Un consiglio a Zangrillo e a chi lo seguirà, presto o tardi nel suo ruolo di ministro per la Funzione Pubblica, occupiamoci meno delle riforme prossime venture, e cerchiamo di risolvere i problemi di oggi. Iniziando da quelli dei cittadini. L’opinione di Mastraapasqua
Rieccola. Parafrasando Indro Montanelli – il “rieccolo” per lui era l’inaffondabile Amintore Fanfani, araba fenice della Prima Repubblica – potremmo etichettare così la promessa riforma della Pubblica amministrazione. Il ministro Paolo Zangrillo nei giorni scorsi ha emanato il suo editto, attraverso un’intervista, per annunciare il cambiamento della Pa. A partire dalla sua attrattività per i giovani, che dovrebbero cercare ben altro che la promessa del posto fisso.
I dati, senza scomodare Checco Zalone, ci continuano a dire il contrario. Il 60% dei giovani che dichiarano di voler lavorare nella Pa hanno una motivazione essenziale: “Entrare nella Pubblica amministrazione vuol dire avere un lavoro sicuro”.
L’impegno del ministro si inserisce nel solco scavato dal suo predecessore, Renato Brunetta, che tanto ha fatto per cercare di alleggerire la macchina dei concorsi, per reclutare nuove professionalità nella Pa (meno giuristi più ingegneri) senza ottenere grandi risultati, evidentemente. Altrimenti non ci sarebbe la nuova promessa di Zangrillo.
Se possiamo archiviare la buona intenzione del nuovo ministro con il montanelliano “rieccola”, continua invece a restare assente il cittadino. Legittimo e doveroso l’impegno rivolto ai 3,3 milioni di dipendenti pubblici e a coloro che vorrebbero e potrebbero favorirne il turn over, ma possibile che ci si dimentichi sempre che la Pa dovrebbe servire ai cittadini prima che a chi ci lavora? Lo vediamo spesso nella scuola – sembra che i protagonisti siano gli insegnanti, non gli studenti e le loro famiglie – così come nella sanità – medici e infermieri oscurano le esigenze dei pazienti – il pubblico dipendente sembra destinatario di un’attenzione paterna (o materna se preferite) a prescindere dalla sua competenza e dedizione.
Anche la nuova organizzazione del lavoro, che ha finito per introdurre massicciamente lo smart working in alcune amministrazioni pubbliche, sembra funzionale al lavoratore, a prescindere dal servizio che può erogare effettivamente al cittadino-utente.
Capita così che a fronte di un 4 per 1 o un 3 per 2 (intesi non come offerte commerciali, ma come rapporto di giornate di lavoro in ufficio contro quelle passate da remoto) il lavoro in ufficio si accumuli e che al rientro scatti quasi automaticamente lo straordinario. Quindi, controllo inesistente durante il “remote working” (meglio omettere l’aggettivo smart, troppo intelligente) e recupero in straordinario per il tempo perduto. Nelle aziende private non funziona così. Chi lavora da remoto viene controllato e quando torna in ufficio lo straordinario se lo sogna.
Per avere un passaporto ci vogliono sei mesi? Poco male per chi lo richiede. Il personale addetto ha necessità più urgenti del cittadino.
Un consiglio a Zangrillo e a chi lo seguirà, presto o tardi nel suo ruolo di ministro per la Funzione Pubblica, occupiamoci meno delle riforme prossime venture, e cerchiamo di risolvere i problemi di oggi. Iniziando da quelli dei cittadini.