Per tutto il periodo della Guerra fredda l’Italia è stata una consumatrice di sicurezza, mentre oggi è chiamata a essere produttrice di sicurezza per garantire la pace. Una necessità che comporta un serio investimento nell’autonomia del sistema della Difesa nazionale dal punto di vista operativo e industriale. Ne parla ad Airpress Nicola Latorre, direttore generale dell’Agenzia industrie Difesa (Aid)
La guerra in Ucraina ha riportato al centro del dibattito in tutti gli Stati europei le necessità della Difesa e, di conseguenza, dell’industria della Difesa. Anche in Italia ci si è resi conto dell’urgenza di incrementare gli investimenti nel settore, per rendere l’architettura di sicurezza nazionale in grado di affrontare le minacce del prossimo futuro. Airpress ne ha parlato con il direttore generale dell’Agenzia industrie Difesa (Aid), Nicola Latorre.
Direttore, qual è, a suo avviso, lo stato del comparto industriale italiano al momento?
La guerra ha senza dubbio confermato la necessità di aggiornare le strategie di sicurezza del Paese, considerato che accanto alle nuove minacce alla sicurezza, prima fra tutte quella cibernetica, si ripropongono dopo questa guerra nel cuore dell’Europa anche quelle di tipo convenzionale. Ne deriva la necessità di adeguare gli assetti di difesa ed emergono due elementi fondamentali per le strategie industriali: il primo, che non si deve abbassare la guardia sulla frontiera dell’innovazione e della ricerca adeguando gli investimenti alla necessità di fronteggiare le minacce. Il secondo, che le politiche industriali devono garantire il massimo di autonomia al sistema di Difesa del nostro Paese, soprattutto in settori strategici fondamentali come il munizionamento, la manutenzione dei mezzi e la produzione di dispositivi di protezione individuale sempre più indispensabili.
Questo coinvolge da vicino gli stabilimenti dell’Agenzia industrie Difesa…
Non solo, l’Italia possiede una serie di assetti industriali che dipendono direttamente dal ministero della Difesa, oltre i nostri nove stabilimenti dell’Aid ci sono i poli di mantenimento mezzi di Piacenza e Nola, il polo tecnologico di Roma, la fabbrica nazionale d’armi di Terni, tutti assetti produttivi il cui valore va sempre più massimizzato in un comune orizzonte strategico e gestionale. Per parte nostra è la rotta che segue l’Agenzia, a supporto delle nostre Forze armate così da essere su alcune produzioni uno degli asset di riferimento del sistema. Penso alla sicurezza sanitaria, attraverso l’unica officina farmaceutica di Stato, a Firenze, che abbiamo l’onore di avere nell’Aid. Penso alle frontiere innovative come quelle della dematerializzazione, digitalizzazione e archiviazione del materiale cartaceo attività sulla quale, con uno dei nostri stabilimenti, ci stiamo qualificando come unico asset direttamente statale. Così come nel campo del munizionamento, con l’attività di due dei nostri stabilimenti e l’avvio, dopo anni di fermo, dell’attività produttiva del sito di Fontana Liri, che avrà il compito di produrre le polveri necessarie a supportare l’attività di produzione munizioni, di cui proprio negli ultimi tempi è emersa l’esigenza imprescindibile.
L’invasione russa ha fatto emergere la necessità di costruire una Difesa europea, cercando di tenere insieme l’autonomia dei Paesi e la condivisione di capacità. Come fare, soprattutto dal punto di vista industriale?
La costruzione di un sistema europeo di Difesa deve continuare a essere un obiettivo strategico fondamentale dell’Italia. Il problema è come arrivarci. Oggi sono stati fatti importanti passi avanti, ma siamo ancora lontani dal raggiungere l’obiettivo. Anche perché precondizione necessaria è la condivisione di una comune politica estera, dal momento che esteri e difesa sono due facce della stessa medaglia. E anche dal punto di vista industriale si renderà necessario superare le attuali, tradizionali resistenze del settore per costruire delle vere sinergie a livello europeo. Va detto che, finora, queste resistenze sono venute più da altri Paesi rispetto all’Italia, che anzi si è proposta, anche con l’attuale gestione del dicastero, come attore proattivo di questa maggiore integrazione. Tutto questo, poi, dovrà naturalmente conciliarsi con la Nato. Primo perché al momento è l’unica entità sovranazionale in grado di garantire concretamente la sicurezza europea. E poi, perché se la costruzione di una Difesa europea è un progetto verso il quale tendere, la Nato è una realtà.
La guerra ha fatto emergere la necessità di aumentare il budget da destinare alla Difesa, raggiungendo l’obiettivo del 2% del Pil. Il ministro Crosetto ha proposto di scorporare le spese per la Difesa dai vincoli del patto di Stabilità. Cosa ne pensa?
In generale, ritengo che sia necessaria una ridiscussione seria in sede europea dei termini del Patto di stabilità, soprattutto dopo la pandemia e, adesso, la guerra. D’altro canto, il tema della spesa militare si è recentemente riproposto con maggiore enfasi alla luce di questa guerra, ma è un impegno che è all’ordine del giorno ormai da tempo, e personalmente, ritengo interessante l’iniziativa adottata dal ministro. Come quella di un parallelo investimento teso a diffondere una seria cultura della Difesa, che dobbiamo cercare di promuovere a tutti i livelli nel Paese. Perché non si sta parlando di spese per la guerra, come stupidamente certa propaganda spinge a pensare. Il tema vero è che noi per tutto il periodo della Guerra fredda siamo stati consumatori, come Paese, di sicurezza. Oggi siamo chiamati a essere produttori di sicurezza, proprio per garantire la pace. Diffondere la cultura della Difesa significa evitare che si possa demagogicamente dire che un euro speso in Difesa è sottratto alle politiche sociali o di lotta alle diseguaglianze. Non è così. Si tratta di due aspetti diversi in una strategia che un Paese deve essere in grado di portare avanti parallelamente. C’è poi da aggiungere che tutti gli investimenti per la Difesa, oltre a garantire la sicurezza delle nostre società, spesso hanno ricadute dirette anche in altri settori, dalla sanità al supporto per le politiche ambientali. Certo contestualmente occorre perseguire una riqualificazione della spesa militare, perché c’è sempre spazio per la razionalizzazione, ma gli obiettivi del Paese devono essere chiari.
Cultura e razionalizzazione sono due obiettivi principali che hanno portato alla creazione dell’Agenzia industrie Difesa, realizzata per portare cambio culturale all’interno del mondo della Difesa…
Noi siamo un ente di diritto pubblico con alcune peculiarità, la prima delle quali è che noi abbiamo il vincolo di Economica Gestione. Questo impone un’organizzazione delle attività, anche produttiva, che tenga insieme l’essere una pubblica amministrazione con la necessità di avere una strategia industriale in grado di misurarsi con il mercato richiedendo una gestione sempre più manageriale. Noi possiamo sviluppare partnership importanti con i vari attori industriali nazionali, dai grandi come Leonardo e Fincantieri, al panorama di Pmi di straordinaria qualità e capacità nazionale. Questo, tuttavia, significa anche gestire tutta una serie di criticità. Per fortuna i fatti confermano che siamo sulla buona strada. Naturalmente siamo soggetti a un’attività rigorosa di controllo da parte degli organi preposti. Contrariamente a come è stato a volte rappresentato, queste attività sono utili e hanno tutto il nostro supporto, evitando che esse rappresentino un impedimento allo sviluppo dell’attività dell’Agenzia. Fino a oggi abbiamo risposto a tutte le domande di chiarimento avanzate dagli enti di controllo con riscontri che sono stati giudicati ampiamente soddisfacenti.
Nel 2021 lei ha guidato il rinnovamento dell’AID con l’obiettivo di valorizzare gli stabilimenti gestiti dall’Agenzia. Un progetto veicolato anche attraverso il nuovo logo scelto allora per rappresentare l’AID. a quasi due anni, qual è il bilancio dell’iniziativa?
Cambiare immagine e rinnovare la strategia di comunicazione ha voluto contribuire ad alimentare un discorso sui temi della Difesa e della cultura della Difesa che potesse essere veicolato e recepito anche all’esterno del mondo tradizionalmente coinvolto. Riqualificare e aggiornare l’immagine dell’Aid è una scelta rivolta in particolare ai giovani. Non a caso sono stati loro i protagonisti di questa trasformazione. Gli studenti universitari che sono venuti a fare presso l’Agenzia i propri stage curriculari, attività che continuiamo a valorizzare, e che hanno potuto così avvicinarsi ai temi della Difesa nella maniera giusta. Accanto a questa attività di diffusione culturale, ci sono state una serie di attività più tradizionali che hanno raggiunto ottimi risultati. Ne è un esempio la gestione e valorizzazione dei mezzi dismessi e demilitarizzati delle nostre Forze armate, che ha visto numeri di vendita importanti. Dal punto di vista dell’immagine, inoltre, abbiamo coltivato con attenzione una serie di eventi legati alle storie dei nostri stabilimenti. Noi ci stiamo preparando a celebrare il 170esimo anniversario dello Stabilimento chimico farmaceutico con una serie di manifestazioni culturali tese a valorizzarne la storia e l’importanza delle attività svolte a Firenze. L’obiettivo che mi auguro è far capire quanto queste realtà dell’Agenzia siano uno degli asset strategici del sistema difesa italiano e possano attivamente esserlo anche per l’intero sistema-Paese.