Un attacco iraniano contro una postazione americana in Siria riapre uno scenario: le attività destabilizzanti di certi attori sembrano essere pianificate come azioni di disturbo per le manovre diplomatiche di distensione nella regione. E per deviare la concentrazione di Washington da altri dossier
Il Pentagono ha dichiarato nella tarda serata di giovedì (ora di DC) che il presidente Joe Biden ha direttamente autorizzato attacchi aerei sul territorio siriano dopo che un contractor americano è stato ucciso da un drone kamikaze in Siria. I raid statunitensi hanno colpito obiettivi affiliati alle forze iraniane nel Paese, perché la intelligence community statunitense ha rapidamente valutato che il drone era di fabbricazione iraniana.
Probabilmente chi era presente nella facility vicino alla città nord-orientale di Hasakah, colpita perché utilizzata dalla coalizione anti-terrorismo a guida statunitense, ha avuto vita facile a riconoscere i rottami (e probabilmente anche gli aggressori). Il veicolo aereo senza equipaggio (Uav) potrebbe essere stato di quelli ben conosciuti che gli iraniani hanno anche venduto ai russi (per essere usato contro le città ucraine), e che sono molto diffusi in Medio Oriente perché passati alle milizie proxy con cui i Pasdaran esercitano la loro influenza anti-occidentale nella regione.
Il contesto
Quanto è accaduto è raro ma non senza precedenti. Gli Stati Uniti hanno avuto più di una volta scontri con milizie filo-iraniane in Siria. Anche Biden ha già autorizzato per due volte attacchi di rappresaglia nel febbraio 2021 e nell’agosto 2022. Anche in quell’occasione erano stati usati questo tipo di droni. E però questa volta c’è un contractor americano ucciso — e un altro ferito con altri cinque militari regolari — e un momento di alta tensione tra Usa e Iran.
Momento che peraltro coincide con il riavvicinamento dell’Iran con l’Arabia Saudita dopo l’accordo per avviare una riapertura delle relazioni diplomatiche siglato a Pechino. Accordo che, val la pena ricordare, ruota anche attorno all’abbandono da parte dell’Iran dell’uso delle milizie sciite per interferire e influenzare gli affari regionali. Inoltre, il giorno precedente all’attacco iraniano in Siria, gli israeliani avevano bombardato l’ennesimo carico di armi dei Pasdaran diretto alle milizie ad Aleppo.
Narrazioni e interessi
Le forze del Comando centrale degli Stati Uniti (CentCom) hanno definito gli obiettivi colpiti “strutture utilizzate da gruppi affiliati al Corpo delle guardie rivoluzionarie islamiche dell’Iran (Irgc)”. Il Segretario alla Difesa statunitense, Lloyd Austin, ha dichiarato che gli attacchi aerei sono stati effettuati in rappresaglia a quello subito giovedì e ad altri recenti contro le forze della coalizione in Siria “da parte di gruppi affiliati all’Irgc”. “Come ha chiarito il presidente Biden, adotteremo tutte le misure necessarie per difendere il nostro popolo e risponderemo sempre in un momento e in un luogo di nostra scelta”, ha aggiunto Austin. “Nessun gruppo colpirà le nostre truppe impunemente”.
Siriani, iraniani e russi contestano la presenza statunitense all’interno del territorio siriano: la ritengono illegittima, perché non autorizzata da Damasco. Washington mantiene alcune unità della Delta Force e dei Berretti Verdi stazionate da anni all’interno di piccole basi. Servono per continuare a monitorare le attività dello Stato islamico, che un tempo controllava quelle fette di territorio. Ma servono anche per seguire più da vicino le attività russo-iraniane, che approfittando del caos del conflitto civile internazionale siriano hanno trasformato il Paese in una loro piattaforma militare strategica.
Le interferenze russe
Di fatto, le unità americane sostengono le brigate a guida curda delle Forze Democratiche Siriane (Sdf). Le forze armate statunitensi hanno anche una base ad al-Tanf, nel sud della Siria, vicino ai confini con la Giordania e l’Iraq, dove sostengono le milizie dell’Esercito siriano libero (un altro gruppo ribelle che ha anche combattuto i baghdadisti). La base di al Tanf è quella colpita ad agosto scorso e anche a gennaio, anche se in questa seconda occasione gli americani hanno evitato escalation. Anche i caccia armati russi hanno sorvolato il presidio americano di al-Tanf in Siria per “circa 25 volte questo mese”, ha dichiarato a NBC News il comandante dell’Air Force in Medio Oriente. Si tratta di un modello di violazione dello spazio aereo che potrebbe far deragliare l’accordo quadriennale con cui Stati Uniti e Russia hanno concordato di rimanere fuori dalle attività reciproche nel Paese (la Russia ha una presenza molto più strutturata in Siria, controllando una base aerea a Latakia e una navale sul Mediterraneo, a Tartus, a seguito di un accordo del 2015 con il rais siriano Bashar el Assad).
Il tenente generale Alexus Grynkewich ha dichiarato alla NBC che i sorvoli sono in “aumento sostanziale”, fino al doppio di quanto il dipartimento della Difesa ha visto in passato, con alcuni degli aerei russi che passano direttamente sopra le teste delle truppe americane. Queste attività di disturbo potrebbero essere connesse alla guerra russa in Ucraina. In Medio Oriente come in Africa, Mosca ha aumentato i suoi movimenti – anche attraverso i suoi attori della guerra ibrida, come il Wagner Group – per creare fronti di destabilizzazione multipli. L’allineamento con la fazione più radicale del potere iraniano, la quale sta complicando le attività del governo conservatore, è un moltiplicatore.
Dai cieli ai mari
Le forze militari iraniane hanno recentemente concluso le esercitazioni navali condotte insieme ai due principali alleati, Cina e Russia, nel Golfo dell’Oman; manovre che Teheran ha definito una grande dimostrazione di forza militare nei confronti dei suoi nemici occidentali. In quanto rotta marittima strategica, il Golfo dell’Oman ha un valore immenso per i Paesi ricchi di petrolio della regione, ed è stata già in passato oggetto di attività di disturbo (contro i traffici petroliferi) condotte dai Pasdaran e dai loro affiliati. I gruppi di potere a Teheran si sentono galvanizzati in varie forme dalle attività con Mosca e Pechino. Quell’area nello specifico è quella dell’asse indo-abramatico che in qualche modo coinvolge anche gli interessi italiani.
Ciò che accade in Medio Oriente in questa fase è molto complesso: da un lato si assiste a un tentativo di stabilizzare determinati dossier, come il rinnovato dialogo tra Iran e Paesi arabi che tocca anche la reintegrazione della Siria nelle dinamiche regionali (Riad, dopo Teheran, potrebbe a breve distendere i rapporti con Damasco). Dall’altro attori destabilizzanti continuano a portare avanti la loro agenda. Perché ritengono quegli appeasement poco convenienti per i propri interessi; perché intendono marcare come gli Stati Uniti dovrebbero restare esterni a certe dinamiche, creando dibattito anche a Washington; e forse anche perché fomentati da chi ha interesse a deviare la concentrazione statunitense da altri dossier (come per esempio quello ucraino o indo-pacifico). Stante questo quadro, l’attacco aereo statunitense va inserito in un contesto ampio in cui gli Usa intendono proteggere i propri interessi, mantenere le proprie posizioni e rassicurare i propri alleati sulla loro presenza.