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In una società aperta

La pluralità delle concezioni etiche e delle visioni filosofiche e religiose del mondo è una realtà irriducibile e ostinata. Una realtà da sempre all’origine, nella storia umana, di conflitti e anche di tragedie; all’origine, pertanto, del problema eminentemente politico di come stabilire regole di convivenza, le regole dell’ordine sociale.
Logica e scienza non ci possono essere d’aiuto nel dirimere la questione di quale etica sia razionalmente fondata e di quale visione del mondo religiosa sia razionalmente vera.
La tradizione giusnaturalistica è un tessuto di generosi e nobili tentativi di limitare il potere del “principe” anche in tempi di pace e di individuare norme valide per tutti i contendenti soprattutto in tempi agitati, cercando di venire a capo di un ordine legale razionale fondato su princìpi emergenti dalla natura umana. Senonché, a parte il fatto che nulla vi è di più culturale dell’idea di natura e quindi di natura umana, anche se fossimo entrati in possesso di un’idea razionalmente costrittiva di natura umana, da ciò non deriverebbe nessun valore, nessun sistema etico.
 
Dunque: la logica e la scienza non ci aiutano nelle scelte umanamente e storicamente più importanti. E se logica e scienza non ci aiutano, allora, per capirci e capire gli altri, per capire chi siamo e riflettere sull’ordine sociale che ci siamo dati, dobbiamo rifarci alla storia. Nel nostro caso alla nostra storia, alla storia della nostra Europa. E qui vediamo che le regole istituzionali tipiche dell’Europa e più ampiamente dell’occidente sono le regole della “società aperta”.
La società aperta è aperta al maggior numero possibile di idee ed ideali diversi e magari contrastanti, ed è chiusa solo ai violenti e agli intolleranti. E se più d’una sono le ragioni storicamente via via addotte contro l’idea di società chiusa e a supporto della società aperta, nevralgiche risultano la consapevolezza della fallibilità della conoscenza umana, la consapevolezza che dai fatti non sono derivabili valori, la consapevolezza che le “verità” delle fedi scelte e abbracciate possono venir proposte e non imposte.
 
Viviamo in una società laica quando a nessuno e a nessun gruppo portatore di una specifica tradizione è proibito di dire la sua, ma dove nessuno e nessuna tradizione è esente dalla critica nel pubblico dibattito. Laico è chi è critico; non dogmatico; disposto ad ascoltare gli altri – soprattutto quanti pensano diversamente da lui – e al medesimo tempo deciso a farsi ascoltare.
Laico è chi è rispettoso delle altrui tradizioni e, in primo luogo, della propria; è colui che è consapevole della propria ed altrui fallibilità e che è disposto a correggersi.
Il laico non è un idolatra, non divinizza eventi storici e istituzioni a cominciare dallo Stato; non reifica, non fa diventare cose (res), cioè realtà sostanziali, i concetti collettivi (popolo, classe, nazione, sindacato, partito, ecc.) che così si trasformerebbero in entità liberticide. Il laico rispetta la voce del popolo ma non la mitizza, perché sa che il popolo, al pari di ogni singolo individuo, può sbagliare: la piazza ha scelto Barabba, ha osannato assassini e dittatori, è andata in delirio per Mussolini, Hitler e Stalin.
 
Il laico sa che nello Stato di diritto sovrana è la legge e non il popolo – la legge che pone garanzie di libertà dei cittadini e che protegge le minoranze nei confronti di maggioranze, tentate di governare tirannicamente.
Il laico sa che la democrazia è “l’alta arte” del compromesso, ma è colui che anche sa che non sempre il compromesso è possibile giacché esistono valori o ideali inconciliabili (come è il caso della inviolabilità o meno dell’embrione o della praticabilità o meno dell’aborto): in questi casi il laico si affida alla tecnica del referendum o allo “scudo personale” dell’obiezione di coscienza, nella più lucida consapevolezza che la società aperta non sarà mai una società perfetta.
 
È laico chi concepisce le istituzioni in funzione della persona e non viceversa; il laico combatte fin che può con le “parole” invece che con le “spade”, ma sa opporsi con la spada a quanti usano la spada per opprimere gli altri: «Abbiamo non soltanto il diritto, ma il dovere di rifiutare di essere tolleranti verso coloro che cospirano per distruggere la tolleranza» (K.R. Popper). Ed è per questo che ha ragione Giovanni Sartori nei suoi attacchi contro il “multiculturalismo ideologico”.
Laico è, dunque, il cittadino della società aperta. Fuor d’ogni dubbio, anche le regole e le istituzioni della società aperta sono frutto di una specifica tradizione, esito di consapevolezze teoriche e di precise scelte etiche – tese a scardinare le “ragioni” di conflitti e catastrofi che hanno inzuppato, e inzuppano, la terra di sangue innocente. Ma si tratta – diversamente che in altri ordini sociali tribali e dittatoriali – di consapevolezze e scelte etiche che permettono la pacifica convivenza del maggior numero possibile di individui con idee diverse e di tradizioni differenti.
Per dirla con Luigi Einaudi, nella società aperta «l’impero della legge è condizione per l’anarchia degli spiriti».
 
Estratto dall´intervento a Biennale democrazia, per gentile concessione degli organizzatori


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