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Macron è il miglior alleato della Meloni. E viceversa

Lei è espressione di tutto ciò che quelli come lui in fondo disprezzano, lui è il rappresentante perfetto di tutto ciò che quelli come lei vogliono tenere alla larga sempre e comunque. Sono fatti per non capirsi, né ora né mai. Quindi si sostengono a vicenda non accorciando mai la distanza, non perdonandosi mai un gesto, una parola, un invito. Alleati perfetti

Sul finire della vivace settimana a Bruxelles ed in attesa della vittoria di Marco Mengoni a Sanremo (con annesso messaggio di Zelensky) vale la pena spendere qualche parola sui rapporti politici e diplomatici tra Italia e Francia, o meglio tra Meloni e Macron.

Già perché le cose stanno esattamente al contrario di come appare, nella miglior tradizione di vicende politiche complesse.
La realtà è di una semplicità disarmante: Macron è il miglior alleato della Meloni, così come la premier italiana lo è del presidente francese.
Tutto il resto sono amenità e chiacchiere da bar sport, sia detto con massimo rispetto.
Vediamo di spiegarci meglio, cominciando dal lato italiano.
Meloni vince le elezioni come nessuno ha saputo fare a casa nostra dopo Berlusconi nel 2008, portando a casa un successo netto per la coalizione e un trionfo per il suo partito. Siccome però governare è tutta un’altra cosa da fare campagna elettorale, già in pochi mesi a Palazzo Chigi ne vede le complessità, le trappole e le insidie, a cominciare da quelle, difficilissime da maneggiare, insite nelle relazioni internazionali.
Anche perché Meloni è punta di diamante di uno schieramento conservatore che mira a scardinare il duopolio PPE-PSE a livello UE, dove l’appuntamento decisivo è quello del voto per il Parlamento Europeo del 2024. Ma non è finita qui, perché la leader di Fratelli d’Italia è anche la figura di governo più prestigiosa di un vasto schieramento politico (e culturale) che contrasta le élite prevalenti in Europa, fondate sulla saldatura tra mondo liberal e sinistra, con spruzzate di mondo cattolico dove necessario (Germania ad esempio). Rispetto a tutto ciò c’è un nemico perfetto e si chiama Emmanuel Macron.
Spostiamoci ora sul lato francese. C’è un presidente giovane (Macron è del 1977, esattamente come la Meloni) figlio purissimo dell’establishment parigino, capace di respingere con vigore l’assalto della destra francese per ben due volte (relegando la Le Pen al ruolo di eterna sconfitta) e capace di spingere verso nuova vita un pianeta “liberal” in forte crisi d’identità. Impegnato su dure battaglie di riforma dentro i confini nazionali, Macron ha bisogno come il pane di alimentare una centralità francese sulla scena internazionale, perché questa è la migliore arma a sua disposizione per restare emotivamente alla guida della nazione, ridimensionando i rischi politici delle proteste in corso su temi come le pensioni.
Il combinato disposto delle mosse, degli obiettivi e degli strumenti disponibili rende quindi Meloni e Macron utilissimi l’una all’altro ad un’unica condizione: non andare mai d’accordo fino in fondo. Lei è espressione di tutto ciò che quelli come lui in fondo disprezzano, lui è il rappresentante perfetto di tutto ciò che quelli come lei vogliono tenere alla larga sempre e comunque.
Sono fatti per non capirsi, né ora né mai.
Quindi si sostengono a vicenda non accorciando mai la distanza, non perdonandosi mai un gesto, una parola, un invito.
Macron aiuta Meloni ad essere se stessa ogni qual volta lei si dice in disaccordo con lui e, ovviamente, vale anche il contrario.
Alleati perfetti, più che nemici.


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