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Messina Denaro, l’orgoglio e la memoria. Parlano i magistrati

Assieme agli applausi per la cattura del padrino superlatitante anche le commemorazioni per quanti hanno sacrificato la vita nella lotta contro la mafia. Ripercorriamo nel reportage di Gianfranco D’Anna i retroscena delle indagini e le affermazioni dei magistrati protagonisti

Prima e dopo la premier Giorgia Meloni sono numerosi gli automobilisti e i cittadini che sostano in raccoglimento, sull’autostrada fra Capaci e Palermo, dinnanzi alla stele che ricorda il sacrificio di Giovanni Falcone, della moglie e di 3 poliziotti di scorta. Con discrezione e silenzio analoghe scene di raccoglimento si verificano in via Libertà, a Palermo, sul luogo in cui un killer ancora sconosciuto assassinò il presidente della Regione Piersanti Mattarella, e nelle vie D’Amelio, Carini, Evangelista di Blasi, Pipitone Federico e Cavour davanti alle lapidi che ricordano le stragi in cui vennero trucidati il procuratore Paolo Borsellino, il generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e il Consigliere Istruttore Rocco Chinnici, e vennero compiuti gli omicidi del vice questore Boris Giuliano e del procuratore Gaetano Costa.

È un sentimento di liberazione e di affermazione di giustizia quello che esprimono i palermitani. Una spinta ideale e insieme di memoria che quando si è diffusa la notizia della cattura del capomafia Matteo Messina Denaro, come quasi tutti i boss latitante a casa, ha accomunato spontaneamente i ricordi e la riconoscenza dei cittadini per le vittime della mafia. Per gli eroi della resistenza a cosa nostra. Cambierà verso e assumerà la valenza dell’esempio per la battaglia ora vinta, piuttosto che quella della commemorazione, la visione delle ultime due puntate della fiction storica “Il Nostro Generale”, sull’epopea di Carlo Alberto Dalla Chiesa protagonista prima sul fronte del terrorismo e da ultimo su quello della lotta a cosa nostra. Una stagione tragicamente tranciata di netto, dopo soli 100 giorni, dai kalashnikov dei killer mafiosi.

Commozione, prese di coscienza ed euforia per la cattura di Messina Denaro, ma attenzione sottolinea il procuratore della Repubblica di Palermo Maurizio De Lucia: “La mafia non è finita. Non finisce perché si cattura una persona per quanto importante sia. È un successo dello Stato, ma lo Stato deve essere consapevole, che la lotta è ancora lunga e non finisce qui”, afferma De Lucia, che ha coordinato il biltz dei Carabinieri del Ros assieme al procuratore aggiunto Paolo Guido. “Di certo – ha aggiunto il procuratore – la cattura di Messina Denaro significa che lo Stato salda il suo debito verso le vittime della mafia del trentennio scorso, catturando l’ultimo dei grandi latitanti. Ma l’attenzione non può essere abbassata”.

De Lucia di Palermo ha poi ribadito che le indagini che hanno portato alla cattura del padrino latitante non si sono avvalse di pentiti. Alla cattura del boss Matteo Messina Denaro i magistrati palermitani e i carabinieri del Ros sono arrivati con quella che si definisce una indagine tradizionale. “Da oltre due anni – ha spiegato De Lucia – i magistrati della Direzione distrettuale antimafia e il Ros hanno lavorato sulla malattia del superlatitante: ascoltando parenti e fiancheggiatori in decine di indagini era emerso che il padrino di Castelvetrano era gravemente malato di cancro, tanto da aver subito due interventi chirurgici. Uno per un cancro al fegato, l’altro per il morbo di Crohn. Una delle due operazioni peraltro era avvenuta in pieno Covid”. Questo il punto di partenza delle indagini.

I magistrati e i carabinieri hanno scandagliato le informazioni della centrale nazionale del ministero della Salute che conserva i dati sui malati oncologici. Confrontando le informazioni captate con quelle scoperte gli inquirenti sono arrivati a certo un numero di pazienti. L’elenco si è ridotto sulla base dell’età e della provenienza che, sapevano i Pm avrebbe dovuto avere il malato ricercato. Alla fine tra i nomi sospetti c’era quello di Andrea Bonafede, nipote di un fedelissimo del boss, residente a Campobello di Mazara. Dalle indagini però è emerso che il giorno dell’intervento, scoperto grazie alle intercettazioni, Bonafede era da un’altra parte. Quindi il suo nome era stato usato da un altro paziente. Le indagini hanno poi confermato che stamattina Messina Denaro, alias Bonafede, si sarebbe dovuto sottoporre alla chemio. Certi di essere molto vicini al capomafia i carabinieri sono andati in clinica.

Messina Denaro era arrivato con il suo autista favoreggiatore incensurato a bordo di un’auto. Vedendo i militari ha fatto per allontanarsi, ma è stato bloccato, identificato e ammanettato. L’arresto di Matteo Messina Denaro rappresenta “un terremoto per Cosa Nostra”, afferma il procuratore Capo di Roma Francesco Lo Voi, che prima da sostituto negli anni ’90 e poi da procuratore di Palermo aveva coordinato la caccia al boss. “Ci sarà un’esigenza di riorganizzazione, un momento di sbandamento magistratura e investigatori dovranno sfruttare”, spiega il procuratore Lo Voi, che aggiunge: “Questo è un colpo che fa molto male alla mafia perché dà l’ennesimo colpo, forse definitivo, al mito dell’impunità dei grandi latitanti. Questa mattina ho sentito Maurizio De Lucia e Paolo Guido ed eravamo tutti commossi”.

“Una giornata storica”, chiosa l’ex sostituto del pool antimafia di Palermo Alfonso Sabella, soprannominato il cacciatore di latitanti per le catture di Giovanni Brusca, Leoluca Bagarella e Pietro Aglieri e diversi altri boss. “Oggi arrestiamo l’ultimo latitante di una stagione terribile”, prosegue Sabella che sottolinea: “Siamo riusciti ad arrestare questi signori nel rispetto delle leggi e delle regole”.

Un ricordo in particolare accomuna tutti: la frase di Giovanni Falcone: “La mafia non è affatto invincibile, è un fatto umano e come tutti i fatti umani ha un inizio ed avrà anche una fine”. E oggi si è intravista la fine.

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