La retorica di diversi commentatori accreditano l’idea che sia in corso un confronto secondo lo schema bipolare ormai caratteristico dei giorni nostri: popolo contro élite. Stefano Bonaccini sarebbe espressione delle élite, Elly Schlein sarebbe l’espressione del popolo. In realtà, è vero il contrario…
Nulla è come sembra, nella vita. Ma soprattutto nel Pd. L’immagine pubblica dei due principali candidati alla segreteria e la retorica di diversi commentatori accreditano l’idea che sia in corso un confronto secondo lo schema bipolare ormai caratteristico dei giorni nostri: popolo contro élite. Stefano Bonaccini sarebbe espressione delle élite, Elly Schlein sarebbe l’espressione del popolo. In realtà, è vero il contrario.
Elly Schlein è figlia di un importante politologo americano e di una docente di diritto pubblico comparato; suo nonno materno, Agostino Viviani, è stato senatore socialista. Stefano Bonaccini è figlio di un camionista e di un’operaia; i nonni materni non li ha conosciuti, sua madre è rimasta orfana a sei anni. Elly Schlein è cresciuta a Lugano, ha la cittadinanza svizzera, quella statunitense, quella italiana e una laurea. Stefano Bonaccini è cresciuto a Campogalliano in provincia di Modena, non ha avuto la fortuna d’essere cittadino del mondo e la laurea non ha potuto permettersela.
Eppure, Elly Schlein è quella del popolo e Stefano Bonaccini è quello delle élite. Così la raccontano i supporter della Schlein. Lo lascia intendere l’ex segretario Dario Franceschini, che dall’alto delle sue sette legislature invoca “tempi nuovi” per il partito. Lo lascia intendere l’ex segretario Nicola Zingaretti, che pur avendo rappresentato il partito in cariche monocratiche e politiche apicali ora sostiene che “Elly è l’ultima possibilità di salvare il Partito democratico dagli errori di questa classe dirigente”. Lo lascia intendere Goffredo Bettini, king maker di segretari e sindaci dem, improvvisamente folgorato dalla Schlein perché, dice, “occorre avere un punto critico sull’oggi”. Sull’oggi e non sul ieri, pare raccomandarsi.
L’elenco dei convertiti al populismo shleiano sarebbe lungo, li unisce una spiccata inclinazione alla doppiezza e alla mistificazione.
Perché nulla è come sembra, nella vita. Ma nel Pd ancor di più.