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Meloni in Etiopia per rafforzare il Piano Mattei (e non solo)

In vista della visita del presidente del Consiglio prevista per oggi e sabato, con il viceministro Cirielli, è utile ricordare non solo i fronti aperti in cui si sono inseriti negli anni i player esterni, ma anche le recenti mosse occidentali: un mese fa, in occasione della sua visita in Etiopia e Niger, Blinken ha rimarcato il ruolo di Washington, per riaprire le relazioni con Addis Abeba. Il tutto mentre la Cina spinge da tempo a quelle latitudini

Il Piano Mattei e l’intreccio con la cooperazione (internazionale e geopolitica). La traccia da seguire in occasione del viaggio in Etiopia di Giorgia Meloni (accompagnata dal viceministro degli esteri, Edmondo Cirielli) porta a questi due riferimenti, nella consapevolezza che proprio il ruolo italiano può essere significativo (e non secondario) nella partita che si gioca in Africa dove, tra le altre cose, si sta proiettando con insistenza sia il dualismo Washington-Pechino, sia l’esigenza europea di impedire il monopolio di policies e iniziative da parte della cosiddetta comunità di influenze sino-africane.

Roma-Addis Abeba

Lo scorso febbraio il Presidente del Consiglio aveva ricevuto a Palazzo Chigi Abiy Ahmed proprio mentre l’Europa tentava un riapproccio con l’Etiopia: dopo l’inizio del conflitto nella regione del Tigray, Bruxelles aveva interrotto i finanziamenti per non far affondare il bilancio etiope (era il novembre 2020). L’Ue aveva motivato quella decisione mettendo in evidenza gli abusi commessi dagli etiopi e da alcuni partners locali nella lotta contro i tigrini. Per questa ragione Meloni aveva ribadito al primo ministro etiope l’intenzione di intensificare le relazioni che Italia e Etiopia hanno avuto e hanno storicamente, passaggio che i due avevano già affrontato in occasione del primo incontro durante la cop27.

L’intenzione del governo, dunque, è quella di essere accanto ad un’Etiopia “unita e stabile”: sul punto è stato siglata tra i due Paesi una dichiarazione congiunta per un nuovo programma triennale di cooperazione allo sviluppo da 140 milioni di euro, di cui 100 milioni a credito. Non fu l’unica intesa, perché il vicepresidente del Consiglio e ministro degli Esteri Antonio Tajani e il ministro delle finanze etiope siglarono due ulteriori accordi da 42 milioni per iniziative sulle filiere di the, caffè e infrastrutture idriche nelle aree aride.

Immigrazione e Fmi

All’interno del dialogo tra Roma-Addis Abeba trova spazio anche la geopolitica legata alle alleanze, in un fazzoletto di Africa dove la penetrazione cinese è un fatto oggettivo, al fine di costruire una comunità Cina-Africa dettata da fini energetici. Il dualismo Washington-Pechino si proietta anche nel continente nero, dove la presenza di Meloni può essere foriera di nuovi slanci relazionali per l’Italia.

Il record di sbarchi provenienti dall’Africa dei primi tre mesi dell’anno, inoltre, porta in dote la richiesta italiana di un maggior coinvolgimento europeo, nella convinzione che occorre un intervento strutturale nel continente nero: tanto in Tunisia, Algeria e Libia quanto nel Sahel e nel centrafrica da dove la Francia sta smobilitando. In questo senso la visita del premier in Etiopia è quantomai opportuna, perché da un lato permette di sottolineare una volta di più la bontà strategica del piano Mattei e dall’altro di far arrivare agli alleati un eco di impegno anti cinese anche in Africa, dove Wagner e Pechino sono attori protagonisti.

In secondo luogo la pressione del ministro dell’economia Giancarlo Giorgetti in ambito Fmi al fine di supportare finanziariamente il Paese è una mossa che si inserisce in questo contesto, anche perché la crisi alimentare è già in atto: l’Etiopia ha iniziato ad esportare grano per aumentare le riserve di valuta estera, all’indomani di una stagnazione che dura da tre anni e che si è sommata al conflitto nel Tigray. Ma il Fondo Monetario Internazionale ritiene che le attuali esportazioni potranno finanziare solo un decimo delle importazioni di grano utili. Il premier non è d’accordo e replica che l’Etiopia è in grado di produrre abbastanza grano per i 120 milioni di cittadini. Sul punto però va intrecciata sia l’intenzione del governo di rimodulare le relazioni internazionali, sia il riesame della sua sospensione dall’African Growth and Opportunity Act statunitense (Agoa).

Il ruolo della Cina

Quella che è la terza economia africana si trova nelle sabbie mobili socio-economiche a causa di questi due elementi, su cui i falchi pensano di approfittarne, senza dimenticare che ha crediti per 29 miliardi di dollari. Ecco che, alla luce di tutto ciò, resta intatta la preoccupazione internazionale per il ruolo giocato nel paese dalla Cina: per ricostruire le infrastrutture andate distrutte durante il conflitto, il governo etiope ha bussato a quello cinese. Dei rischi connessi a questa operazione hanno discusso a Pechino alcune settimane fa il ministro delle Finanze, Ahmed Shide, con il suo omologo cinese.

In Etiopia la Cina ha realizzato la Addis Ababa–Djibouti Railway tramite la China Civil Engineering Construction Corporation (Ccecc) e la China Railway Engineering Corporation (Crec), ovvero due colossi impegnati nella Bri. Via della seta e 5G sono interconnessi, non solo a queste latitudini: l’ultimo appuntamento organizzato da Huawei Ethiopia si è tenuto pochi giorni fa ad Addis Abeba, dal titolo “Accelerare il viaggio dell’istruzione digitale per l’Etiopia”. Ovvero pianificare in loco una strategia di educazione digitale tramite Huawei, che è partner chiave del ministero dell’Istruzione etiope nella trasformazione digitale dell’istruzione. Il colosso cinese ha inoltre deciso di aprire un’Accademia Ict per offrire agli studenti la possibilità di essere partecipi dell’iniziativa complessiva di Pechino.

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