso tra prossime sfide interne e internazionali, e senza un’adeguata preparazione potrebbe scivolare.
Quest’anno dovrebbe finire la guerra in Ucraina, e a quel punto potrebbe scatenarsi una crisi politica interna molto pesante in Russia che mette a rischio l’equilibrio del Paese. Un recente articolo sull’autorevole Foreign Policy americana avverte che “è tempo di prepararsi per il collasso della Russia… Ciò che stupisce, dopo quasi un anno di guerra, è la quasi totale assenza di discussioni tra politici, responsabili politici, analisti e giornalisti sulle conseguenze della sconfitta per la Russia. È una pericolosa mancanza di immaginazione, considerando il potenziale di collasso e disintegrazione della Russia. In effetti, la combinazione di una guerra fallita all’estero e di un sistema fragile e teso all’interno aumenta la probabilità di una sorta di implosione ogni giorno che passa. Indipendentemente dal fatto che ciò sia positivo o negativo per l’Occidente, è un risultato a cui i responsabili politici dovrebbero prepararsi”.
Intanto continua la crisi in Iran e si aggravano le tensioni con la Cina. In Italia nel 2021, dopo il ritiro americano dall’Afghanistan il consenso nella politica estera pareva essere che l’America fosse pronta a spirare. Per questo si incoraggiò l’allora premier Mario Draghi prima a convocare un G20 straordinario sull’Afghanistan e poi a inseguire vertici (che non si materializzarono) con i presidenti russo e cinese, Vladimir Putin e Xi Jinping.
Successivamente, e forse conseguentemente, si credette che la Russia non avrebbe mai attaccato l’Ucraina e se l’avesse fatto ne avrebbe avuto rapidamente ragione.
Quando la Russia attaccò l’Ucraina e fallì nel tentativo di invasione, il consenso del governo sugli esteri si spostò su posizioni atlantiche. Ma non c’è stata mai un’analisi del perché degli errori, né c’è stato un passo avanti sulle analisi future, ora che la sconfitta militare della Russia emerge sempre più chiaramente e gravemente.
Le conseguenze del collasso della Russia infatti sarebbero gigantesche, specie in una cornice di grande instabilità mondiale, ma non pensarci e non considerarle non esorcizza il problema, lo aggrava. È solo mettere la testa sotto la sabbia.
Infatti, in questo scenario alla fine della guerra l’interesse europeo e americano a mantenere una qualche stabilità in Italia diminuisce di molto perché altre priorità molto più gravi e impellenti emergono.
Per esempio, inizia il problema di riallineare la Germania. Essa aveva scommesso sulla Cina e sulla Russia e queste due carte invece si stanno rivelando deboli. Invece Polonia, Ucraina, Paesi baltici, Romania potrebbero essere i nuovi punti di riferimento politici dell’Europa.
Così la Germania potrebbe diventare il nuovo collante tra Est e Ovest di una nuova Europa. Qui la Russia conta di meno oppure smette addirittura di esistere per come l’abbiamo conosciuta.
Naturalmente sono ipotesi, ma il corso della guerra, e di tutte le guerre, dimostra che le ipotesi peggiori sono spesso superate dalla realtà.
Qui si arriva alla politica interna dell’Italia oggi. Il governo ha annunciato tra grandi riforme, una costituzionale sul presidenzialismo, l’altra sull’autonomia differenziata delle regioni e la terza sulla giustizia. Il 7 gennaio Paolo Mieli sul Corriere della Sera consigliava il governo Meloni di concentrarsi su una, perché, in sostanza, “chi troppo vuole nulla stringe”.
In effetti ha ragione Mieli, non solo in generale ma perché il contesto internazionale potrebbe dare all’Italia meno tempo di quanto essa oggi pensi di avere e imporre invece domani altre, nuove priorità.
Le riforme annunciate dal governo, tutte e tre tecnicamente complicatissime, ciascuna delle tre che potrebbe mettere in crisi l’equilibrio del Paese, giustamente o ingiustamente, diventano difficilissime da portare a termine.
Inoltre le obiezioni, giuste o sbagliate, dell’Italia rispetto alla Bce, ai tassi di interesse, al pagamento dei suoi debiti, diventano ciascuno elementi destabilizzanti dell’Italia nei suoi rapporti con l’estero e al suo interno.
Allora il consiglio spassionato per il governo sarebbe prepararsi a questa eventualità prossima, di fine della guerra e inizio di una catena di destabilizzazione e ristabilizzazione dell’Europa che potrebbe schiacciare l’Italia per quella che è. Potrebbe non accadere, in quel caso la preparazione non è sprecata. Ma se accadesse e l’Italia non fosse preparata, tutto potrebbe diventare drammatico. Come prepararsi a tutto questo, è un altro problema, ma questo è un altro discorso.
Inoltre, fra le tre riforme in cantiere, forse la più urgente e quella su cui possono raccogliersi più facilmente consensi trasversali, è sulla giustizia. C’è urgente bisogno di semplificazione del rapporto tra cittadino e pubblico. Alla fine il costo dei controlli anti corruzione, anti abusi crea assurdità che moltiplicano i costi di ogni impresa pubblica.
Secondo la Banca d’Italia un chilometro di autostrada in Italia costa cinque volte di più che in Francia. Al netto della diversa orografia, sono i costi burocratici e “anti corruzione” prima e dopo e l’appalto che moltiplicano i conti.
Così oggi quasi solo i corrotti o le grandi imprese possono sostenere prezzi, rischi e tempi delle gare di appalto pubblico. Inoltre, tempi e costi esagerati rendono sempre di più economicamente conveniente la corruzione mafiosa, anche se rimane pericolosa per conseguenze penali, e perché la mafia è più inaffidabile dello Stato e, a differenza dello Stato, è inappellabile e spietata.
Ma questo è un sistema folle che sta scoppiando, e deve essere semplificato davvero, altrimenti si arriva a una specie di Mafialand di fatto. Specie se il Paese smette di essere prioritario a livello internazionale.