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La bussola di Craxi e la crisi del socialismo. Il ricordo della figlia Stefania

La figlia dell’ex segretario del Psi: “L’eredità di Craxi è più che mai viva. È un bagaglio composito, utile per affrontare le sfide del nostro tempo”. In politica estera “sotto il suo governo, l’Italia era una realtà centrale nelle dinamiche internazionali, soprattutto negli scenari mediterranei e mediorientali, la cui voce si levava forte ed era ascoltata e rispettata in ogni consesso”

C’è un garofano rosso, al di là del Mediterraneo, che non sfiorisce mai. Bettino Craxi se ne andava 23 anni fa, all’alba del nuovo Millennio. Volto emblematico di una stagione politica chiusa bruscamente per mano giudiziaria, l’ex leader socialista non smette di essere una figura di estrema attualità. La sua visione, il suo esempio politico, sono tuttora fonte di ispirazione. A confermarlo è la figlia, Stefania, senatrice di Forza Italia, già sottosegretaria agli Affari Esteri.

Senatrice Craxi, ventitre anni fa ci lasciava suo padre Bettino. Il ricordo è ancora vivido nella memoria di tanti. Cosa resta nella politica di oggi della sua impronta?

Incominciamo col dire che resta poco della politica. Il primato, nel corso dell’ultimo quarto di secolo, è stato del potere economico-finanziario. È uno scontro tra forze, democratiche e non, sovraordinato a Tangentopoli, da cui la politica esce sconfitta. Il suo venir meno come strumento principe per regolare i processi delle nostre società, le stesse dinamiche globali, ha portato disordine, conflitti e crescenti disuguaglianze con le storture che vediamo. Craxi, fino all’ultimo, anche con i suoi più noti interventi in Parlamento del ’92 e ‘93, ha sempre difeso il primato della politica, che per quanto imperfetta rappresenta l’unico potere soggetto al controllo popolare.

Il socialismo in Italia e in Europa sta languendo. Come si spiega questa perdita di appeal agli occhi dell’elettorato?

In Italia il socialismo, nella sua forma partito, è finito con il crollo del Psi e di Craxi. La cultura del socialismo riformista è però sopravvissuta nei valori e nelle idee, paradossalmente, in un’area politica diversa da quella della sinistra, la cui matrice catto-comunista ha espulso prim’ancora culturalmente che politicamente il socialismo. Quindi, quale appeal vuole che abbia un posticcio e mal riuscito compromesso storico in versione bonsai, con venature sempre più radicali? In Europa, invece, il discorso è diverso, più complicato.

Ci spieghi.

Le forze che si richiamano al socialismo esprimono culture e posizioni distanti, spesso financo opposte. È vero, l’esperienza socialista nel corso della storia e nelle varie realtà nazionali e stata varia e multiforme. Ma oggi non c’è un afflato, un comune sentire, una visione di futuro che li accomuni. E, badi bene, che questo problema non affligge il solo Pse ma interessa, seppur con accenti diversi, tutte le famiglie politiche europee. Venute meno le ideologie che facevano da collante, la divisione per interessi nazionali ha preso il sopravvento e i partiti europei hanno più il ruolo di spartire gli incarichi in seno al parlamento europeo che non quello di rappresentare posizioni politiche.

Nessuno ha saputo interpretare appieno lo spirito politico di Craxi. La visione che manca alla politica di oggi è figlia di una semplice miopia o manca la formazione?

La politica è prima di tutto cultura, idee, valori e solo dopo queste assumono una forma organizzata. Quindi, più che una formazione direi che la politica del nostro tempo è deficitaria nell’elaborazione, incapace di indicare una rotta e quindi incline a seguire le mode del momento. Ecco, il presentismo è un male del nostro tempo che ha ammorbato la vita civile e democratica, con effetti devastanti sulle istituzioni. Quanto all’eredità di Craxi, questa è più che mai viva. È un bagaglio composito, utile per affrontare le sfide del nostro tempo. Guardiamo al presente: dalla necessità di una “grande riforma” delle istituzioni fino alla sua visione sulle questioni comunitarie, le sue intuizioni rappresentano una bussola che ancora oggi indicano la giusta rotta da seguire.

Lei è stata sottosegretario agli Affari Esteri ed è ora presidente della Commissione Esteri e Difesa del Senato. Di Craxi si ricordano tante scelte determinanti proprio su questo versante. Ci fu un reale beneficio per l’Italia?

Ricordo che sotto il governo Craxi l’Italia era una realtà centrale nelle dinamiche internazionali – entra a far parte ufficialmente tra i grandi della terra – soprattutto negli scenari mediterranei e mediorientali, la cui voce si levava forte ed era ascoltata e rispettata in ogni consesso. Eravamo il Paese che tracciava i destini della costruzione comunitaria – si pensi al Consiglio europeo di Milano – capace di dettare l’agenda e non subirla. Cosa ciò significasse in termini di benefici per il nostro Paese è del tutto evidente: basti ricordare che il nostro Paese in quei bistrattati anni ’80, di cui spesso vi è una lettura stereotipata e mistificatoria, diventa la quinta potenza economica del mondo.

Una delle scene più emblematiche fu quella di Sigonella. Cosa accadde davvero? Sarebbe immaginabile una cosa simile al giorno d’oggi?

Sigonella è la condensazione delle profonde convinzioni politiche di Craxi. È una vicenda complessa, in cui si combinano diverse situazioni. Ricordo, che il suo principale interesse fu quello di mettere in salvo tutti i passeggeri dell’Achille Lauro ed evitare una strage. L’omicidio di Leon Klinghoffer – i cui assassini furono trattenuti e condannati – di cui Craxi seppe solo dopo l’avvenuta liberazione della nave, complicò tutto. Detto ciò, far rispettare la sovranità italiana fu un atto dovuto, compiuto nel pieno rispetto del diritto e delle convenzioni internazionali. Ogni altra scelta sarebbe stata contra legem. A crisi conclusa, lo stesso Reagan e gli stessi ambienti del Dipartimento di Stato lo capirono.

Che valutazione darebbe Craxi al governo Meloni?

Non mi avventuro in questo campo, non posso saperlo con certezza. Posso solo dire che, di certo, una certa retorica dell’antifascismo di maniera che ha accompagnato la nascita di questo esecutivo non l’avrebbe appassionato, come dimostrano anche alcuni gesti forti che fece nella sua parabola politica ed istituzionale per riconoscere la destra italiana, con il fine di dare vita ad una compiuta democrazia.

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