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L’Europa fissa una data per il Chips Act. Ecco cosa significa

Il passo è storico. Con il suo piano, Bruxelles punta a raddoppiare la produzione di chip (oggi al 10%) slegandosi dalla dipendenza di Stati Uniti e Asia. Un’esigenza richiesta da più parti, necessaria per poter far fronte alle sfide del decennio. Fra meno di due settimane, il 18 aprile, a Strasburgo si proverà a trovare la quadra finale

Il 18 aprile è la data in cui l’Unione europea compirà il grande passo, per slegarsi da Stati Uniti e dall’Asia e iniziare a camminare autonomamente. Il Chips Act, un piano da 43 miliardi di euro per rafforzare – ma sarebbe meglio affermare per lanciare – la propria industria di semiconduttori, è infatti lì sul tavolo da diverso tempo e fra dieci giorni i Paesi membri si ritroveranno a Strasburgo, sede del Parlamento europeo, dove negozieranno gli ultimi dettagli per arrivare a un primo, storico, accordo. L’obiettivo è essere quanto più indipendenti possibili, senza dover bussare alla porta di americani o cinesi e sottostare alle condizioni altrui. Bruxelles ha deciso di muoversi in autonomia, così come le era stato richiesto a gran voce.

Gli obiettivi del Chips Act sono essenzialmente tre, per volerli ridurre al minimo: garantire lo sviluppo di capacità su larga scala e l’innovazione nell’Ue; assicurare che la comunità europea risponda in modo celere ed efficace in caso di crisi dell’approvvigionamento; far sì che l’Europa diventi autonoma su quest’ultimo. Esigenze che nascono dalle stime future sui microprocessori. Da qui a fine decennio è previsto un raddoppio della domanda, tanto che nel 2030 l’industria varrà la bellezza di 1000 miliardi di dollari. Ad oggi, l’Ue rappresenta 10% della produzione mondiale: troppo poco per contare e per poter stare tranquilli di fronte agli scossoni internazionali, che modificano inevitabilmente anche il mercato.

Le ultime questioni da sistemare, da quanto riporta Reuters, riguardano i finanziamenti. Ballavano 400 milioni di euro di deficit, ma a quanto pare la Commissione sarebbe riuscita a trovare i fondi necessari. C’erano anche delle divergenze su cosa investire questi soldi: mentre l’organo guidato da Ursula von der Leyen aveva proposto solo impianti più moderni, gli Stati membri hanno spinto per allargarli anche ai centri di ricerca e di progettazione, inclusi i chip di vecchia generazione. Rafforzare tutta la catena, infatti, può aiutare a raggiungere la percentuale prefissata del 20%, che appare necessaria visto quanto contano i semiconduttori nella vita quotidiana.

Centrale in questo discorso sembra essere l’azienda belga Imec, nella città di Lovanio, chiamata in causa per pensare a un allargamento di produzione. A corteggiarlo non è stata solamente l’Europa, ma anche Stati Uniti (che volevano utilizzarlo per cementificare l’alleanza transatlantica anche in termini tech), Cina e Corea del Sud. “Non siamo mai stati così sotto i riflettori come oggi”, aveva dichiarato a Bloomberg il ceo Luc Van den hove. “Abbiamo ricevuto dai politici molta più attenzione che mai: locali, europei, statunitensi”. Si tratta di uno dei due impianti che, a detta dello stesso amministratore delegato di Intel, Pat Gelsinger, mentre l’altro è Asml, leader nella litografia.

Proprio Intel giocherà un ruolo primario nella costruzione di un’industria europea dei chip. Il grande investimento iniziale da 33 miliardi di euro è partito dalla Germania, ma si allargherà a gran parte dell’Europa. L’idea è quella di costruire un mega-sito di semiconduttori all’avanguardia in terra asburgica, per realizzare un nuovo centro di ricerca e sviluppo in Francia e per espandere le capacità in ricerca e sviluppo, produzione, servizi di fonderia e produzione back-end in Irlanda, Italia, Polonia e Spagna”.

“Noi siamo sempre determinati a lavorare in positivo e in maniera costruttiva per raggiungere gli obiettivi”, aveva dichiarato il ministro per le imprese e il Made in Italy, Adolfo Urso, mostrando la disponibilità e l’apertura del nostro Paese. “Aspettiamo le decisioni dell’azienda in merito al luogo dove vuole realizzare investimento e questo è ovviamente legato a tutto il contesto europeo perché è un investimento che l’azienda fa in Europa”. Finalmente pronta a fare da sé.


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