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Franceschini, il “banco“ che non perde mai e la scuola Dc

La storia politica di Dario Franceschini ha radici lontane. Prima capogruppo Dc in consiglio comunale a Ferrara, poi la consacrazione romana e la lunga scalata ai vertici del partito, surfando sulle onde che man mano inghiottivano segretari e correnti. Sempre un passo indietro ma al centro del (retro)scena

Il banco, a poker, non perde mai. La metafora del gioco di carte ben s’attaglia alla strategia di Dario Franceschini, ex tante cose (tra cui segretario del partito e ministro dei Beni culturali), ma sicuramente ancora molto potente. Uso a muoversi senza fare troppo rumore, Franceschini aveva già capito prima di molti che a trionfare alle primarie sarebbe stata Elly Schlein, alla quale aveva assicurato la sua benedizione. E infatti, potrebbe diventare una delle figure chiave della “nuova” segreteria.

Franceschini è così, un decano della politica e un maestro della strategia. Se fosse uno skipper potremmo dire che riesce a “fiutare il vento” anche in piena bonaccia. Nel mare aperto dei giochi di palazzo, l’ex ministro si muove con grande abilità e acume. Calcola, tesse rapporti. Apparentemente sornione, a ben guardare sempre vigile. Ha, ancora una volta, previsto il cambiamento del corso nel suo partito. Un partito che conosce come le sue tasche (delle sue giacche da scrittore appassionato).

Ormai è romano d’adozione, anche se le sue sono radici padane. Ferrarese, come Giorgio Bassani e Nino Cristofori, suo padrino politico in qualche misura e con il quale condivide la formazione. Qui il salto indietro nei decenni potrebbe provocare forme di vertigini. Si definì, come scrisse un cronista di lungo corso del Carlino Ferrara, Stefano Lolli,  “un ragazzo di Zaccagnini. Quella Democrazia Cristiana cui deve molto più di quanto appare.

Le prime esperienze di gioventù affondano radici nel mondo studentesco. Poi arriva il Consiglio comunale. Perché allora si iniziava così il cursus honorum. Agli albori degli ’80, giovanissimo ma già scafato, conquista il ruolo di capogruppo. L’esperienza che però lo forgia più di altre è quella di assessore alla Cultura e al Turismo nel 1994. Giunta di centrosinistra, ammorbidita dalla presenza democristiana (pur di sinistra) del giovane assessore.

Le amicizie e il bacino elettorale, Franceschini le coltiva sapientemente frequentando i mondi in cui sa di giocare “in casa”. Il Palio e la chiesa di Santa Maria in Vado. Il fulcro di un laboratorio politico di tutta l’area franceschiniana: i cristiano-democratici. Poi arriverà il Buskers Festival. Da Ferrara a Roma per il giovane Franceschini (al netto di qualche sconfitta a metà dei Novanta), è una strada abbastanza lineare. Per Ferrara si batterà e otterrà il riconoscimento di “Città patrimonio dell’Unesco”.

Regge il partito dopo le dimissioni di Walter Veltroni nel 2009, e con tutti i segretari che seguiranno (Bersani, Renzi, Zingaretti, Letta, oltre ai reggenti Epifani, Orfini, Martina) riuscirà a trovare un ruolo e una centralità. Proprio nei giorni in cui raccoglie i primi cocci del Pd, il 21 marzo 2009, possiamo trovare un’anteprima di quello che è successo in queste settimane con Schlein: una sconosciuta Debora Serracchiani inveisce contro i vertici del partito durante un’assemblea dei circoli in quello che diventerà uno dei primi video politici “virali” dell’era Youtube. Franceschini la candida alle Europee del giugno successivo e la 38enne ottiene una valanga di preferenze nella circoscrizione Nord-Est, più di Berlusconi. Perché farsi travolgere dai pasionari quando si possono includere (e disinnescare)?

Quello del Ministero alla Cultura (un po’ come furono le sue deleghe in Comune), è un sogno coltivato dal Franceschini avvocato senza toga ma con molti manoscritti nel cassetto. Non c’è arrivato per grazia ricevuta, ma per sapiente gioco politico. Il Mibact se l’è in qualche modo cucito addosso, riuscendo a cavalcare le onde di periodi politici (seppur brevi) dai contorni – e dalla caratterizzazioni dei leader – completamente diversi. Se nel 2013 guida il ministero dei rapporti con il Parlamento, è Renzi che lo premia per aver assecondato il suo coup contro Enrico Letta con il dicastero della Cultura, che mantiene con Paolo Gentiloni, Giuseppe Conte (bis) e Mario Draghi.

Sua la spinta per la realizzazione per il Museo dell’Ebraismo e della Shoah di via Piangipane (nella città estense) frutto di una legge bipartisan promossa assieme al critico d’arte (ferrarese pure lui) Vittorio Sgarbi. Questa è rimasta la vera grande impronta nella Ferrara da cui ora si tiene a debita distanza. Sul rapporto tra Franceschini e Sgarbi si potrebbe aprire un ampio dibattito, ma basta dire che il suo ultimo libro è uscito per La Nave di Teseo, fondata dalla sorella del critico Elisabetta. Insomma dell’eterno Franceschini si possono dire tante cose. Ma forse, la sua più grande abilità è quella di non arrivare mai primo, e neanche secondo. L’importante è restare in pista.



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