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L’Italia in recessione, ostaggio di giochi politici e fazioni

Non c’è dubbio che l’attuale situazione economico-finanziaria del nostro Paese possa apparire all’osservatore, almeno per il momento, decisamente più confortante rispetto a quella che si era determinata intorno al Novembre 2011, momento in cui ci siamo trovati molto vicini al “punto di non ritorno” ed alla perdita di parte della nostra sovranità nazionale.

Addirittura, il lievissimo miglioramento di alcune nostre variabili, abbinato ai recenti dati Eurostat che hanno evidenziato il Pil dell’Eurozona in crescita nel terzo trimestre 2013 dello 0,3% (dopo ben sei trimestri consecutivi di calo), hanno indotto autorevoli tecnici ed osservatori a lasciarsi andare ad affermazioni del tipo “la recessione è finita”,“siamo vicini ad un punto di svolta” e similari.

Ora, se queste affermazioni sono riferite al contesto europeo vanno accolte con prudenza se non altro in considerazione delle enormi incognite in ballo (comportamento della Fed, instabilità dei Brics, ecc.), ma se sono riferite allo scenario italiano vanno davvero “trattate con i guanti”. La perdurante fragilità della nostra situazione appare, infatti, del tutto evidente per due ordini di motivi di cui il primo riguarda la nostra reale capacità di agganciare questa ipotetica ripresa.

Da questo punto di vista giova ricordare che il nostro Paese, secondo i dati Eurostat a Giugno 2013 continua ad essere il fanalino di coda della crescita europea con un Pil ancora in territorio negativo (-0,2%) e proiezioni a fine 2013 intorno a – 1,8% /-2%. Per il 2014 il FMI prevede una modesta crescita dello 0,7%, assolutamente in grado di scivolare agilmente in territorio negativo. Da evidenziare, a questo proposito, che gli stessi dati Eurostat mostrano una Germania in accelerazione (+0,7%), ma non in grado di trainare a rimorchio quei Paesi come l’Italia ancora incapaci di ripartire autonomamente.

La conseguenza diretta di questo “movimento” è che verosimilmente non si assisterà ad una ripresa generalizzata nell’ambito della zona dell’Euro, ma piuttosto ad una divaricazione progressiva della crescita nei diversi Paesi con ampliamento del gap tra Paesi core e periphery.

Il secondo aspetto che rende la posizione italiana particolarmente fragile riguarda, ovviamente, la crescente instabilità politica. Qui si entra addirittura nel paradossale poiché appare del tutto evidente come una crisi di governo, con conseguente venir meno di una guida alla situazione economica e finanziaria del Paese, possa vanificare quanto fatto nell’ultimo biennio rigettandoci nel vortice dello spread, della speculazione e dei declassamenti; tra l’altro, le recenti esperienze dovrebbero averci insegnato come i mercati siano ormai molto sensibili al fattore “S“ ossia al sentiment connesso a variabili qualitative quali la percezione di incertezza, lo stallo politico, l’incapacità di un Governo di gestire le diverse emergenze, con la conseguenza che l’avvitamento delle situazioni tende ad essere molto più rapido che in passato.

Nonostante ciò l’impressione è che gli italiani siano di fatto semplici ostaggi di giochi politici e di fazioni che procedono diritte verso lo scontro finale seguendo la “politica delle cannoniere”, assolutamente noncuranti delle conseguenze per il Paese. Eppure, per avere una rapida idea di ciò che accadrebbe a seguito di questo “salto nel buio” basterebbe far finta di essere un gestore di un qualche enorme fondo americano e rivolgerci la seguente domanda (piuttosto provocatoria):

Lei ridurrebbe il rischio Italia nel suo portafoglio titoli in previsione di“:

– una crisi di governo “al buio”;

– elezioni anticipate (con l’attuale legge elettorale) verosimilmente incapaci di esprimere una nuova maggioranza ;

– un vuoto politico con conseguente impossibilità di prendere decisioni di natura economico-finanziaria e di portare avanti qualsiasi riforma strutturale;

– maggiori difficoltà per Draghi e la BCE di sostenere la situazione italiana;

– impossibilità di varare un nuovo governo tecnico di salvezza (stile Monti);

– possibili dimissioni del Presidente Napolitano;

– probabile avvitamento dello spread e declassamento del debito italiano;

A questo punto basterà attribuire 1 punto ad ogni “si” e 0 punti ad ogni “no”: considerando che, in media, dobbiamo rifinanziare ogni anno circa 450 miliardi di titoli di Stato, se il punteggio risulta superiore a 3 siamo nei guai fino al collo.


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