Alzare i toni del dibattito sulla questione migranti trasformandolo in conflitto ideologico sarebbe un errore. Stiamo già attraversando una fase critica nei rapporti con Bruxelles
Le lune di miele, si sa, finiscono e quando finiscono a prendere il sopravvento è la dura realtà quotidiana. Il sondaggio di Alessandra Ghisleri pubblicato dal quotidiano La Stampa suona, dunque, come un richiamo alla realtà per Giorgia Meloni, che in sole due settimane ha perso tre punti percentuali nell’indice di fiducia degli italiani. Il problema è che a determinare il calo è stata principalmente la questione migranti. Questione che negli ultimi anni era rimasta in coda alle priorità percepite dagli italiani e che ora svetta al secondo posto come elemento di allarme sociale. Rispetto allo scorso anno gli sbarchi sono infatti quadruplicati e la crisi, politica e sociale, della Tunisia non lascia presagire nulla di buono per l’immediato futuro.
Giornalisti e opposizioni fanno di conseguenza il loro mestiere, ricordando che per molto, molto meno sia Matteo Salvini sia Meloni in passato gridarono all’“invasione”, chiedendo le dimissioni del ministro dell’Interno di turno. Sui social è tutto uno sfottò: che fine ha fatto il mitico “blocco navale” più volte invocato dalla presidente del Consiglio quand’era all’opposizione? Com’è già capitato su diversi altri dossier, anche in questo caso la realtà del governo mette a nudo e disarma la demagogia dell’opposizione. Ma stavolta il tema è centrale. È centrale perché la destra meloniana ne ha fatto un tratto distintivo, una bandiera identitaria.
Il rischio di un corto circuito, dunque, o per meglio dire di una nemesi, è forte. Meloni ha due possibilità: ammettere la complessità del problema con un atto di disvelamento politico e di responsabilità nazionale anche a costo di contraddirsi; aprire un fronte esterno attaccando a testa bassa “l’Europa”. Immaginiamo che la seconda possibilità rappresenti una forte tentazione per la presidente del Consiglio. La quale avrebbe anche buoni argomenti nel denunciare l’ipocrisia dei partner e le promesse non mantenute delle istituzioni europee. Ma alzare i toni del confronto politico trasformandolo in conflitto ideologico sarebbe un errore. Stiamo, infatti, già attraversando una fase critica nei rapporti con Bruxelles e più in generale col potere che ne permea le istituzioni. La vicenda Pnrr, con la reazione avviata per interposto Francesco Giavazzi da Mario Draghi all’accusa di essere il vero responsabile delle inefficienze e dei ritardi italiani nell’attuazione del Piano, rappresenta una crepa che Meloni ha tutto l’interesse a colmare prima che inghiotta il proprio governo. Motivi ulteriori di critica all’Italia sono rappresentanti dalla mancata approvazione della riforma del Mes, dai sotterfugi parlamentari in materia di concorrenza, dal mancato riconoscimento dei figli delle coppie cosiddette “omogenitoriali”. Questione, quest’ultima, che ieri ha scosso quel Partito popolare europeo con cui i Conservatori di Meloni intenderebbero allearsi. Insomma, la carne al fuoco è già molta, è l’odore di bruciato avvolge un antico pregiudizio nei confronti dell’Italia. Sui migranti serve un’azione politica e diplomatica discreta: le sceneggiate non ci hanno mai portato bene.