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L’8 marzo politico, una lettura in controluce di due donne leader

Qualche consiglio a Giorgia Meloni e Elly Schlein, due donne ai vertici della politica italiana. Il contributo di Luigi Tivelli

In occasione dell’8 marzo mi sembra giusto dedicarsi all’osservazione delle due donne che dominano la scena politica italiana, una al governo e una all’opposizione, e che certamente hanno dato e daranno, in modi e forme diversi, un contributo significativo a quello sfondamento del tetto di cristallo cui giustamente tante donne ambiscono.

Quello di consigliere parlamentare della Camera è stato per molti decenni per me (e in qualche modo continua ad esserlo ancora) un osservatorio privilegiato per studiare, da vicino o da lontano, secondo i casi, le classi politiche man mano succedutesi e quelle in sella in questo momento. Devo ai miei più grandi maestri, Antonio Maccanico, Guglielmo Negri, Beniamino Placido, tra gli altri, il ricordo che Gaetano Mosca, il grande studioso della classe politica, la studiava tramite la revisione dei testi, dei resoconti stenografici degli interventi dei parlamentari. Io non ho ovviamente le chiavi, la cultura, l’autorevolezza di Gaetano Mosca (ma così come fa l’Academy Spadolini che presiedo sono da sempre abituato a recuperare e valorizzare la memorie storica), ma in un Paese in cui più che studiare attentamente la classe politica, ci si dedica, magari, a saltare, con più o minore tempismo, sul carro del “capo” (o della “capa”) vincitore, mi sembra sia utile continuare questo esercizio.

Sulla presidente del Consiglio Giorgia Meloni per ora ho già scritto abbastanza, misurando man mano alla prova dei vari “budini” fra quelli emessi dal “forno” del governo senza pregiudizi, ideologismi col giusto approccio critico accompagnato dal rispetto nei confronti del presidente del Consiglio del mio Paese. Credo che, essendo stato allevato alla politica dall’età di quattordici anni, da tre operai e due impiegati che hanno fatto la Resistenza vicino al Partito d’azione, e da Ugo La Malfa, il quale la aveva praticata sin dalla giovane età come leader dell’Unità democratica nazionale di Giovanni Amendola, (anche se magari in questo Paese in cui non c’è più memoria storica chi sa in quanti si ricordano chi fu Giovanni Amendola…) di aver avuto una formazione antifascista certamente non minore e più marcata di quelli che oggi, politici o osservatori, vorrebbero che il “cleavage” (come direbbe un politologo Usa) la vera demarcazione sia quella tra fascisti ed antifascisti. Non mi sembra questo il focus tramite il quale osservare Meloni. Certo lei è riuscita a costruire uno storytelling come se con l’inizio da un partitino del 4% sia riuscita ad incarnare la maggioranza relativa. Credo, invece, che la fortuna di Meloni sia di aver beneficiato del terreno arato da Gianfranco Fini (ben più del Tatarella recentemente tanto osannato) che in una missione di stato in Israele dichiarò che il fascismo era “il male assoluto”. Su questo lei allora sembrava un po’ tiepida, ma ora si è innestata e ha beneficiato di quel solco che la ha portata a fare il vicepresidente della Camera e il ministro della gioventù per Alleanza Nazionale e il Popolo della libertà. Per venire ad aspetti recenti è giusto reagire a casi come quello dell’assalto parafascista degli studenti di Firenze, ma da qui a credere che il problema più grosso dell’Italia di oggi sia fascismo o antifascismo, credo che questo sia uno di quei salti in alto in cui sicuramente si butta giù l’asticella.

A questo proposito sto tentando un po’ di studiare Elly Schlein e credo che sto acquisendo tra l’altro aspetti abbastanza originali, rispetto a quelli sin qui diffusi, magari in qualche stampa di qualche giornale di sinistra che ama dare troppo spazio al carro del vincitore, o in qualche giornale di destra che ama pregiudizialmente stroncare il nuovo “pericolo rosso”. Credo Schlein non vada sottovalutata e che vada studiata con attenzione al di là dell’immagine mediatica che si porta dietro. Viene infatti da una buona e sana laurea in giurisprudenza all’Università di Bologna (chissà se Romano Prodi che tende a metterci volentieri un po’ anche il suo cappello sopra pure per quello) ha una sana origine ed esperienza internazionale, non solo al Parlamento europeo. Mi pare poi che non è che abbia esercitato più di tanto nella sostanza il ruolo di amministratrice, in quanto vicepresidente della regione Emilia-Romagna, perché mi sembra che a quello ci pensasse di più lo sconfitto Stefano Bonaccini. È da sperare che Schlein che viene da una sana formazione ed una esperienza internazionale, non si perda più di tanto, da qui in poi nelle parole d’ordine e negli slogan, come, ad esempio, nella lotta al Jobs Act di Renzi. Che pur qualche cosa di buono indubbiamente la aveva, anche se per certa sinistra la sua cancellazione è una sorta di “idola tribus”.

Credo che per lei sarebbe opportuno guardare, sviluppare, far sviluppare man mano le migliori best practice in vari Paesi europei in maniera di lavoro. Forse può apprezzare le forme di “job garantee”, che vanno maturando in vari Paesi, non figlie dell’assistenzialismo, ma nell’etica del vero sostegno ai giovani e alle donne, tramite lavori adeguati in cambio di dignitose retribuzioni. Se poi volesse dare una occhiatina ad i migliori modelli della “flex security”, a cominciare da quello danese, certamente con la sua intelligenza e mancanza di provincialismo capirebbe che non basterebbe continuare a battersi contro il “lavoro precario”. Se poi volesse troverebbe la strada aperta, guardando sostanzialmente all’unica intuizione di massima (però di fatto mai resa operativa) che ha avuto il suo sostenitore Andrea Orlando, da ministro del lavoro, la GOL (garanzia di occupabilità dei lavoratori), per svilupparla in termini adeguati alla vera realtà socioeconomica del Paese, imbracciando la bandiera del lavoro che certamente per quelli che oggi sono gli “ultimi”, si dimostra una bandiera ben più seria di quella del reddito (divano) di cittadinanza. Mi sembra poi che (ciò che non guasta) Schlein non abbia la solita formazione da marxista semipentita o pentita, essendo una sorta di millennial avanzata, che forse per qualche verso a parte per qualche buona lettura internazionale, attinge ad una cultura un po’ para-socialista, ma non marxista. Schlein ha però soprattutto due ordini di problemi.

Tutti sappiamo che ha vinto come rappresentante della “fazione di lotta” del Pd, mentre Bonaccini ha perso come rappresentante della “fazione di governo”. Ovviamente tocca però ora tocca a lei dimostrare man mano che ha cultura di governo, ad esempio, su come aumentare nel concreto i salari minimi. Siamo d’accordo in tanti, ma come? È giusto puntare sul lavoro, ma vogliamo prendere atto che sin qui, anche e non poco con un ministro del Pd nella scorsa legislatura, che ora appoggia la Schlein, come Andrea Orlando, le politiche attive del lavoro sono state una sorta “milite ignoto”? Di qui non solo il totale fallimento del Reddito di cittadinanza, ma anche il fallimento delle opportunità di lavoro per molti giovani, e la conseguente discrasia tra domanda ed offerta di lavoro, grazie alla quale tante offerte lavorative in tanti settori risultano inevase. Lo dico perché mi sembra giusto che oltre che ai diritti civili (che io ho sempre molto amato ben prima dei post-comunisti), Schlein si dedichi ai diritti sociali tenendo conto delle compatibilità del sistema. Bisognerà poi vedere man mano quali proposte di budino usciranno dal nuovo “forno” della Schlein e chi saranno i nuovi cuochi e i camerieri addetti al forno, e se lei sarà in grado di aggiungere dimostrazioni di cultura di governo accanto alla dimostrazione della cultura “di lotta”, fatta con l’esordio da “capa” (perché oggi i leader sono “capi”) alla manifestazione di esordio a Firenze. E qui viene il secondo punto.

A Firenze Schlein ha ricevuto soprattutto gli abbracci di Landini e di Conte. Quanto a Landini (poverino un po’ lo capisco, oggi molti operai sono più vicini alla Lega e a Fratelli d’Italia) preferivo più Luciano Lama, che aveva molta più cultura di governo, e Bruno Trentin, che pur stava molto più a sinistra. L’abbraccio con Conte, forse un po’ un abbraccio a doppio significato, perché teme che Schlein possa pescare nel suo bacino elettorale, può sembrare un “abbraccio avvelenato”. Sia quanto alla possibilità, per cui forse Conte aspira di ripescare il reddito di cittadinanza, sia in quanto alla aspettativa che Schlein (che forse ha più cultura di governo di quanto si pensi) possa avvicinarsi un po’ a lui sulla posizione dell’Italia rispetto alla guerra in Ucraina. Ma sull’intreccio Schlein cinquestelle c’è dell’altro. Io di talk show ne vedo pochi (anche perché sono molto spesso la fiera del cicaleccio), ma ho visto nei giorni scorsi apparire talvolta Domenico De Masi, che ha l’immagine dell’ideologo dei cinquestelle (non solo perché dirige la scuola di formazione politica del Fatto quotidiano), ma che forse è stato adottato come tale perché man mano che da ottimo sociologo del lavoro quale era si è evoluto in sociologo del tempo libero.

Nulla di meglio di un sociologo del tempo libero per gli alfieri del reddito di cittadinanza all’italiana. Forse pescando qualche traduzione banale del pensiero di un sociologo del tempo libero si aiutano meglio gli adepti a stare meglio sul divano di cittadinanza… Ma quale è il punto che ci riporta all’analisi di Schlein. Che De Masi si mena vanto di essere andato a votare alle primarie per Schlein, forse facendo un qualche modo capire che non pochi cinquestelle hanno votato per lei. E ciò significa che si vuole portare Schlein sempre più verso l’alleanza con i cinquestelle (che lei non rifiuta certo pregiudizialmente), ma il problema è che lei mi sembra in qualche modo una professionista mentre i cinquestelle sono la fiera del dilettantismo esplicito, in quanto basato su quel “uno vale uno” teorizzato dall’ideologo Beppe Grillo, e che forse al povero De Masi è toccato alimentare. Non è che perché c’è un bravo sociologo del tempo libero e uno che nasce “avvocato del popolo”, come Conte, e poi evolve soprattutto ad “avvocato populista” (per come furbescamente ha condotto la campagna elettorale per le politiche), una che sembra per curriculum e formazione una professionista, può avere a che fare senza adeguate cautele con i dilettanti e il dilettantismo espresso dai cinquestelle nella scorsa legislatura.

Se potessi dare un piccolo suggerimento alla leader Schlein, mi permetterei di suggerire un po’ di attenzione. Anche perché con i cinquestelle “abbiamo già dato” nella scorsa legislatura (per lo meno fino a Draghi) ed abbiamo visto quale cultura di governo esprimono. Non credo che una professionista quale sembra Schlein voglia riprendere con la fiera dei bonus, con la versione più stupida possibile del keynesismo, con la dispersione a pioggia di regalie, con bonus che sono costati più della metà degli interi stanziamenti del Pnrr, come il bonus 110%. Qui viene l’hic Rhodus, hic salta. Credo che Schlein abbia la piena consapevolezza di dover aggiungere la dimostrazione di una tendenzialmente sana cultura di governo, a quella cultura e pratica di lotta che ha seguito sin qui. Non mi sembra che a questo fine le sirene migliori siano quelle che vengono da ulteriori forme di ipoteche da parte pentastellata. Credo sia meglio per lei pescare anche nel programma di Bonaccini, un po’ più nutrito da qualche forma di sana cultura del governare e dell’amministrare, ma i leader (e le “cape”) non vanno valutate con pregiudizio né dalle prime prove, anche perché credo che giustamente a Schlein servisse una esibizione muscolare e di cultura di lotta come quella dei giorni scorsi a Firenze.

Mi permetto un piccolo avviso ai naviganti, anche per quelli (e credo non saranno pochi) che come diceva Longanesi si apprestano a correre in soccorso della vincitrice-Schlein. Credo sia meglio, infatti, attendere le evoluzioni del suo posizionamento, speriamo con non troppe ipoteche pentastellate e con l’emersione di una più esplicita cultura di governo. Perché in un Paese che ha fatto e tanti danni fa il wrestling politico se dovessimo assistere da qui in poi al wrestling tra due “cape-signore”, va a finire che al prossimo giro ancora meno italiani andrebbero alle urne e ancora meno degli atavici problemi del Paese sarebbero risolti. I soli a guadagnarne sarebbero certi talk show che comunque l’audience continuerebbero ad averla bassa.

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