Per Le Corre, senior fellow dell’Institute for Research and Education on Negotiation (Irene) della Essex Business School, gli europei sono “sempre più pessimisti sulla possibilità di un ruolo positivo della Cina in questa guerra”. La pace con caratteristiche cinesi che Wang Yi ha pubblicizzato in questi giorni non hanno impressionato
A tre mesi dall’improvvisa decisione di revocare le restrizioni sanitarie durate sin dall’inizio della pandemia, la Cina sembra decisa a migliorare la propria immagine, recuperando terreno in un contesto generale poco favorevole. La visita a Monaco, Parigi, Roma, Budapest e infine Mosca di Wang Yi, membro del politburo del Partito Comunista Cinese e massimo esponente della politica estera di Pechino, è stata l’apice (finora) di questa charme offensive — avviata al forum di Davos dal consigliere economico più importante, Liu He e in moto anche con la visita del ministro degli Esteri Qin Gang in Indonesia.
Ripresi gli incontri bilaterali, compresi due faccia a faccia di Wang e Liu con i segretari di Stato e al Tesoro statunitense, Pechino spera di ripristinare la propria immagine dopo tre anni molto complicati. Ma già questo inizio ha avuto dei problemi.
L’idea di Wang è di catturare l’attenzione internazionale (soprattutto europea) anche attraverso il piano di pace per l’Ucraina che ha portato con sé nel suo viaggio tra le capitali del Vecchio Continente. “Penso che la Cina sia desiderosa di fare un ritorno diplomatico dopo 3 anni di autoisolamento con i suoi diplomatici che a malapena uscivano dalle loro ambasciate, ma non sarà sufficiente che Pechino venga a incontrare qualche leader europeo e prometta di promuovere la pace”, commenta Philippe Le Corre, senior fellow dell’Institute for Research and Education on Negotiation (Irene) della Essex Business School — una delle business school più famose del mondo con sedi a Parigi, Rabat e Singapore.
“Ben poche delle proposte avanzate finora dalla Cina come contropartita della sua goodwill diplomacy hanno però impressionato i leader europei”, ricorda Le Corre a Formiche.net. E in effetti, per esempio, mentre portava con sé l’idea della pace con caratteristiche cinesi per l’Ucraina, Wang è stato tutt’altro che pacifico su Taiwan. Parlando alla Conferenza sulla Sicurezza di Monaco, alla richiesta di rassicurare il pubblico sulle non-intenzioni di Pechino di invadere Taipei, Wang ha sottolineato di preferire di rassicurare tutti che Taiwan è parte della Cina.
“Chi non vorrebbe che le armi smettessero di sparare? Ma dobbiamo essere incredibilmente cauti sul tipo di trappole che possono essere tese”, aveva detto poco prima il segretario di Stato Antony Blinken durante la stessa conferenza (che ha fatto da cornice all’incontro riservato con Wang). Il rischio è infatti che il piano di pace sia non più di una manovra diplomatica volta a persuadere gli europei che la Cina condivide i loro stessi obiettivi. Che è un attore affidabile e credibile sul piano internazionale.
Anche per questo, Le Corre fa notare che gli europei sono “sempre più pessimisti sulla possibilità di un ruolo positivo della Cina in questa guerra”. Perché sono poco persuasi? “Pechino ha troppo da guadagnare da questo conflitto, sia che si tratti della dipendenza della Russia o dell’indebolimento dell’Occidente”. Se arriveranno aiuti militari e politici cinesi — come temono gli Stati Uniti — ed essi saranno in qualche modo determinanti, Pechino potrà aver creato l’espediente per mettere Mosca in una condizione di subordinazione. Se si creerà uno squilibrio a sfavore di Kiev, che potrebbe portare a pendere il peso di un eventuale negoziato verso i russi. E allora, semplificando, significherebbe una sconfitta anche per il fronte occidentale che ha sostenuto la resistenza ucraina.
Finora Pechino ha ampiamente fallito nei suoi tentativi di persuadere gli europei che non sostiene la guerra. Sebbene l’interesse dei Paesi Ue sia di mantenere aperti i canali commerciali con la Cina, i leader europei non sono convinti della terzietà cinese. Automaticamente, anche il tentativo di Pechino di creare un cuneo tra i partner orientali dell’asse euro-atlantico e gli Stati Uniti, incoraggiando l’Europa a esercitare una politica estera “indipendente” — intanto e soprattutto nei confronti della Russia e della Cina — ha fatto pochi passi avanti.
Nei fatti, il piano di pace cinese ha in sé certe caratteristiche che lo rendono relativamente affidabile nei fatti — anche se dopo la visita di Wang a Parigi, Francia e Cina hanno concordato di lavorare insieme per la pace in Ucraina. Pechino sostiene la necessità del rispetto di sovranità e integrità territoriale, ma in considerazione delle legittime preoccupazioni di sicurezza di tutti i paesi — e poi contesta le sanzioni e esclude l’uso di ogni genere di arma nucleare, richiamando ai principi della Carta delle Nazioni Unite.
Il punto riguarda quelle “legittime” preoccupazioni di sicurezza, che di fatto potrebbero benissimo essere quelle della Russia, per la Cina ignorate e anzi oltraggiate dallo sviluppo della Nato a Est secondo un interesse degli Stati Uniti. Così come la minaccia dell’utilizzo delle armi nucleari, la preoccupazione per la sicurezza di Mosca sarebbe legata alla volontà degli Stati Uniti di continuare la guerra.
“Alcuni Paesi gettano benzina sul fuoco”, ha detto in questi giorni Qin (speculazione: visto che spesso l’establishment cinese parla a uso interno, il ministro voleva mandare un messaggio affinché la Cina evitasse di fornire aiuto miltiare a Mosca? D’altronde Qin conosce bene le possibili reazioni americane, avendo creato buono rapporti a Washington come ambasciatore).