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Francia e Germania portano l’Europa nel Tigray

Le ministre Baerbock e Colonna ad Addis Abeba hanno messo in chiaro con Abiy Ahmed le condizioni perché l’Ue torni a lavorare con l’Etiopia, dopo la guerra nel Tigray. Individuando crimini, responsabili e colpe

I ministri degli Esteri di Francia e Germania hanno approfittato di una visita in Etiopia per chiedere di rendere conto dei diffusi abusi commessi durante il conflitto nel Tigray, come condizione per la normalizzazione delle relazioni dell’Unione Europea con il Paese.

Parlando nella capitale Addis Abeba, il ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, ha sottolineato i crimini, tra cui la “sistematica violenza sessuale”, commessi durante i due anni di conflitto in cui si pensa siano morte centinaia di migliaia di persone.

“Come ministro degli Esteri donna, vorrei dire che non è normale che gli stupri facciano parte delle guerre”, ha dichiarato Baerbock. “Il diritto internazionale umanitario è chiaro: i civili e la loro protezione hanno la massima priorità nei conflitti armati, e gli stupri sono crimini di guerra”.

L’Ue ha sospeso il sostegno al bilancio dell’Etiopia poco dopo l’inizio del conflitto nella regione del Tigray nel novembre 2020, citando come motivazione proprio gli abusi commessi dagli etiopici — e da alcuni alleati locali nella lotta contro i tigrini. Un accordo di pace firmato dal governo federale e dalle forze del Tigray a novembre ha fermato gran parte dei combattimenti, mentre i servizi di base e gli aiuti umanitari, di cui c’è estremo bisogno, hanno ripreso a essere lentamente distribuiti nella regione.

L’accordo di pace contiene anche disposizioni per gestire, durante la fase di transizione, la ricerca di giustizia a proposito dei crimini di guerra e di certi abusi. Il ministro degli Esteri francese, Catherine Colonna, ha dichiarato che l’attuazione dell’accordo e il rispetto delle promesse di responsabilità sono la “condizione” per un nuovo impegno dell’Europa.

“Non c’è pace che possa essere duratura senza giustizia”, ha dichiarato dopo aver incontrato il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed all’inizio della giornata. Sostanzialmente Berlino e Parigi hanno portato un messaggio chiaro: un reset dei rapporti è possibile soltanto se verranno individuati crimini, responsabili e colpe. Una linea condivisa ampiamente da Washington.

Entrambi i ministri hanno dichiarato che i loro Paesi sono pronti ad aiutare l’Etiopia, il secondo Paese più popoloso dell’Africa, ad attuare l’accordo. Ma la linea è di carattere ideologico, e non può essere diversamente in questa fase di scontro tra modelli, in cui le democrazie devono difendersi dagli assalti degli autoritarismi. Se l’Africa è un ambiente di confronti paradigmatico, il caso di Abiy Ahmed è formidabile.

Il premier etiope ha ricevuto in passato ampio sostegno dall’Occidente, considerato per lungo tempo un esempio positivo (un riferimento) per come le dinamiche democratiche potessero portare stabilità e sviluppo in Africa, ha ricevuto il Nobel per la Pace dopo la normalizzazione con l’Eritrea. Eppure, sul Tigray ha scatenato la sua furia settaria, rispondendo con violenza agli attacchi delle forze indipendentiste locali. E lo ha fatto ricevendo aiuti militari da Paesi esterni alla sfera delle democrazie. Armi che hanno permesso gli abusi.

Gli investigatori delle Nazioni Unite hanno trovato prove di uccisioni e stupri durante il conflitto nel nord dell’Etiopia, che ha colpito anche le regioni di Afar e Amhara. Le truppe della vicina Eritrea, in particolare, sono accusate di diffuse violenze sessuali mentre combattevano a fianco del governo federale nel Tigray e rimangono nella regione nonostante le richieste di ritiro.

Il ministero della Giustizia etiope ha preparato un documento che definisce un quadro di riferimento per indagare e perseguire i criminali di guerra, anche se in passato il governo ha cercato di bloccare i finanziamenti per la commissione di esperti delle Nazioni Unite che indaga sugli abusi commessi durante il conflitto.

Il ministro degli Esteri Demeke Mekonnen ha dichiarato che l’Etiopia ha chiesto all’Ufficio per i diritti umani delle Nazioni Unite di “sostenere il processo di consultazione sulla politica di giustizia di transizione” e di dispiegare degli osservatori nelle “aree colpite dal conflitto” accanto alla commissione per i diritti umani nominata dallo Stato.

L’Etiopia è il Paese che per lungo tempo ha fatto da egemone nella regione strategica del Corno d’Africa. È una potenza economica e demografica africana che ha un suo valore all’interno degli affari internazionali. L’Europa, così come gli Stati Uniti, stanno cercando di continuare a offrire uno spazio di interlocuzione e recupero per evitare di rompere i rapporti con Addis Abeba, perché il rischio sarebbe di veder finire il Paese verso altri allineamenti. Nel farlo, Washington e Bruxelles non intendono arretrare sulle loro dimensioni valoriali.



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