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Il ministro Schillaci torna a parlare di fumo. Perché è una buona notizia

Si torna a parlare di fumo, con la proposta del ministro Schillaci di proibire il consumo di tabacco anche all’aperto. Un tema che è stato dimenticato in questi anni, ma che deve essere affrontato da una prospettiva realistica e scientifica, mettendo l’opzione “proibizionistica” sul tavolo con le varie possibilità di riduzione del danno oggi disponibili. I divieti sono positivi per i non fumatori, ma fanno poco per chi oggi non riesce a smettere. Cosa dicono gli esperti

Stretta sul fumo in vista in Italia. Premessa, pochi giorni fa il ministro della Salute, Orazio Schillaci, ha anticipato una riforma che mira ad “affrontare la prevenzione e il contrasto del tabagismo per conseguire l’obiettivo sfidante del piano europeo contro il cancro 2021 di creare una generazione libera dal tabacco, nella quale meno del 5% della popolazione consumi tabacco entro il 2040”.

Schillaci ha quindi affermato che intende “proporre l’aggiornamento e l’ampliamento dell’articolo 51 della legge 3/2003 per estendere il divieto di fumo in altri luoghi all’aperto in presenza di minori e donne in gravidanza, eliminare la possibilità di attrezzare sale fumatori nei locali chiusi, estendere il divieto anche alle emissioni dei nuovi prodotti non da fumo come sigarette elettroniche e prodotti del tabacco riscaldato ed estendere il divieto di pubblicità ai nuovi prodotti contenenti nicotina e ai device dei prodotti del tabacco riscaldato”.

Formiche ha pubblicato dei pamphlet e approfondimenti in cui esperti e accademici hanno rimarcato l’assenza di un dibattito serio e maturo sul tema del fumo e della riduzione del danno. È un bene che il Ministro torni a portare attenzione sull’argomento, ed è interessante mettere insieme posizioni diverse. Presto la questione sarà anche oggetto di un incontro organizzato dalla nostra testata, nel frattempo è interessante raccogliere le posizioni emerse in questi giorni. La proibizione è la strada giusta? In caso, quali passi vanno presi?

“I divieti vanno benissimo, se servono a de-normalizzare il fumo, ma sono solo il prossimo passo per una politica di contenimento del danno e non possono essere l’unico. Perché in Italia abbiamo 12 milioni di persone che fumano di cui il 20% sono heavy smoker, ovvero abbiamo quasi 3 milioni di persone che fumano 20 o più sigarette al giorno e non riescono a smettere”, ha spiegato all’Ansa Fabio Beatrice, direttore del Mediterranean Observatory of Harm Reduction e fondatore del Centro antifumo dell’Ospedale San Giovanni Bosco di Torino.

Il fumo di sigaretta, precisa, “è una dipendenza da trattare come una malattia, non è un vizio. Ben vengano quindi i divieti anche all’aperto, ma se si introducono deve esser chiaro come farli rispettare con controlli e sanzioni. L’altro punto che è necessario considerare è cosa fare dei forti fumatori che non vanno ai centri antifumo e non riescono a smettere”. Da questo punto di vista, sanzioni e proibizioni producono disuguaglianze sociali, in cui i poveri pagano di più. Una revisione di letteratura “che abbiamo pubblicato di recente sul Journal of Community Medicine Public Health Care, ha confermato come le politiche basate sui divieti portano benefici ai non fumatori (da qui il nostro plauso) ma sui fumatori non funzionano, anzi aumentano morbilità e costi a carico dei tabagisti. Che, in quanto affetti da una dipendenza, come dichiarato dall’UE, vanno aiutati con strumenti diversificati”. Ben vengano quindi i divieti per contrastare il fumo, conclude, “ma se sono accompagnati da una strategia che aiuti chi non riesce a smettere e che punti su prodotti per la riduzione del rischio, come le e-cig”.

Non è finita. C’è chi suggerisce un aggiornamento di leggi ormai fuori tempo massimo. “La legge Sirchia sul fumo è stata rivoluzionaria ma ora ha esaurito il suo effetto. Ed è ormai obsoleta e va completamente aggiornata alla luce delle evidenze scientifiche, creando una ‘corsia preferenziale’ per i prodotti che consentono una riduzione del danno rispetto alle sigarette tradizionali”, ha spiegato sempre all’Ansa, Riccardo Polosa, professore ordinario di medicina interna all’Università di Catania, fondatore Lega Italiana Anti Fumo Liaf e del Centro di Ricerca Internazionale sulla Riduzione del Danno (Coehar).

“Quaranta anni di letteratura hanno evidenziato che il fumo combusto contiene 8 mila sostanze chimiche e cancerogene correlate a malattie come il tumore al polmone. La tossicità di prodotti a rischio ridotto è intorno al 95% inferiore rispetto a quelli tradizionali. Ed è dimostrato il danno da fumo passivo derivato da sigaretta ma non esiste un solo studio che dimostri un reale rischio per lo svapo passivo”. Quindi, aggiunge Polosa “aumentare il prezzo delle sigarette tradizionali può essere un’opzione. Ma in generale serve una tassazione a doppia velocità, per aiutare le persone ad abbandonare sigarette tradizionali in favore di alternative a rischio ridotto”.  Ovvero “una regolamentazione a due velocità: una molto pesante nei confronti del tabacco a combustione e una più leggera per prodotti combustion free“.



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