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Il terremoto aggiunge tragedia alla precarietà di Turchia e Siria

Crollo della lira, borse in ansia, scompiglio elettorale e dossier energetico legato a Ucraina e Nato: anche prima del disastro sismico c’erano tanto lavoro sulla scrivania di Erdogan, giunto ad un punto cruciale. Questa campagna elettorale, che ha aperto aumentando stipendi e pensioni, sarà la più dura di sempre e senza esclusione di colpi visto che alcuni competitor sono fuori gioco

Il terribile terremoto che ha colpito Turchia e Siria, e che purtroppo sta vedendo il numero delle vittime aumentare vertiginosamente, si inserisce in un momento assolutamente peculiare per i due Paesi, alle prese non solo con sommovimenti politici legati alle urne (per Ankara) e alla contingenza geopolitica (inflazione, energia, guerra in Ucraina), ma anche con i possibili sviluppi di una crisi (per Damasco) che dura da quasi 12 anni.

Borsa ko

La lira turca, già fortemente sotto pressione nell’ultimo anno, ha toccato minimi storici dopo le prime notizie del sisma (con la sospensione dalle negoziazioni) e dopo che pochi giorni fa era stato registrato un aumento mensile dell’inflazione al consumo. Un elemento che impatta su un quadro già grave, dettato dal nervosismo elettorale e dai riverberi legati alla geopolitica: in questo modo si aumenta esponenzialmente il peso specifico legato all’incertezza in vista delle elezioni cruciali che si terranno il 14 maggio, dove per la prima volta il presidente Recep Tayyip Erdogan arriva con un calo vistoso di popolarità.

Le elezioni parlamentari e presidenziali si terranno lo stesso giorno e i sondaggi rivelano che non c’è al momento la consueta schiacciante previsione di vittoria. Le opposizioni annunceranno il proprio candidato tra una settimana: molto probabilmente sarà Kemal Kilicdaroglu, leader del principale partito di opposizione della Turchia, il Partito popolare repubblicano (CHP), ma ha delle possibilità anche il popolarissimo sindaco di Istanbul Ekrem Imamoglu, che un mese fa è stato escluso dall’attività politica da un tribunale (che lo ha condannato a quasi tre anni di carcere).

In carcere dal 2016 si trova Selahattin Demirtas, uno dei leader del Partito democratico popolare (HDP), filo-curdo, che ha visto il suo finanziamento statale terminare per decisione della corte turca per via di legami con militanti curdi.

Lira turca

Inoltre va segnalato che numerosi investitori internazionali hanno scelto di fare un passo indietro dal Paese, sia a causa della crisi della lira turca sia per l’adozione da parte di Ankara di politiche economiche e monetarie non ortodosse. Il riferimento è alle scelte della banca centrale, come il taglio dei tassi di interesse, figlie di desiderata del governo anche grazie ad un board dell’istituto molto vicino allo stesso presidente.

Nel 2021 la banca centrale ha speso circa 108 miliardi di dollari per compensare l’impatto di una politica monetaria più accomodante. Con l’avvicinarsi delle urne, quindi, gli investitori temono che torni una certa volatilità e la lira si indebolisca ulteriormente. Tutto lascia pensare che i problemi strutturali irrisolti possano portare ad un deterioramento dei fondamentali della Turchia. Anche per questa ragione i partiti di opposizione hanno dichiarato che, in caso di vittoria elettorale, assicurerebbero una banca centrale “indipendente” che come prima azione proverebbe a ridurre l’inflazione.

Geopolitica

È di tutta evidenza che la tornata elettorale turca porta in grembo un peso specifico altissimo, sia per gli intrecci con le politiche legate alla Nato e alla guerra in Ucraina, sia per gli equilibri futuri in una macro area delicatissima. In quest’ottica vanno letti i nuovi attacchi di Erdogan all’alleanza occidentale e all’Ue, come dimostrano le ultime parole del presidente turco secondo cui le missioni diplomatiche occidentali “pagheranno” per gli avvertimenti emessi e la chiusura temporanea dei loro consolati a Istanbul la scorsa settimana. Lo scorso giovedì il governo turco aveva convocato gli ambasciatori di nove Paesi per esprimere il proprio disappunto per la temporanea chiusura dei consolati. L’episodio si somma alla minaccia di guerra contro la Grecia, un alleato della Nato, al blocco dell’adesione alla Nato di due paesi Ue precedentemente neutrali come Finlandia e Svezia.

Il livello di tensione è completato dal dossier F16, con Ankara che li ha nuovamente richiesti a Washington, lì dove persistono forti dubbi (come quelli del senatore repubblicano Bob Menendez, presidente della Commissione esteri del Senato).

Anche per questa ragione la visita del segretario di Stato Americano Anthony Blinken in Turchia prevista per la fine di febbraio non è stata ancora confermata: Blinken sarà a Monaco di Baviera il 19 febbraio e il giorno dopo ad Atene.

@FDepalo



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