Fine del sistema di cambi fissi, repentino aumento del prezzo del petrolio innescato dalla guerra del Kippur e diplomazia tripolare. I fattori geopolitici alla base delle spinte inflattive degli anni Settanta spiegati dall’ambasciatore Maurizio Melani
Gli articoli di Alessandro Minuto Rizzo, Gloria Bartoli, Adriano Giannola, Emilio Rossi all’interno di una rubrica del Gruppo dei 20 per un programma di legislatura su Equità e Sviluppo. Qui la presentazione del volume curato da Luigi Paganetto
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Diversi furono i fattori delle spinte inflazionistiche e recessive dell’inizio degli anni 70. Qui si trattano soprattutto quelli afferenti ai contesti geopolitici e agli aspetti energetici.
Il primo è stato la fine del sistema di cambi fissi con effetti inflattivi e limitativi della crescita del commercio internazionale dovuta al deficit strutturale della bilancia dei pagamenti americana, conseguenza della natura assunta dalla valuta statunitense con gli accordi di Bretton Woods implicante una elevatissima quantità di dollari convertibili a livello globale, nonché agli effetti su spesa e conti con l’estero della guerra nel Vietnam e della Great Society varata dal Presidente Johnson per una riequilibrio sociale di cui il paese aveva bisogno.
Il secondo fattore è stato nel 1973 il repentino aumento del prezzo del petrolio innescato dalla guerra del Kippur ma in realtà dovuto ad un non più sostenibile squilibrio tra domanda e offerta di greggio. Nei due precedenti decenni di grande crescita economica e trasformazioni sociali nei paesi occidentali, l’aumento della domanda di energia era stato soddisfatto da una offerta di petrolio a costi sostanzialmente costanti. Ma per adeguare l’offerta alla crescente domanda occorrevano nuovi rilevanti investimenti per esplorazioni ed estrazioni da riserve di più difficile accesso. L’aumento di prezzi e proventi per società petrolifere e paesi produttori li ha consentiti, ma assieme ad altri fattori ha determinato inflazione e freno alla crescita nei paesi consumatori.
La conseguente riduzione della domanda, unita all’aumento dell’offerta dovuto ai nuovi investimenti, ha prodotto nel tempo una stabilizzazione dei prezzi sia pure con rialzi dopo la rivoluzione iraniana nel 1979 e l’inizio della guerra tra Iraq e Iran. Su questa stabilizzazione ha inciso anche lo sviluppo del nucleare soprattutto in Francia, in Giappone e in misura minore in altri paesi.
Per impedire che prezzi troppo alti favorissero ingressi di nuovi produttori e di energie alternative l’Arabia Saudita, allora come ora principale estrattore ed esportatore di greggio, ha spinto per aumenti della produzione essendo in grado di farlo con costi comparativamente bassi.
Contemporaneamente si sviluppava nell’assetto geopolitico globale una diplomazia tripolare da parte di Stati Uniti, Unione Sovietica e Cina. Di fronte all’acuirsi del contrasto sino-sovietico e volendo prepararsi ad uscire dal Vietnam gli americani hanno rassicurato Pechino con la visita di Nixon in Cina nel febbraio del 1972 in un’ottica di contenimento dell’URSS. Quest’ultima, di fronte a tale dinamica, ha a sua volta voluto stabilizzare gli equilibri in Europa e nella deterrenza strategica convergendo in questo campo con Stati Uniti e loro alleati europei.
Si ebbero quindi l’avvio della Conferenza per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e di quella per la riduzione bilanciata delle forze convenzionali, nonché le intese per la limitazione delle armi strategiche e sui missili antimissili sottoscritte a Mosca da Nixon e Breznev nel maggio dello stesso anno assieme alla Dichiarazione sui principi fondamentali delle relazioni sovietico-americane. L’interpretazione sovietica di tale dichiarazione non impediva tuttavia all’Urss di intervenire nei rimanenti processi di decolonizzazione e in conflitti e insurrezioni in Africa, nel Medio Oriente, in Asia e in America Latina per contrastarvi le influenze occidentali e cinesi con una enorme sovraesposizione militare, politica ed economica che con altri fattori avrebbe poi contribuito al suo collasso.
In questo composito ambito si sono sviluppate una interdipendenza energetica tra Europa e Urss e una convergenza di Mosca con paesi produttori non legati politicamente ma anzi a volte ostili all’Occidente come la Libia, l’Algeria, l’Iraq e l’Iran dopo la rivoluzione del 1979 sostenendo diversamente dall’Arabia Saudita prezzi elevati degli idrocarburi.
L’insieme di questi fattori ha complessivamente comportato il già menzionato riequilibro tra domanda e offerta di energia con effetti calmieranti dei prezzi e dell’inflazione.
Un nuovo forte aumento della domanda di idrocarburi è venuto dalla crescita economica della Cina e di altri paesi emergenti derivante da trasferimenti di produzioni e tecnologie e dallo stabilimento di complesse catene del valore. Ciò non ha peraltro prodotto, negli anni 90 e nel decennio successivo, significativi aumenti dei prezzi diversi da quelli dell’energia anche per gli effetti dell’intensificazione dei commerci lungo quelle stesse catene del valore che ottimizzavano la produttività e riducevano i costi. Un ulteriore fattore mitigante è stata l’irruzione degli idrocarburi da scisti prodotti negli Usa.
La crisi attuale, con una inflazione nuovamente a due cifre, è stata preceduta dalla concatenazione a cavallo dei due primi decenni del secolo dell’eccesso di debito privato americano, con ripercussioni in Europa dovute alle interdipendenze finanziarie transatlantiche, e poi di debito sovrano in alcuni paesi dell’Ue.
La risposta americana è stata espansiva sui piani fiscale e monetario. Quella europea è stata invece fiscalmente restrittiva ma con una azione monetaria mitigante della Bce. L’effetto complessivo, senza alterazioni delle catene del valore globalizzate malgrado il fallimento dei tentativi di regolamentazione macro-regionale come il Ttip transatlantico e il Tpi nell’Indo-Pacifico, è stato un contenimento dell’inflazione rimasta sotto il tetto del due per cento posto dalla Bce.
Si manifestavano intanto l’esigenza di contrastare i cambiamenti climatici di fronte all’accelerazione del fenomeno e quindi una tendenza a ridurre gli investimenti per la produzione e il trasporto di idrocarburi.
A questo è seguito il cigno nero della pandemia sulla cui origine e sviluppo hanno inciso modifiche nella biodiversità dovute agli stessi cambiamenti climatici. Ne sono derivate contrazioni nei consumi e in attività produttive e quindi della domanda globale con conseguenti effetti deflattivi.
La combinazione di una ripresa della domanda di energia seguita all’uscita dalla pandemia e delle difficoltà dell’offerta a reagire prontamente a causa della citata riduzione degli investimenti, assieme ai disturbi nel commercio internazionale e nelle catene del valore, ha prodotto un aumento dei prezzi ed una nuova spinta inflazionistica con ostacoli inferiori a quelli che l’avevano in precedenza frenata. La guerra in Ucraina ha ulteriormente alimentato il processo incidendo anche sui prezzi dei cereali, dell’acciaio e di altri beni primari e intermedi.
La reazione è stata una diversificazione delle fonti di idrocarburi anche con nuovi investimenti per la loro produzione e il loro trasporto e investimenti in rinnovabili e per la produzione di idrogeno verde nei paesi consumatori e in Nord Africa, in quest’area nella prospettiva di esportazione verso l’Europa oltre che per soddisfare domanda locale. Anche i paesi del Golfo si preparano ora alla transizione investendo massicciamente sulle rinnovabili.
Pur essendo notevolmente diminuiti i costi di queste ultime negli ultimi anni, la transizione necessita di un rilevante sostegno finanziario pubblico per affrontare i problemi di discontinuità il cui superamento richiede un forte impegno nella ricerca di nuove tecnologie capaci di ridurre le dipendenze da materie prime necessarie ai processi di accumulo provenienti in gran parte dalla Cina e da altre aree politicamente critiche. In questa direzione vanno il Recovery fund dell’Ue e i fondi, nazionali o europei, per dare all’Unione una adeguata competitività rispetto agli altri maggiori attori globali che sostengono con spesa pubblica le proprie imprese.
Importante sarà in questo contesto una riorganizzazione regolata del commercio internazionale che su basi più eque e più aderenti a principi di reciprocità rilanci catene del valore che salvaguardando esigenze di sicurezza di ciascun paese ottimizzino produttività e riduzioni dei costi. Ma ciò richiederà un dialogo cooperativo soprattutto tra Ue, Stati Uniti e Cina, del quale non sfuggono in questo momento le grandi difficoltà, operando nel perseguimento degli obbiettivi dell’Agenda 2030 sullo sviluppo sostenibile e di quanto definito dalle Conferenze sui cambiamenti climatici.
Dal complesso di questi fattori, che dovranno comprendere interventi finanziari e fiscali e riforme nei sistemi normativi, istituzionali e di funzionamento dei mercati, potranno derivare se opportunamente gestiti le condizioni per un sistema di prevenzione e di superamento strutturale delle ricorrenti spinte inflattive e recessive.