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Tra comunicazione politica e realtà, il caso del decreto sulle ong

Forse non sarebbe male se le commissioni parlamentari competenti chiedessero riservatamente ai prefetti un parere sulla concreta applicabilità delle norme contenute nel decreto legge sui salvataggi in mare prima di procedere alla conversione. In Italia c’è una lunga tradizione di ottimi rapporti tra forze dell’ordine, associazioni di volontariato e organizzazioni umanitarie. Ora non dobbiamo fare regali ai trafficanti. Il punto di Marco Mayer, docente Lumsa

I contenuti del Decreto Legge che regolamenta le navi delle ONG che operano nel Mediterraneo non corrispondono a quanto è apparso sinora nella comunicazione mediatica.

I giornali hanno scritto che l’azione umanitaria delle ONG sarà fortemente limitata perché le navi potranno compiere una unica operazione di salvataggio in mare e subito dopo dovranno dirigere l’imbarcazione verso il porto assegnato per lo sbarco.

Nel DL le cose in realtà non stanno così perché le nuove disposizioni contenute nel testo dopo i numerosi rimaneggiamenti sono (volutamente?) molto più vaghe e indeterminate di quanto riportato nei titoli dei giornali. Il testo, infatti, prevede per le navi umanitarie l’obbligo di:

..”raggiungere il porto di sbarco indicato dalle autorità senza ritardi, per completare il soccorso; …e fare in modo che le operazioni di soccorso non aggravino le situazioni di pericolo a bordo e non impediscano il raggiungimento del porto di sbarco”

Raggiungere il porto sicuro “senza ritardi” sembrerebbe una raccomandazione ovvia, a meno che (con una innegabile forzatura interpretativa) i “ritardi” non vengano collegati alla norma successiva in cui si afferma che le operazioni di soccorso non impediscano il raggiungimento del porto di sbarco.

Una nave non dovrebbe arrivare nel porto assegnato con – poniamo – tre ore di ritardo, se durante quelle tre ore ha salvato altre vite umane? Sarebbe un’ipotesi assurda. Tutti sanno che le rotte e i tempi della navigazione devono obbligatoriamente essere modificati quando c’è da compiere un salvataggio in mare.

Uno dei commi del Decreto Legge che ho citato afferma inoltre – che “le operazioni di soccorso non devono aggravare i pericoli a bordo”. Cosa significa? Anche qui l’indeterminazione domina sovrana prestando il fianco alle più svariate interpretazioni in sede sanzionatoria. Come fa realisticamente un prefetto a compiere una valutazione comparativa tra “pericoli a bordo” e “pericoli in mare” per decidere una eventuale sanzione?

Supponiamo che alcuni naufraghi raccolti in mare e/o alcuni membri dell’equipaggio abbiano la febbre alta. Può essere questa una giustificazione per negare una nuova richiesta di soccorso a persone che a qualche decina di miglia di distanza rischiano di affogare?

Forse la vaghezza delle disposizioni non è affatto casuale. I contenuti delle norme citate dimostrano che il Decreto utilizza espressioni sibilline prive di rigore giuridico, ma utili per schivare le polemiche dell’opinione pubblica. Non sarà facile per il Viminale e in particolare per i Prefetti (il DL prevede che a loro spetti decidere controlli e sanzioni) applicare le disposizioni previste ed in particolare le misure del regime sanzionatorio.

Un pubblico ufficiale può sanzionare il capitano di una nave perché (mentre si sta dirigendo verso il porto di sbarco) ha cambiato la rotta per salvare altri naufraghi in balia delle onde? È superfluo ricordare che alcune disposizioni del decreto contrastano platealmente con le normative internazionali in vigore in materia di salvataggi in mare e di richieste di asilo.

Perché non c’ è bisogno di scomodare il diritto internazionale? La verità è che basta e avanza il codice penale italiano dal momento che l’omissione di soccorso è reato. Non solo, ma tra gli obblighi del pubblico ufficiale c’è quello di denunciare il reato di cui ha avuto notizia nell’esercizio o a causa delle sue funzioni.

Un Prefetto che assume decisioni che possono (anche in via indiretta come ad esempio nel caso di sanzioni amministrative pregresse) incoraggiare di fatto il reato di omissione di soccorso dovrebbe forse auto denunciarsi? Delle due l’una: o il decreto è una mossa politica senza troppe conseguenze oppure in sede applicativa si rischia un boomerang operativo nelle Prefetture e un contenzioso senza precedenti al Viminale.

Forse non sarebbe male se le commissioni parlamentari competenti chiedessero riservatamente ai prefetti un parere sulla concreta applicabilità delle norme citate prima di procedere alla conversione del decreto. L’auspicio è che il Ministro dell’Interno, il Governo e la maggioranza parlamentare ripresentino un testo normativo giuridicamente rigoroso dopo aver ritirato le formulazioni più fumose del Decreto Legge.

Le formule che ho citato all’ inizio sono ambigue, lontane dalla cultura giuridica moderna che dovrebbe essere propria del legislatore in uno Stato di diritto.

Un’ultima notazione. In Italia c’è una lunga tradizione di ottimi rapporti tra forze dell’ordine, associazioni di volontariato e organizzazioni umanitarie. Ciò ha consentito di sviluppare e irrobustire negli anni le capacità di polizia di prevenzione in tutte le direzioni (in particolare nel contrasto al terrorismo, ai traffici di droga e di essere umani). La “colpevolizzazione” delle ONG e del volontariato nei soccorsi in mare rischia di incrinare anni di collaborazione e di esperienze positive.

Non dobbiamo correre questo rischio; perché fare questo regalo ai trafficanti?

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