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La Firenze di Dante e il voto al Csm. Scrive Celotto

Da settimane leggiamo delle modalità di selezione dei candidati e della ripartizione fra i diversi gruppi parlamentari per aree di influenza e delle relative diatribe: a Fratelli d’Italia spettano 4 posti o solo 3? E alla Lega? E così via. Qualcuno ancora si stupisce, ma…

In settimana è prevista la votazione per eleggere i membri “laici” del Consiglio Superiore della Magistratura, cioè dell’organo di amministrazione e di garanzia dei magistrati ordinari.

Come prevede l’art. 104 Cost. i membri sono 27: 16 sono eletti fra i magistrati e gli altri 8 “tra professori ordinari di università in materie giuridiche ed avvocati dopo quindici anni di esercizio”. Professori e avvocati vengono definiti membri “laici” perché non sono magistrati e, quindi, non sono “togati”. A votare è il Parlamento in seduta comune, come avviene per il Presidente della Repubblica e per i giudici della Corte costituzionale, con una maggioranza speciale: dei 3/5 degli aventi diritto al primo scrutinio e dei 3/5 dei votanti dal secondo scrutinio.

Da settimane leggiamo delle modalità di selezione dei candidati e della ripartizione fra i diversi gruppi parlamentari per aree di influenza e delle relative diatribe: a Fratelli d’Italia spettano 4 posti o solo 3? E alla Lega? E così via.
Qualcuno ancora si stupisce, qualche altro richiama il manuale Cencelli, cioè la regola con cui la politica ripartisce i posti fin dai tempi della Democrazia cristiana.

C’è poco da stupirsi, perché anche Massimiliano Cencelli ha inventato ben poco. Il Manuale Cencelli esiste da decenni, anzi da secoli, tanto che ne troviamo traccia precisa nella Firenze di Dante.

Dino Compagni è quel mercante fiorentino di fine ‘200 che è ancora oggi noto per averci lasciato la “Cronica delle cose occorrenti né tempi suoi”, con cui racconta la sua esperienza nel governo della città. Erano gli anni dei grandi conflitti fra Guelfi Bianchi e Guelfi Neri, fra le grandi famiglie dei Cerchi e dei Donati e non si riusciva a governare la città. Dopo varie vicissitudini ai primi di dicembre del 1301, cioè nei mesi dell’esilio di Dante, venne raggiunto un accordo per una “Signoria mista”, cioè divisa fra i Bianchi e Neri. Il problema che il governo della città era a 7, con 6 priori a cui si aggiungeva il Gonfaloniere di giustizia. Come fare a dividere sette posti fra due schieramenti?

Ecco la risposta di Dino: “Fumo d’accordo, e eleggemo sei cittadini comuni, tre de’ Neri e tre de’ Bianchi. Il settimo, che dividere non si potea, eleggemo di sì poco valore, che niuno ne dubitava” (Libro secondo, 12).



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