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Il salto dimensionale di Prizoghin, chef di Putin e mente della Wagner

Il capo di Wagner si è speso e non poco, oltre che in attività autocelebrative, anche in un’opera di critica distruttiva delle forze regolari di Putin e in particolare del ministro della Difesa e del capo di Stato maggiore. L’analisi di Leonardo Tricarico, presidente della fondazione Icsa, già capo di Stato maggiore dell’Aeronautica militare

Tutte le guerre sono l’ideale terreno di prova per nuove tecniche di combattimento provate e riprovate a tavolino, per nuove procedure di impiego di sistemi d’arma, di reparti, di interazioni tra componenti.

È sempre stato così, nonostante l’impegno quotidiano nel disegnare scenari esercitativi in cui riprodurre al massimo grado di verosimiglianza le condizioni che si incontrerebbero in uno scontro reale.

Il conflitto russo-ucraino non si è sottratto a questa regola consolidata, anzi è stato lo scenario dove la forbice tra il previsto e il reale ha avuto la sua massima apertura, provocando forti perplessità anche e soprattutto in noi occidentali su una maniera imprevista e imperscrutabile di condurre una guerra.

Il gruppo Wagner, una Private military security company, Pmsc, ben conosciuta già da anni per le sue performance in disparati teatri di operazioni, nel corso di questo primo anno di conflitto russo-ucraino si è contraddistinta più di altre per una metamorfosi radicale e identitaria.

Innanzitutto un outing senza riserve e senza bisogno di spiegare, da quella che era una posizione riservata, dietro le quinte, poco appariscente a un ruolo centrale, rivendicato con baldanza e alterigia.

Tutte le operazioni militari condotte in Siria, Libia, Mali e numerosi altri Paesi africani erano avvenute sotto copertura, con una scrupolosa attenzione affinché nulla potesse essere ricondotto al gruppo la cui finalità era quella di operare e restare in clandestinità, negando in ogni circostanza il proprio coinvolgimento e giungendo persino a denunciare quei giornalisti che avessero osato evocare ipotesi diverse.

Impensabile poi cercare di ipotizzare un collegamento funzionale con il Cremlino da cui invece esisteva verosimilmente una dipendenza operativa piuttosto stretta. La stessa figura del fondatore e capo del gruppo, Yevgheny Prigozhin, è stata contraddistinta da una scalata avventurosa e bizzarra al potere oligarchico.

Il grande salto dimensionale e identitario allo stesso tempo Prigozhin lo ha fatto però con il conflitto in Ucraina. Le dimensioni del suo gruppo combattente sono lievitate, anche se la qualità è rimasta al palo, grosso modo alle capacità operative tipiche delle Pmsc, quelle di reparti speciali utilizzati soprattutto in scenari asimmetrici.

Anche Wagner ha dovuto rimodulare i propri concetti di impiego per inserirsi in un confronto tradizionale senza potersi sempre ritagliare ruoli di élite. Ha inoltre dovuto ampliare gli organici ricorrendo a bacini di reclutamento quali il teatro siriano e le prigioni russe.

L’organico di Wagner si è così moltiplicato: si stima che abbia raggiunto decine di migliaia di combattenti a fronte della poche migliaia di effettivi addestrati, equipaggiati e mantenuti nelle retrovia per le missioni di maggior impegno. Nel settore degli equipaggiamenti e dei mezzi, non è dato sapere se e in quali dimensioni e tipologia di sistemi il gruppo sia cresciuto.

In questa fase però il capo di Wagner si è speso e non poco, oltre che in attività autocelebrative, anche in un’opera di critica distruttiva delle forze regolari di Putin e in particolare del ministro della Difesa, Sergei Shoigu e del capo di Stato maggiore, Valeri Gerasimov, messi sotto accusa per le strategie usate in guerra e per i deludenti risultati conseguiti.

Alle critiche tanto aperte quanto incalzanti si è unito l’altro capo di un esercito personale, Kadyrov, responsabile del brutale gruppo di combattenti ceceni. Non è dato conoscere la strategia che i due paramilitari radicali abbiano in mente, né se la loro funesta alleanza reggerà.

Le prospettive che si potrebbero aprire però non sono tranquillizzanti. A parte i danni, per ora in larga parte immateriali, che simili colpi di maglio hanno portato a una gerarchia militare già di suo in sofferenza fin dai primi giorni del conflitto, non vi è dubbio che i comportamenti di Prigozhin siano legati a scenari di cambio del potere in forme ancora imperscrutabili.

L’andamento tutt’altro che favorevole della guerra, associato a un logoramento del consenso interno, potrebbe comportare un cedimento di schianto di Putin e il passaggio di testimone a un sistema di potere più nazionalista e radicale; un appuntamento al quale Prigozhin si presenterebbe con le medaglie di un pregresso atteggiamento critico e dissenziente verso il sistema collassato.

O, se anche il passaggio di potere dovesse avvenire in maniera più morbida, magari con le prossime elezioni presidenziali, i falchi, o meglio gli avvoltoi del tipo Prigozhin, potrebbero aver fiutato la svolta imminente, iniziando a sgomitare per un posizionamento, magari anche di vertice, nel nuovo assetto istituzionale.

Una carriera di tutto rispetto per chi, uscito di galera non secoli fa, ha ripreso vendendo per strada hot dog. E sempre che i suoi biechi calcoli si rivelino – ahinoi – correttamente studiati.

(Articolo pubblicato sul numero di marzo della rivista Formiche)

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