Dovrebbe essere nell’interesse del governo attuale e dell’opposizione che domani vuole governare stemperare le punte dello scontro, e per questo sarebbe bene che i leader si assumessero le responsabilità degli errori. Altrimenti sarà sempre la magistratura a occuparsene. Il commento di Francesco Sisci
È insano usare la clava giudiziaria per gestire errori politici, ma gli errori politici comunque devono essere gestiti, non possono essere trascurati altrimenti il sistema si imballa e la clava giudiziaria diventa l’unica arma per gestire un passaggio politico.
Le inchieste giudiziarie sulle morti di Bergamo all’inizio del Covid e la ricerca di responsabilità giuridiche sulla strage di migranti di Cutro in Calabria hanno questo sapore politico come scritto saggiamente Antonio Polito sul Corriere della Sera qualche giorno fa.
Ma esiste un punto: c’è un errore politico in entrambi i casi e questo errore politico deve avere delle responsabilità politiche. Per Bergamo si tratta di Giuseppe Conte premier all’epoca e quindi ultimo decisore sulle chiusure, e per Cutro è Matteo Salvini, profeta della linea dura contro gli immigrati.
Forse sarebbe opportuno per mille motivi non mettere sotto processo un ex premier e un vice premier in carica. Ma altrettanto opportuno sarebbe che entrambi si assumessero la responsabilità politica dell’evento.
In Gran Bretagna il premier Boris Johnson è stato costretto alle dimissioni per un semplice festino in casa.
Il presidente Sergio Mattarella con il suo discorso di ieri sottolinea il punto politico: bisogna creare nuove condizioni perché i disastri come quelli di Crotone non si ripetano. Non punta dita, non vuole teste tagliate ma vuole sviluppi positivi della cosa. Il presidente pone una questione nazionale e internazionale di responsabilità su una strage inutile che poteva e doveva essere evitata. Il governo e il parlamento non possono ignorare questo richiamo.
Ci sono precedenti storici che illustrano quanto sia pericoloso ignorare le responsabilità politiche. La storia di Mani Pulite, ancora troppo recente e delicata per essere analizzata con attenzione, riguarda proprio questo. Dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989 un certo modo di fare politica e alcuni personaggi politici avevano fatto il loro tempo giustamente o ingiustamente.
Se essi si fossero dimessi è possibile che i giudici non sarebbero intervenuti e si sarebbe mantenuto forse un maggiore equilibrio tra poteri del parlamento e potere giudiziario.
I politici non si dimisero invece, e i giudici avanzarono cercando di fare giustizia. Da un punto di vista formale il passaggio, “l’avanzata dei giudici”, fu ineccepibile. Da un punto di vista più informale ma sostanziale le istituzioni del paese furono ferite. Forse ciò non avvenne tanto per la “supplenza politica” dei giudici, ma per la mancanza di autodisciplina dei politici.
Sarebbe opportuno che l’Italia oggi non ripeta quella storia perché le istituzioni già danneggiate potrebbero non sopportare ulteriori colpi. Né una eventuale “correzione” politica può essere mettere il bavaglio e la museruola ai giudici. Se ciò accadesse e i politici non pagassero il prezzo politico dei loro errori, il sistema resisterebbe per un giorno in più ma esploderebbe con maggiore fragore e danni il giorno dopo.
Luca Ricolfi avverte del rischio della polarizzazione estrema dello scontro politico. Le recenti violente proteste degli anarchici possono solo essere un inizio. L’inflazione in corso sta pesando sempre di più sui ceti disagiati allargando la forbice sociale. È tutta legna che aspetta una scintilla per andare a fuoco.
Nella polarizzazione non si riesce a governare. Dovrebbe essere nell’interesse del governo attuale e dell’opposizione che domani vuole governare stemperare le punte dello scontro, limitare le possibilità di intervento giudiziario nella politica, per questo la politica deve purgarsi da sola.
Improbabile che lo faccia ora. Sia Conte che Salvini sono entrambi stampelle necessarie alle loro coalizioni. Ma la questione è aperta e va chiusa al più presto e più discretamente possibile per il bene delle istituzioni e la governabilità del Paese.