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15 anni di Kosovo indipendente. Il bilancio dell’amb. Sessa

“I serbi non hanno ancora dimenticato i bombardamenti del 1999. Per cui bene i piani degli americani ma è importante un coinvolgimento più attivo degli europei. L’iniziativa italiana? Un seme sul quale lavorare perché potrebbe portare dei risultati interessanti”. Il punto dell’ambasciatore Riccardo Sessa

Cade il 17 febbraio il 15mo anniversario dell’indipendenza del Kosovo, occasione per riflettere non solo su ciò che di buono è stato fatto in tema di istituzioni e politiche di allargamento Ue, ma anche su quello che politicamente è mancato, e che produce le tensioni ancora esistenti con la Serbia. Un punto sui ritardi dell’azione Ue, sulle intromissioni dei players esterni che soffiano sui nazionalismi e sulle future azioni da intraprendere, anche con supporto italiano.

Tensioni

Belgrado non ha riconosciuto lo status della sua ex provincia, come anche Russia, Cina, Spagna, Slovacchia, Cipro, Romania e Grecia. Mosca tra l’altro ha anche posto il veto all’adesione del Kosovo alle Nazioni Unite. Ma nel frattempo l’elemento della guerra in Ucraina si somma ad una situazione che fatica a trovare una composizione in una macro regione storicamente turbolenta.

I tentativi di stabilizzazione non mancano: Derek Chollet, consigliere del Dipartimento di Stato degli Stati Uniti, e Gabriel Escobar, inviato speciale degli Stati Uniti per i Balcani occidentali, hanno affermato che “è giunto il momento di istituire l’Associazione dei comuni serbi”, come primo passo nella direzione di una potenziale normalizzazione delle relazioni.

La risposta dei nazionalisti serbi filo-russi è stata di una sostanziale chiusura: lo scorso mercoledì sono scesi in piazza a Belgrado chiedendo al presidente Aleksandar Vučić di respingere il piano occidentale e di ritirarsi dai negoziati. Inoltre il rischio, secondo Bruxelles, è che Mosca possa utilizzare le tensioni con il Kosovo per destabilizzare i Balcani e distogliere l’attenzione dalla sua invasione dell’Ucraina.

Bilancio

“Vedo dei movimenti da parte serba che potrebbero simulare una cauta presa di distanza dalla Russia con riferimento all’Ucraina. Quello sarebbe un passo importante nella marcia di avvicinamento reale della Serbia alla comunione di Stati europei”, dice a Formiche.net l’ambasciatore Riccardo Sessa, attualmente vice presidente reggente (dopo la scomparsa di Franco Frattini) della Società italiana per l’organizzazione internazionale ed editorialista del Messaggero, già ambasciatore d’Italia a Belgrado, Teheran, Pechino e alla Nato, presidente dell’associazione Italia-Serbia, l’uomo tra l’altro al quale Milosevic nel maggio 1999 consegnò il leader kosovaro Rugova.

“I serbi – nota ancora l’ambasciatore – non hanno ancora ben metabolizzato i bombardamenti Nato del 1999. Per cui, benissimo i piani degli americani, ma è importante un coinvolgimento più attivo degli europei. Devo dire che le ultime iniziative italiane, ovvero le attenzioni con le quali la premier Meloni e il ministro Tajani guarda all’area dei Balcani in generale, e alla Serbia in particolare, sono un seme sul quale lavorare, perché potrebbero portare a dei risultati interessanti”.

Quale il bilancio che si può fare di questi 15 anni di Kosovo indipendente? “15 anni significano una matura adolescenza per il Kosovo – osserva – ma non siamo ancora allo sdoganamento completo all’interno della comunità internazionale, perché se è vero che sono tanti i Paesi che hanno riconosciuto la Repubblica kosovara, non ci sono ancora i numeri sufficienti ad un riconoscimento pieno e senza condizioni”.

Iniziativa Usa e Ue

Dalla risoluzione 1244 del 1999, ai tempi dei bombardamenti aerei della Nato, sottolinea, il dialogo tra Serbia e Kosovo non ha in realtà fatto purtroppo grandi passi in avanti. “Ho la sensazione che ancora non siamo vicini a sbloccare i rapporti tra di loro”. E spiega che nei Balcani bisogna avere una grande pazienza, ricordando una famosa frase di Churchill: ‘I Balcani producono molta più storia di quanta siano in grado di consumarne”.

“Sicuramente il piano presentato dall’inviato speciale americano, che prevede anche la creazione dell’Unione delle municipalità serbe è un passo importante per creare le condizioni migliori affinché si possa arrivare ad un’intesa. Ma non è facile pervenire a quell’intesa, perché sin dalla fine dei bombardamenti si capì che il problema sarebbe stata la gestione di quella comunità serba che da quel momento in Kosovo diventava una minoranza”.

Secondo l’ambasciatore Sessa gli Stati europei con maggiori tradizioni di impegno nei Balcani, e sicuramente anche gli americani, avrebbero dovuto adoperarsi in tutti i modi e con la dichiarazione di indipendenza sarebbe spettato ai kosovari fare una prima mossa concreta nei confronti della comunità serba, in un contesto storico-politico-religioso dove per i serbi è complesso ipotizzare di avere rapporti normali con un Kosovo indipendente. “La proposta di creare l’Unione delle municipalità serbe sta incontrando già delle opposizioni e delle perplessità a livello kosovaro, ma anche a Belgrado, a dimostrazione che occorre ancora lavorare per una soluzione che possa essere condivisa. Il che significa che è quantomai necessario che si riprenda a lavorare in un certo modo”.

Quale? “Un tempo c’era nei Balcani un gruppo di contatto composto da Stati Uniti, Francia, Germania, Regno Unito, Russia e Italia. La Russia oggi non possiamo immaginare di coinvolgerla con gli altri, in quanto è una parte del problema. Gli altri si devono nuovamente rimettersi in moto per ripercorrere quelle formule e quei metodi di lavoro che potrebbero rivelarsi estremamente utili per trovare una soluzione a una difficoltà e complessità di rapporti che hanno le loro origini nella storia più profonda della Serbia”.

Il ruolo italiano

“L’Italia nei Balcani non ha bisogno di mostrare credenziali e, più recentemente, ha dimostrato di esserci e di voler ritornare a svolgere un ruolo che può rivelarsi anche molto utile nella vicenda serbo-kosovara. Noi siamo sempre stati interlocutori privilegiati di tutti i Paesi di quell’area e in particolare per la Serbia e il Kosovo”.

Ma cosa il governo italiano potrebbe fare di più in questa fase? “Ho sentito parlare di modelli che potrebbe essere utile proporre ai serbi e ai kosovari, in particolare dell’autonomia del Sud Tirolo.

Vorrei ricordare che l’Italia l’ha già proposto a Belgrado alla fine degli anni ’90, prima dei bombardamenti della Nato, fornendo anche tutta la documentazione possibile affinché potesse essere studiato quel modello, cercando di applicare quelle componenti che contribuirono alla soluzione del Sud Tirolo. Glielo vogliamo riproporre? Perché no. Ma bisogna farlo all’interno di un progetto serio, concreto e lavorando di concerto con quegli europei. Senza dimenticare, mi creda, che non c’è interlocutore più autorevole e più ascoltato dai serbi e dai kosovari dell’Italia”.

Scenari

Sullo sfondo di tutto ciò ci sono i rapporti di Belgrado e Pristina con l’Ue: non è un segreto che entrambe le capitali aspirano ad una normalizzazione dei rapporti con Bruxelles: “In questo contesto certamente una normalizzazione delle relazioni rappresenta una condizione estremamente importante, ma c’è anche un elemento nuovo che riguarda i rapporti che nuovi non sono, bensì molto antichi, tra la Serbia e la Russia: non vanno sottovalutate le dichiarazioni del ministro degli esteri serbo, Ivica Dacic, di una possibile applicazione di sanzioni da parte di Belgrado nei confronti di Mosca, cosa che avrebbe un significato non indifferente”. Per cui, conclude l’ambasciatore Sessa, così Belgrado, con un buon uso della vecchia diplomazia, forse anche qualche altro paese potrebbe essere convinto ad avere atteggiamenti diversi nei confronti della Russia, ma non li ha voluti nominare.

@FDepalo


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