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Capitol Hill e Brasile, il fil rouge è il malcontento ma… Parla Orsina

Il direttore della School of Government della Luiss: “Chiunque assalti un’assemblea rappresentativa si mette al di fuori delle regole democratiche, come è ovvio. Dopodiché, il problema è capire quanto estesa e seria sia la minaccia – ad esempio, ripensando agli aspetti non poco grotteschi degli eventi del 6 gennaio 2022. In molti casi la massa della protesta credo sia più diretta contro i presunti fallimenti della democrazia che contro i suoi valori”

C’è un filo rosso che lega l’irruzione dei sostenitori di Donald Trump a Capitol Hill e l’assalto al parlamento Brasiliano da parte dei fan di Bolsonaro. È il malcontento che serpeggia, la scontentezza di chi non si sente rappresentato dalle istituzioni. E ha scelto di scendere in strada, imboccando il sentiero della violenza. “C’è una miccia che si è accesa, ma la bomba è ancora lontana dallo scoppiare. Quello brasiliano, così come l’assalto a Capitol Hill, non sono colpi di Stato, sebbene siano segnali che devono metterci in guardia”. Giovanni Orsina, che ha recentemente pubblicato sulla Stampa tre articoli sulle evoluzioni del populismo, fusi poi in un Policy Brief della Luiss School of Government di cui è direttore, ci dà una sua lettura del fenomeno.

Orsina, parlare di colpo di stato è eccessivo. Ma non c’è da star tranquilli per quanto accaduto in Brasile.

No, è un fenomeno al quale fare grande attenzione perché mostra l’estensione e la profondità del malcontento. Una protesta portata avanti, in maniera più o meno violenta, da una parte di opinione pubblica che non si sente più rappresentata dalla classe politica e dalle istituzioni. Il problema reale è che questi episodi possono essere il preludio di qualcosa di grave che, fortunatamente, per ora è scongiurato. Non è escluso però che l’insoddisfazione possa portare in futuro ad accelerazioni ulteriori.

Si tratta di persone che rifiutano le regole democratiche?

Chiunque assalti un’assemblea rappresentativa si mette al di fuori delle regole democratiche, com’è ovvio. Dopodiché, il problema è capire quanto estesa e seria sia la minaccia – ad esempio, ripensando agli aspetti non poco grotteschi degli eventi del 6 gennaio 2022. È anche molto difficile generalizzare: stiamo parlando di fenomeni di protesta che interessano molte democrazie, e le democrazie sono creature molto differenti le une dalle altre. In linea di massima, credo che in molti casi la massa della protesta sia più diretta contro i presunti fallimenti della democrazia che contro i suoi valori. Anche gli studi demoscopici ci dicono che i valori democratici tutto sommato continuano a tenere. Il che non esclude naturalmente la presenza di sacche militanti che guardano invece a soluzioni autoritarie.

A proposito di populismo, in Italia è un fenomeno che si è drasticamente ridimensionato, non le pare?

In Italia abbiamo vissuto anni di grande disordine politico, caratterizzati dal fiorire di nuovi movimenti politici, o dal rinnovamento di partiti vecchi, all’insegna della protesta. Protesta, a mio avviso, soprattutto contro l’accelerazione marcata dei processi storici e i processi d’integrazione del Pianeta, e l’incapacità delle istituzioni pubbliche di tenere queste trasformazioni sotto controllo. Ora, dire che il populismo (ammesso che questo termine sia ancora attuale e sufficientemente esaustivo per descrivere il fenomeno) sia morto, è a mio avviso prematuro. Però mi pare di un certo interesse il fatto che in Italia, e non soltanto in Italia, stia accadendo il contrario di quel che vediamo in Brasile: i movimenti e partiti di protesta stanno entrando nelle istituzioni in maniera pacifica e ordinata.

Una sorta di normalizzazione?

I sistemi politici in parte si sono adattati all’impatto di questi nuovi soggetti e in un certo senso li hanno assorbiti. Di più: quei movimenti sono arrivati al governo. Prima con Lega e Movimento 5 Stelle e ora – per quanto Fratelli d’Italia abbia “ereditato” un elettorato di protesta – con Meloni. E questo a mio avviso è estremamente positivo. Anche se non dobbiamo dimenticare che una parte importante dell’elettorato scontento continua a popolare le fila degli astensionisti. Un monito costante per il futuro.

Come leggere il confronto Von der Leyen – Meloni?

Esattamente nella chiave di cui ho appena detto. Meloni, che almeno in parte rappresenta l’insurrezione populista, si siede al tavolo e negozia soluzioni pragmatiche con la presidente della Commissione europea. È un ottimo segnale, che si muove nel solco tracciato il 25 settembre scorso. La vittoria di Meloni è stata un successo non solo della coalizione di destra-centro, ma della democrazia italiana.

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